Almarina è la giovane rumena che dà il nome al nuovo libro di Valeria Parrella. Una docente di matematica e la sua allieva prediletta nel minorile di Nisida dove si incontrano due solitudini e una affinità. Parole scarne e forti come i ricordi.
di Nada Pesetti
“Mi chiamo Elisabetta Maiorano, e non è che me lo stia chiedendo qualcuno: sono io che me lo ripeto in testa ogni volta che arrivo al varco di Nisida. … Ogni volta che entro mi sento in colpa”.
Così si presenta l’io narrante di “Almarina”, il nuovo libro di Valeria Parrella, che già ne “Lo spazio bianco” aveva aperto davanti a chi legge i vuoti, le assenze, le mancanze che affollano le vite.
Elisabetta Maiorano è vedova, è insegnante di matematica, è insegnante nell’istituto penale minorile di Nisida. Questi stati non sembra possano essere separati e la espongono a una condizione straniata che registra in una narrazione secca, prosciugata. Come secco e prosciugato, fragile e durissimo al tempo stesso, è il lutto in cui continua a vivere da tre anni. Come fragile e durissima è l’esistenza di ragazze e ragazzi che incontra a Nisida.
E mentre conta il terzo aprile senza Antonio, mentre da tre anni va in giro col passaporto perché, a differenza della carta d’identità, non riporta il suo nuovo stato civile, Elisabetta Maiorano, che continua a ripetersi nome e cognome come per esserne sicura, si àncora a Nisida, prigione e luogo altro, sospeso. Nisida segna un confine che può apparire ingiusto e per paradosso liberatorio: “come ciascuno che entri a Nisida torno libera, torno bambina”.
Nemmeno Elisabetta Maiorano, nemmeno lei sa che cosa inizia a legarla a una nuova allieva, Almarina, sedicenne rumena, che ha un passato di abusi e migrazione, che “non aveva ricordi ed era stata vestita di carta”.
Nemmeno lei sa che cosa la spinge a chiedere un permesso perché la ragazza possa passare con lei, a casa sua, il giorno di Natale e santo Stefano, “perché l’oro di Napoli ci aspetta per stordirci dentro il suo Natale… perché la retta è fatta di infiniti punti e in questo punto qua ci siamo noi”.
Si esita a riassumere un libro che, nelle sue digressioni e contraddizioni e scarti, deve essere letto come si leggono i versi che scavano e aprono riflessioni e restano dentro.
Il percorso che Elisabetta Maiorano compie è doloroso e necessario, scarno e intenso, irrazionale e pieno di ragioni. Come sa bene, “i ricordi restano sempre dove li abbiamo lasciati: noi ci alziamo, andiamo, richiamati a tavola dalle madri, e i ricordi restano sugli scalini”.
Valeria Parrella, Almarina, Einaudi, Torino, 2019
PASSAPAROLA:









Nada Pesetti

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