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La statunitense Lauren Groff in “Il vasto mondo selvaggio” riscrive il mito di fondazione americano. Lamentazioni, diciasettenne orfana e serva, fugge verso la libertà nella Virginia di fine ‘600. E affronta il gelo, le foreste vergini, gli animali, tra cui anche i orsi e lupi, le tribù dei nativi e un cacciatore inviato a catturarla

Di Paola Meneganti

Il vasto mondo selvaggio di Lauren Groff è una storia di fuga e di sopravvivenza femminile, situata nel XVII secolo nella terra che diventerà gli Stati Uniti d’America. Il tempo è quello della colonizzazione: un’epoca di forti conflitti religiosi, di cambiamenti anche nella stratificazione sociale inglese, di desiderio, quando non necessità, di orizzonti nuovi, e di emigrazione verso il Nuovo Mondo.
La protagonista del romanzo si chiama Lamentazioni, nome datole all’orfanotrofio, e «in ricordo della macchia del peccato che portava impressa, quale cognome le fu assegnato Callat, ovvero Cagna, affinché portasse al collo come un guinzaglio e per la vita il mestiere di prostituta che la madre aveva di certo esercitato […] la ragazza era giunta in casa della padrona all’età di quattro anni dall’ospizio di mendicità; l’avevano trovata appena nata, tutta sola in un’alba orribile, coi liquidi del parto ancora addosso, nuda e mezza morta di freddo, nel lerciume di Shiteburne lane».
Sono molti i nomi con cui verrà appellata: Ragazza, Sciacquetta, Scema, Zeta, «perché essendo la più piccola in casa e la più insignificante veniva sempre per ultima, come la più strana di tutte le lettere dell’alfabeto». L’orfanella viene presa come serva in una casa il cui padrone è un orafo, che morirà nella peste di Londra del 1665, e, successivamente, un pastore.
La descrizione di come fossero le condizioni di vita anche in situazioni non miserabili è molto cruda. Le serve erano corpi alla mercè degli uomini padroni di casa.
La famiglia in cui vive Lamentazioni decide di emigrare nel Nuovo Mondo. Marito, moglie e una bambina, e Lamentazioni. La bambina, Bess, è mentalmente disabile, e Lamentazioni la ama come e più che se fosse sua figlia.
Il racconto adombra, allude, ma non descrive la tragedia che si svolge nell’accampamento fortificato in Virginia dove giungono gli emigrati, dopo un tremendo viaggio per mare, e dove la famiglia in cui vive la ragazza si trova rinchiusa, e dove molti abitanti muoiono per fame e malattie, tra cui Bess. E monta in Lamentazioni «orrenda, la sua rabbia per il ministro che aveva trascinato con sé la moglie, la figlia, la ragazza, nella sua brama di ricchezze. E né alla piccola Bess né a lei era mai stato chiesto se volevano venire. Giacché una ragazza non è che un recipiente modellato per contenere i desideri degli uomini».
E allora Lamentazioni fugge, con alle spalle il compimento di un gesto terribile, evocato ma mai pienamente esplicitato.
«La luna si era nascosta dietro le nuvole. Il vento sputava raffiche oblique di neve ghiacciata. Dall’alto muro nero della palizzata, attraverso uno squarcio all’apparenza troppo stretto per un essere umano, la ragazza si arrampicò nella terribile vastità della natura selvaggia. Aveva un cappuccio calato sul viso e era esile, ossuta e anche minuta come una bambina, ma la carestia l’aveva spogliata all’estremo, ridotta a un’essenza, legamenti, fibre, tendini. Anche così affamata e accecata dal buio, era veloce. Si rimise in piedi a fatica, inciampò al primo passo, per poco non cadde, ma si riprese e cominciò a correre, passando rapida sui solchi ghiacciati del campo e gli steli del mais morto che erano spuntati in estate già neri come il carbone, sterili e rachitici per via della ruggine. Più veloce, ragazza, si disse, e nella sua paura e angoscia, accelerò l’andatura». Nel romanzo leggiamo una vera e propria riscrittura del mito di fondazione americano. Compare anche, in un flash back, una principessa indiana in cui possiamo riconoscere Pocahontas.
Seguiamo la fuga di una ragazzina di circa diciassette anni, che affronta enormi pericoli: un freddo intenso, gelido, incoercibile; le enormi foreste vergini, gli animali, tra cui anche i predatori (orsi, lupi); un cacciatore del forte inviato a catturarla. Incontra anche le tribù dei nativi, con i loro rapporti ancora variegati e molteplici nei confronti dei coloni, che, comunque, la osservano da lontano, ma non intervengono.
Lamentazioni è tutta corpo, in ascolto spasmodico dei suoi segnali (freddo, ferite, dolori, fame da saziare con ciò che trova: bacche, animali morti o che riesce ad uccidere), e tutta intelligenza: acuta, dritta, consapevole. Cerca di sopravvivere: ha una grandissima capacità di adattamento e un grandissimo coraggio, e possiede molte abilità. La natura non è né madre né matrigna: è, esiste da sempre, dà e toglie; il confronto con lei non è né benevolo né tragico. Si direbbe che chiama alla nuda vita. Ma la natura regala anche bellezza: una bellezza che acceca, quasi, nella quale, in certi momenti, Lamentazioni rischia di perdersi, correndo un rischio mortale: «È un fallimento morale non vedere la bellezza del mondo».
La natura possente, selvaggia, impenetrabile nella sua dismisura ispira fascinazione e orrore – una sensazione che si può accostare ad alcuni versi di Emily Dickinson -, mai però come l’orrore e i timori che può ispirare l’uomo, con la violenza che è capace di perpetrare, più pericolosa di quella delle fiere, soprattutto nei confronti delle donne. «A quale donna infatti non è mai capitato, camminando nel buio di una strada o lungo un sentiero in piena campagna, di percepire le brutali fantasie di un uomo che la osserva dal suo nascondiglio, e sentire quegli stessi brividi sulla pelle, e accelerare il passo per allontanarsi?». Lamentazioni vede un uomo nella foresta, «e si sentì gelare il sangue, perché era un riflesso istintivo, perché temeva il destino di ogni donna, delle donne sorprese da sole in una strada buia di città, in un viottolo di campagna lontano da orecchie umane, ovunque non ci fossero testimoni».
Groff è nata nel 1978 nello stato di New York. Si è diplomata all’Amherst College (fondato da Samuel Fowler Dickinson, nonno di Emily; il college custodisce un notevole patrimonio di testi autografi – poesie, frammenti, lettere – della poeta).
Esordisce nel 2008 con “I mostri di Templeton”: ha scritto cinque romanzi e due raccolte di racconti, quasi tutti tradotti in italiano. È stata tre volte finalista al National Book Award.
La sua scrittura è molto densa, ricca, e direi descrittiva, pur con largo spazio all’immaginazione e all’intreccio di piani e tempi narrativi.
Lauren Groff è molto attenta alla situazione delle donne. Ha detto in un’intervista: una femminista è qualcuna che vede l’ingiustizia «dell’innaturale ruolo subordinato» a cui sono state costrette le donne. «Dunque, io sono femminista, e tutti quelli che rispetto lo sono». Nel 2024 ha aperto in Florida una libreria, The Linx, come «atto di resistenza all’autoritarismo. La nostra organizzazione non profit The Lynx Watch ha regalato oltre quarantamila dollari di libri vietati (sono circa 16.000 dal 2021 a oggi, n.d.r.) e il negozio è un luogo per le comunità. L’idea è di ispirare tutti gli americani che si preoccupano degli altri a essere aperti, generosi e amorevoli. E a resistere a ingiustizia e crudeltà». E Groff si dice «terribilmente ansiosa e triste» per ciò che fa Trump.
Trump o del potere smisurato, dell’ingordigia del potere, un potere che “trangugia e divora”. Chissà che non pensasse a lui Groff quando ha scritto, parlando dei coloni che avevano sempre percepito, secondo Lamentazioni, non un dio benevolo, ma il timore del nulla: «l’avevano sentito agitarsi nel cuore dell’anima e avevano scambiato quella sensazione per l’eternità. Erano cresciuti attorcigliandosi attorno a questo nulla: li aveva deformati come la cicatrice di una ferita precoce, inducendoli a contorcersi intorno a quel vuoto, a diventare odiosi e ansiosi, pressanti e affamati. Il nulla li aveva portati a sentire il bisogno di posare gli stivali su tutto quel che vedevano».

