I conformisti

Nada Pesetti, 10 marzo 2020

“I genitori di mio padre non erano stati né dalla parte delle vittime né dalla parte dei carnefici.” Eppure in famiglia c’è un’ombra lunga: nel 1938, il nonno aveva rilevato l’azienda di un imprenditore ebreo costretto alla liquidazione.

Géraldine Schwarz, giornalista, nata a Strasburgo nel 1974, ha padre tedesco e madre francese e quindi nonni tedeschi e francesi giovani negli anni ‘30 e ‘40. Così nel suo “I senza memoria – Storia di una famiglia europea” non si propone solamente di ricostruire una storia di famiglia in mezzo alla quale corrono confini devastati da guerre, ma si inoltra in un’indagine subito dichiarata: cercare e capire fino a che punto, nella piccola realtà quotidiana, i Mitläufer, i conformisti, parteciparono o comunque permisero i crimini della Germania nazista.

La narrazione, in bilico tra la memoria, il saggio, la riflessione, riporta le voci e le posizioni di politici, filosofi, scrittori, da Sartre a Jaspers, da Adorno a Günter Grass alternate alle vicende di nonni e zii.

A indicare la via che poi la scrittrice seguirà, è il padre, Volker, che, ancora ragazzo negli anni ‘50, si pone in una posizione lucidamente critica davanti al muro di silenzio e alla rimozione diffusa, quasi totale, che sembrano aver tagliato via dalla memoria collettiva i dodici anni di orrore del Terzo Reich. Al giovane Volker non bastano le fragili giustificazioni che può ascoltare in casa – “non abbiamo votato per Hitler, abbiamo scelto Hindenburg!” – o l’ancor più irrisorio rammarico – “gli ebrei, non avrebbero dovuto ucciderli”. E soprattutto Volker trova insopportabile “la preoccupazione non di sapere quali crimini avesse commesso il Reich, ma perché avesse perso la guerra”.

Seguendo il percorso del padre, Géraldine Schwarz ricostruisce la lenta, faticosa presa di coscienza che, malgrado tutto, contro il desiderio comune di oblio, cresce davanti ai primi processi celebrati nella Repubblica Federale contro i responsabili (il processo a ventidue collaboratori del campo di Auschwitz inizia a Francoforte nel 1963), che evidenziano come “solo la cooperazione di tutti aveva permesso una simile ignominia”. È un terremoto anche culturale che rode le fondamenta di un paese in cui “l’obbedienza incondizionata agli ordini e alle leggi era ancora considerata una virtù “.

Un cammino impervio, a lungo ostacolato, conduce infine la Germania occidentale a un’assunzione di responsabilità e una rielaborazione della colpa che restano uniche in Europa. “Chi poteva considerarsi ignaro dopo i roghi, i saccheggi, dopo le privazioni di ogni diritto, l’incessante profanazione delle dignità umane?” dice il presidente Richard von Weizsäcker, lui, figlio di un alto ufficiale delle SS, davanti al Bundestag, nel maggio 1985, nel quarantennale della vittoria alleata sulla Germania nazista.

Quando lo sguardo di Schwarz si sposta alla Francia, che dopo l’occupazione, si è cullata nel mito di una Francia tutta resistente, non può che registrare una rimozione ancora più tenace.

E ancora, in uno scenario allargato, si fanno i conti con diverse, specifiche cecità: dai Tedeschi della DDR diventati per definizione tutti antifascisti, agli Italiani-brava-gente, intere popolazioni sono sembrate intente alla costruzione di un alibi monumentale.

Nell’oscuro clima di revisionismi e negazionismi dell’Europa di oggi, il quadro illumina i pericoli incombenti “quando il bene diventa male e il male diventa il bene. Quando l’empatia è una debolezza, e l’odio è coraggio. Quando trionfano i senza memoria.”

 

Géraldine Schwarz, “I senza memoria – Storia di una famiglia europea”, traduzione di Margherita Botto, Einaudi 2020

 

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Nada Pesetti

fotografa e poeta, vive a Genova

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