Nell’attuale era post apocalittica dell’Antropocene è finito il pensiero neutro e il tempo non è più lineare. In “Femminismi futuri”, curato da Lidia Curti, dodici studiose partono dalla narrativa fantastica e dai testi teorici più nuovi per immaginare il nuovo intreccio di corpi, generi, specie, tecnologie da cui potrà arrivare il nostro futuro.
Di Elvira Federici
Se visitate a Creta il museo di Heraclion e vi ponete di fronte alle divinità femminili, su cui sovrasta la minuscola statua della dea dei serpenti – dove i serpenti sono, in alcune rappresentazioni il prolungarsi delle braccia e ricordano che la dea stessa è un serpente; se contemplate l’infinito pantheon induista, se tornate a riflettere sui miti, a leggere le Metamorfosi di Ovidio e poi vi accostate al pur arduo ma ricchissimo Femminismi Futuri, avrete la straordinaria sensazione di chiudere il cerchio. Meglio: di aprire una vorticosa spirale in cui simultaneamente il tempo è in tutte le sue forme e l’intreccio di corpi, generi, specie, psiche, tecnologie, sullo sfondo post-apocalittico degli esiti dell’attuale era dell’Antropocene (e del Capitalocene, come dice Haraway) dà vita a organismi metamorfici che ricominciano il mondo.
Il libro ha origine dall’omonimo gruppo di lettura “Femminismi futuri”, nato nel Centro di studi postcoloniali e di genere dell’Università Orientale di Napoli, che già nel numero 124/2017 di Leggendaria anticipava gli spunti di ricerca a partire dai testi teorici del femminismo più recente ma anche dalla narrativa fantastica e dalla fantascienza speculativa che ha annovera scrittrici come Joanna Russ e Angela Carter, Ursula Le Guin, Octavia Butler e Nnedi Okorafor e si estende ad altre forme di arte specie nell’afrofemminismo.
Nella riflessione polifonica, movimentata, in qualche modo perturbante, a cura di Lidia Curti con Antonia Anna Ferrante e Marina Vitale si avvicendano dodici autrici, ognuna prende in carico filosofie, narrazioni, miti, diaspore e forme d’ arte transfemministe e cyberfemministe. Vale la pena di avvicinarsi alle loro biografie per cogliere il taglio epistemologico di ricerche che si collocano all’incrocio tra post colonialismo, pensiero queer, nuova ecologia, materialismo radicale di matrice spinoziana, filosofia dei media digitali, la progettazione computazionale e l’IA.
L’intreccio femminismo-ecologia, l’immaginare il futuro nella discontinuità, si rivela come esito conseguente dello sgretolarsi della visione neutro-astratta, di un pensiero lineare incapace di com-prendere la complessità di sistemi e relazioni. In questo caso il neutro è fronteggiato da corpi differenti, mutanti metamorfici nella connessione del vivente esteso alla tecnologia, la storia non è ascritta al Soggetto ma pullula di soggettività emergenti dal silenzio, il cyborg si rivela, come direbbe Braidotti, come “una figurazione che esprime interrelazionalità, ricettività e comunicazione globale e fa deliberatamente saltare ogni distinzione categorica (uomo/macchina; natura/cultura)”.
Si accampa, nel paesaggio desolato della crisi ecologica, solo questa capacità creativa, affabulatoria e speculativa dei femminismi, che si manifesta nell’intersezionalità, nel senso del discontinuo, del discorde e in forme di pluralità come “ interdipendenze extraplanetarie”, in cui la natura “è il circuito cognitivo ed emotivo teso a costruire ponti”. Senza trionfalismi, senza promesse ma con visioni che aiutano a stare nel nostro tempo e nel futuro che si farà.
Il saggio a più voci Femminismi futuri si propone di attraversare la gamma delle scritture ibridate che caratterizzano i femminismi dallo scorcio del XX secolo ad oggi essendo esso stesso il risultato di scritture ibride, tra l’argomentazione serrata e documentata (vedere le bibliografie!) del saggio e l’affabulazione, l’invenzione narrativa di vicende e personaggi di finzione. E in Femminismi futuri, la scrittura fluisce dall’argomentazione all’invenzione (vedere la sezione Cyber fantasy!).
