Accade oggi con discreta frequenza che poeti di lungo corso decidano di pubblicare una raccolta che comprenda, in forma antologica o integrale, le proprie opere uscite in passato, dagli esordi agli sviluppi successivi. Il prevalere della recensione mediatica sul saggio, e la conseguente scarsità di un lavoro critico volto a registrare il senso storico culturale di trasformazioni, evoluzioni e risultati, rende preziosi questi libri che ci consegnano un’immagine non frammentaria dei poeti.
Ci appare dunque, anche per questo motivo, assai interessante un libro recente di Loredana Magazzeni, Nella tempesta presente (Seri Editore), che comprende poesie tratte da opere composte dal 1998 al 2023. Nel leggere ci colpisce subito la scrittura “nomadica” dell’autrice, le cui voci, come osserva nell’introduzione Jessy Simonini, sono «plurali, sempre polimorfe». Magazzeni, cioè, pone in primo piano la propria soggettività, ma non si ferma, come molti/e poeti/e di oggi, alla modulazione del proprio io interiore, perché conosce bene, anche per la sua vicinanza al femminismo e la sua esperienza di storica dell’educazione femminile, i molteplici legami che intercorrono fra l’esperienza personale e le problematiche etico civili che incidono su di essa.
È dunque importante cercare di capire «il fallimento/ della ragione», ma anche, guardando al passato e alle sue «pagine solari», quel non volersi piegare al pessimismo. Imprescindibile il cercare di capire, e soprattutto il non arrendersi, il lasciare uno spazio aperto alla speranza. Si delinea così fin dalle prime pagine l’idea di un «Tempo duro per i viventi», che implica però la necessità di accogliere pensieri simili a «vicini di casa soccorrevoli». «Ri-esserci, ri-unirsi, ri-pensare l’umano sé», leggiamo nella breve introduzione che anticipa i temi della sezione Connessioni in epoca Covid – 19, nella quale notiamo la compresenza di tematiche diverse ma in certa misura affini, e di soluzioni formali che riflettono umori duri o flessibili, sempre però aperti alla vita e all’amore per gli altri: nelle Poesie dell’emigrazione, ad esempio, il tema, scandito e frantumato del dramma dei migranti di oggi (p. 21), si apre al ricordo, condotto con limpida concisione, dell’emigrazione dei nonni, spinti dal sogno dell’America. E ad essi la «figlia» si rivolge: «Invoco voi come numi del poema / della mia pena». E si direbbe che con questo libro, che raccoglie, riepiloga, approfondisce i reperti di un importante tratto di vita, Magazzeni abbia voluto comporre un poema in cui la pena, individuale e storica, ha un ruolo centrale in quanto minaccia e insieme strumento di conoscenza: «Non osare salvare / il buio interiore, dice. Sprangalo. / Fuori dalla coscienza, / chiudilo, annientalo (tu lo sai fare)» (p. 30).
Una sorta di doloroso bilancio è anche nella sezione La conta dei dispersi, dove il compianto di amiche e amici scomparsi fa emergere il ricordo di un’epoca dominata dalla «gioia di stare assieme»: «Donne come una viva fiumana di colori e di gonne e / di capelli / camminano compatte dietro striscioni che dicono / un perentorio essere noi, così a volere capire, / contare» (p. 47). Nella stessa direzione la poesia A Marilyn, sulla bellezza rievoca antiche e mai tradite convinzioni: «Dire noi voleva dire / cambiare. Eravamo piene di sogni. / Non ci immaginavamo vecchie. / Nessuno di noi poteva mai invecchiare. / Questa era la bellezza. / Anche tu, Marilyn, non sei invecchiata mai». Con Marilyn Monroe altre figure di donne segnano come icone il tempo, e incanalano il corso della poesia: Antonia Pozzi, Sylvia Plath, Adrienne Rich. Ad Antonia Pozzi è rivolta La miracolosa ferita del 2002, una sorta di serrato dialogo, un corpo a corpo con i versi in cui «resurrezione e morte coincidono». Anche qui un breve scritto dell’autrice interviene a chiarire come la scrittura di Pozzi abbia inciso sulla sua: «In aderenza alla sua, la mia è una scrittura fratturata, spaccata, dunque ferita». Ma poi interviene la doverosa precisazione sulla necessità di ricomporre i lembi della ferita, e quindi di tendere a una riconciliazione (p. 79).
In una poesia che accoglie in sé le ferite del vivere, Magazzeni cerca nella propria esperienza e nelle donne i segni che annunciano un futuro migliore. Per questo chiama in causa Maria Zambrano, la filosofa spagnola che nel libro Persona e Democrazia parla metaforicamente della luce dell’alba come annuncio e profezia di una luce che ne deriverà (p.111). Funzione della poesia è dunque il coltivare i semi delle parole che fanno germogliare la speranza: «Nel riparare è il gesto del cucire. / Né nel distruggere, né nel costruire. / Nel riparare è il gesto più sapiente» (p.169).
Nel percorrere le opere di Loredana, ci si accorge di un progressivo tendere verso un bisogno comunicativo, inteso come volontà di essere insieme: insieme alle madri, la cui vita viene introiettata dall’autrice (Canto delle madri e altri canti 2005) fino ad arrivare a Volevo essere Jeanne Hebuterne, 2012, indubbiamente uno dei maggiori punti di forza del libro, dove una Bambina non amata diviene persona femminile che coltiva in sé la Bambina che è stata e quel disamore ha trasformato nella «casa di carta» della poesia, ma si è fatta tatuare sulla spalla una piccola farfalla a indicare la possibilità del volo (p. 194).
Nel libro prevale, come nota ancora Simonini, un’«autobiografia poetica», nutrita delle voci più autorevoli della poesia di impronta femminista, ma incline alla convinzione che «l’urgenza più grande / è dare voce al mondo interno» (p.109), senza che venga meno quel bisogno etico-civile che spiega e completa la formazione dell’io: «stia attento ciascuno a evitare il dolore dell’altro» (p. 213) e «Non si può parlare di pace e usare le armi» p.228; e «L’Anima tragica del Novecento / mi raggiunse attraverso il pianto di mia nonna» (p. 227).
Loredana Magazzeni, “Nella tempesta presente”, Seri Editore, 2023
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Maria Clelia Cardona

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