Lauren Groff, Il vasto mondo selvaggio, traduzione di Tommaso Pincio, Bompiani 2025

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Paola Meneganti

Sono nata e vivo a Livorno. Laureata in filosofia e in scienze archivistiche e biblioteconomiche, ho diretto per anni un servizio della Provincia, e ora sono in pensione. Ho contribuito a fondare, nel 1984, il Centro Donna di Livorno e, nel 2002, ho dato vita, con altre, all’associazione femminista Evelina De Magistris, che è tuttora gioiosa pietra miliare per la mia esistenza. Noi Eveline operiamo cercando di essere fedeli ad alcune pratiche politiche che caratterizzano il femminismo: la pratica della relazione e la pratica del partire da sé, che pensiamo possano vivificare la politica e il desiderio che molte e molti hanno di agire nel mondo, ma che non riescono ad esprimere in una realtà ossificata e bloccata. Ho scritto saggi di argomento filosofico e di teoria femminista, pubblicati in volumi collettanei, interventi, recensioni, e ho curato svariate pubblicazioni. Sono socia della Società Italiana delle Letterate, studio le filosofe e le pensatrici, sono una lettrice appassionata e privilegio la narrativa e la poesia scritte da donne. Infine, posso dire, con Carla Lonzi, che il femminismo è stata la mia festa.

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