Tre esempi, scelti nella rosa di questi saggi di grande densità teorica e epistemologica:
– La “fabulazione speculativa” nel saggio di apertura della sezione Favole per pensare, di Marina Vitale, in cui, a proposito dell’ultimo testo di Donna Haraway, Stay with the trouble, rileva il nesso del pensare- insieme, scrivere-insieme, criticare-insieme, praticandolo alla confluenza di posizioni teoriche, lotte ambientaliste e femministe e di minoranze etniche minacciate, suscitando legami, aprendo altre vie di esplorazione che prevedono nuove famiglie comunitarie, soggettività non polarizzate sessualmente , ibridazioni e legami simbiotici interspecie alla cui base si intravede una trasmissione intergenerazionale, un apprendimento come relazione, una straordinaria cura della relazione stessa (kin making), che testimonia, quanto per Haraway – e per tutte, tutti noi – sia necessaria “una grande dose di immaginazione, di visionarietà, di speranza irrazionale, la caparbia volontà di fare famiglie in mondi sempre più inospitali e forse condannati a perire”
– Il pensiero verde, ancorato alla potente metafora – non è solo una metafora! – dell’esistere vegetale di semi, radici, rampicanti, nelle parabole di Ursula Le Guin o nelle opere multimediali di Maria Thereza Alves, per la quale i semi migrano come i popoli indigeni, semi essi stessi, trasportati dagli schiavisti nelle terre di sfruttamento; semi che incorporano il tempo infinitamente vasto che precede l’affermarsi della specie umana e rappresentano la promessa di un futuro per quanto difficile, come Il saggio di Lidia Curti lascia intravvedere accostando lo sguardo e tutti i sensi alle esperienze afrofuturiste che incorporano “l’essere nero” e le tecnoculture; muovono tra passato e presente e futuro, “tra l’arcaico e il postmoderno” dando vita ad un’estetica afrofuturista che immagina il futuro senza dimenticare che è nato dalla schiavitù stessa. Un futuro che non elude ma riscrive il pensiero: “una nuova poiesis dell’essere umani”
– La figura della influencer Lil Miquela, proposta poliedricamente come saggio, come metanarrazione e metadiario da Stamatia Portanova secondo una “commistione postfemminista tra neoliberismo e liberazione femminile”, compie in realtà un’azione mediatrice, operante la negoziazione tra l’industrializzazione efficientistica dei corpi e le infinite – e imprevedibili- “rifrazioni prismediatiche” con i femminismi: “un raggio di luce bianca che attraversa un prisma triangolare e ne esce come un fascio multicolore”: tanto illusione ottica quanto “visione sfaccettata e molteplice di un mondo complesso”. Al posto dello sguardo soggettivante, dalla visione amplificata del filosofo, uno sguardo che va in frantumi e tuttavia, la tecnologia si intreccia con le tecnologie narrative, e il saggio si trasforma per successivi passaggi in un diario onirico in cui l’io narrante si dichiara “in grado di mutare, navigare, re-imparare, sondando ogni orizzonte possibile; proprio come un algoritmo”
E, a questo proposito, la vera vertigine- chissà se calcolata- sta piuttosto nelle analogie con il mito (pur a partire dai diversi presupposti, dagli imprevedibili scenari che tecnologia e media rendono disponibili), forma inesauribile di argomentazione e insieme di fondazione affabulatoria del mondo, e nella visione del tempo, illuminante, contenuta nel saggio di Tiziana Terranova, Fare e (dis)fare il tempo: eco-cronopolitiche femminsite, in cui il tempo si scardina nella linearità con cui da Newton in poi leggiamo il mondo e invece, come nella fisica quantististica o nell’ “afrofuturismo quantico” si ripiega, si stratifica, si moltiplica, diventa “visionario” e “retrospettivo” , ciclico e spiraliforme, esperito in diverse forme e velocità.
AA.VV. “Femminismi futuri. Teorie/poetiche/fabulazioni”, a cura di Lidia Curti, Iacobellieditore, Roma 2019, (disponibile anche in e-Pub)
PASSAPAROLA:









Elvira Federici

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