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Femmine e maschi, orfani o abbandonati, ospiti o pazienti, normali o difettosi, tutti avevano trovato una sedia e un giaciglio, una tazza di latte caldo. Il nuovo romanzo di Saveria Chemotti “Spegni questo buio” racconta di Angela, che ha rimesso al mondo chi ne era escluso. Il romanzo sarà presentato il 21 novembre alla Mondadori dell’Ipercity di Albignasego

di Elianda Cazzorla

L’esortazione: Nana, sguardo sghembo, svegliati! non viene pronunciata, è dominante e insistente nel cuore di Livio. Chirurgo di fama internazionale, giunto a Roma dall’America, che tenta, dopo anni e anni di studi e ricerche, di sfidare l’impossibile: intervenire sulla malformazione di Anna, sul difetto che dai primi vagiti ha modellato la sua esistenza. Livio da bambino la chiamava Nana e ora lei è immobile nel letto, dopo l’intervento, con il collo tenuto fermo da un rigido collare. Non dà segni di vita, lei che ha fatto rinascere bimbe e bimbi abbandonati, diseredati e soli. Mentre aspetta il risveglio, Livio legge un quaderno dalla copertina blu. Come gli è arrivato? Dentro che cosa c’è scritto? Forse quello che Anna ha raccolto per strada, che ha sottratto alle acque del canale.
Mentre leggo Spegni questo buio (Il Poligrafo, 2025), l’ultimo romanzo scritto da Saveria Chemotti, si affollano attorno a me i visi dei personaggi, si sovrappongono i corpi, le mani, i sorrisi di chi ha agito nella Fondazione per l’infanzia abbandonata e di chi ha ricevuto assistenza e attenzione. I piccoli diversi danzano in cerchio e mi coinvolgono.
Femmine e maschi, orfani o abbandonati, ospiti o pazienti, normali o difettosi, (Tutti quelli) che avevano attraversato quel ponte, erano entrati dal portone di rovere scuro con un battacchio di ottone, messo la mano su quella parete dove si dichiarava che nessuno era diverso dall’altro. Ciechi, muti, sciancati e atleti, colti e analfabeti. Per tutti si erano trovati una sedia e un giaciglio. Una tazza di latte caldo.
La voce di Saveria Chemotti – limpida, compassionevole, mai pietistica – costruisce una comunità in cui non c’è redenzione spettacolare, ma la quotidianità della cura, fatta di piccoli gesti, di nomi salvati dal silenzio. L’autrice costruisce un romanzo di resurrezione laica, dove la fragilità diventa linguaggio e la cura si fa parola. Nelle note scrive: “Spegnere il buio significa scoprire i volti offuscati dei bambini e dei ragazzi, l’essenza della loro anima (…) la loro imperfezione è un cunicolo dove vanno accese le lampade che erano spente quando sono apparsi.”
È questo il cuore del romanzo: il buio non è eliminato, ma lo si attraversa con la luce della relazione. In questa prospettiva, il romanzo diventa un gesto etico: raccontare per custodire l’altro e, al contempo, permettere alla parola d’essere generatrice di bellezza morale.
Saveria Chemotti scrive senza enfasi, con un ascolto profondo che riconosce nelle imperfezioni la misura più vera dell’umano. Alla fine, resta un senso di gratitudine: per chi, nella scrittura o nella vita, ha saputo tenere accese le lampade nei cunicoli dell’esistenza.
E forse è proprio questo che significa spegnere il buio: lasciare che la luce degli altri ci racconti il buio.

Saveria Chemotti, Spegni questo buio, Il Poligrafo, 2025

 

 

 

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Elianda Cazzorla

Elianda Cazzorla è nata a Bari. Vive a Padova. È pubblicista dal 2000. Laureata in Filosofia del linguaggio, ha insegnato a lungo con passione, convinta che si impari per tutta la vita. Scrive, legge, ascolta. Si occupa di scritture delle donne, memoria e pratiche femministe. Fa parte del direttivo della SIL, della redazione di Leggendaria e della newsletter della Casa delle donne di Padova. È nel blog collettivo Carte sensibili e Sentieri di carte sensibili. Collabora in progetti culturali attenti alla differenza e alla relazione. Ha pubblicato con Iacobelli: una raccolta di racconti e due romanzi: “Isolina, un martedì”, “Tela di taranta” e “Lilith e Lola”. È convinta che leggere sia un modo per costruire mondi e disfarne altri, scrivere, un esercizio di attenzione e di libertà.

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