Frutto di una scrupolosa ricerca fra il Lazio e Praga, in Svizzera, in archivi e aiutata da storici locali e libri preziosi, Patrizia Di Donato ci lascia “Per amore di Grete”, un romanzo a strati tutti ben intersecati
Di Nadia Tarantini
Un incastro di scatole cinesi Per amore di Grete, il romanzo di Patrizia Di Donato, che si sfoglia dal momento più vicino – l’infermiera che ha curato il protagonista sino alla fine della vita – quando il manoscritto, nella finzione, viene proposto a un editore; a momenti via via più lontani, all’inizio della seconda guerra mondiale, e poi torna più vicino a noi, nel primo dopoguerra, quando la vicenda adombrata trova la sua conclusione emotiva per il protagonista.
Il protagonista è Casimiro, figlio di Margaret Bloch (la Grete del titolo) e Franz Kafka, nella finzione ma anche nelle ipotesi di parecchi storici della letteratura. Un rapporto tormentato e infelice, che prelude di poco alla morte dello scrittore.
Grete e Franz s’incontrano la prima volta per un gesto d’aiuto di Grete alla sua amica del cuore, legata a Kafka da una relazione difficile, nella quale non riesce a capire quali siano i reali sentimenti, le intenzioni dell’uomo nei suoi confronti. E scoppia subito una controversa sintonia, cercata e rifiutata da lui – bagnata per lei da un persistente senso di colpa e di tradimento nei confronti dell’amica.
Casimiro è il frutto contraddittorio di quella passione amorosa, sconosciuto al padre; e presto abbandonato con dolore dalla madre, che lo manda in Inghilterra con una finta famiglia, per evitargli i rischi del suo essere ebrea.
Perennemente diviso fra la quotidianità con una madre surrogata che lo tratta dolcemente, e un padre putativo con il quale non può riconoscere alcuna affinità; e una sottile insinuante nostalgia per la madre perduta – Casimiro aspetta per decenni il momento in cui potrà ritrovarne le tracce, e riconoscerne l’amore.
Sarà in un paese geograficamente vicino all’autrice, San Donato Val Di Comino, che il suo percorso, benché troppo tardi, si concluderà felicemente con quel riconoscimento tanto desiderato. Grete infatti si è rifugiata lì, sfuggendo la violenza nazista, insieme a tanti altri ebrei ed ebree come lei, amorevolmente accolte/i in un luogo che protegge, nasconde, e infine serba memoria.
Frutto di una lunghissima e scrupolosa ricerca fra il Lazio e Praga, in Svizzera, in archivi e presso persone che hanno conosciuto i fatti, aiutata da storici locali e libri preziosi, Patrizia Di Donato non ha potuto godere, purtroppo, del frutto della sua fatica, è morta prima della pubblicazione, lasciandoci una testimonianza forte del suo amore per la storia, le vicende umane e personali, la sua terra. Per la scrittura, che ha coltivato a lungo e in differenti modalità. La voce narrante di Casimiro pare essere la sua, con quell’urgenza e paura di fare tardi, che potrebbero aver segnato le ultime fase della stesura del romanzo, già ammalata.
Ci ha potuto lasciare, impresso sulla copertina, il suo nome: quello che Casimiro ha inseguito per l’intera esistenza, marchio della sua identità precaria. Delle sue identità, che cerca di rintracciare come Pollicino le tracce sulla strada del bosco.
«Un nome ti precede, pensai in seguito. Esce in strada prima di noi, ci fa spazio. Un nome ci assomiglia, è della taglia giusta. Ha le onde negli occhi e l’ora che cola dalle tempie. Un nome ci annusa, sa chi siamo. Dentro un nome ci caliamo con le membra di cera molle, ci fidiamo, ci lasciamo andare, gli offriamo la nuca e il petto. Esso si adira fra le nostre sopracciglia, ride sotto il nostro naso, ricorda il sangue della cicatrice sul mento, la ruga quando solca. Possiede una corda a tre capi, legata a nostra nonna, a nostro fratello, alla nostra famiglia. Un nome torna indietro quando vuoi, come nel gioco dell’oca. Riparte di nuovo. Ti afferra, un nome tuo, ti tiene stretto a sé, conosce i tuoi passi, il tuo uscire e il tuo tornare».
Patrizia Di Donato, Per amore di Grete, Redaction editore, Roma 2023

Nadia Tarantini

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