Una fabbrica che ha lasciato il segno nel ‘900 italiano: la Olivetti. La testimonianza di una donna che ci ha lavorato fino a che non è stata travolta dalla precarietà: è il romanzo di Sandra Cammelli, che unisce il racconto politico a quello privato. È la storia di una femminista.
Di Laura Marzi
A volte una storia personale può avere una eco collettiva, anche per questo può essere importante. Allora bisogna ricordare per non incorrere negli stessi errori e se questo non è possibile, perché spesso si sbaglia allo stesso modo, almeno la memoria aiuta ad avere consapevolezza della propria testardaggine, dei propri limiti. Il fatto è che ci sono modi diversi di raccontare i ricordi, di associarli, di dare loro spazio nel presente, di ridare loro vita.
Quello scelto da Sandra Cammelli nel suo La fabbrica verso il cielo edito da Ali&no è di certo significativo. In questo testo autobiografico decide di raccontare la sua storia lavorativa in Olivetti e la parabola disperante che la grande azienda italiana ebbe, fino al suo smembramento, accostando questa memoria personale e politica alla morte di suo fratello, o meglio al racconto della vita con lui fino alla fine. È piuttosto chiaro, ed è esplicitato anche all’inizio del testo, che per lei non sarebbe stato possibile concentrarsi solo sul suo lutto familiare, nonostante fosse consapevole che la scrittura era l’unica possibilità che aveva per affrontare quel dolore infinito. È necessario per l’autrice mescolare la materia prettamente autobiografica a un racconto che possa avere un senso anche per altre e altri.
In questa necessità imprescindibile di agire sempre anche per il bene comune c’è un tratto fondante della pratica politica di Sandra Cammelli e delle donne dell’associazione femminista Il giardino dei ciliegi di Firenze, di cui Sandra in questo romanzo scrive come di un luogo di progettualità e di desiderio, diventato fondamentale in una fase molto delicata della sua esistenza, quella della cassa integrazione.
Nel momento in cui la Olivetti fu infatti venduta perché già dopo la morte del suo fondatore non ci fu la consapevolezza di quanto fosse fondamentale investire nel settore dell’elettronica, la protagonista del romanzo che si chiama Angela si trova messa alle porte della sua stessa vita lavorativa.
La sua testimonianza dell’esperienza nella grande azienda è interessante per almeno due ragioni. La prima è che offre alle lettrici e ai lettori la possibilità di conoscere la storia del progetto avanguardistico di Adriano Olivetti dall’interno, a partire dal punto di vista di una lavoratrice impegnata nelle lotte sindacali e allo stesso tempo molto dedita al suo lavoro.
Poi, prendendo le mosse dall’esperienza di un altro tempo in cui lavoratrici e lavoratori conquistavano uno spazio di dialogo e di conflitto coi padroni, scivola nel mondo contemporaneo, della precarietà e quindi dell’indebolimento di una classe sociale, di un popolo.
Le pagine dedicate al fratello sono particolarmente intense, tanto da far comprendere a chi legge di quanto sia stato difficile raccontare quei momenti e di quanto farlo abbia dato, come si legge nel testo, se non sollievo, almeno un minimo di senso a quel dolore. In generale sono interessanti i brani dedicati ai racconti di gioventù, dell’infanzia, familiari ed è molto significativa l’alternanza dei tempi verbali nelle sezioni che si susseguono nel romanzo. È il segno della agilità dell’autrice, del suo modo di attraversare il tempo, custodendo ogni momento senza volerlo trattenere, come se la vita fosse anche una danza di libertà.
Sandra Cammelli, La fabbrica verso il cielo, Ali&no, pp. 108, euro 14,00
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Laura Marzi

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