VALIGIA IN DEPOSITO
È arrivata a casa mia all’imbrunire, d’altronde in novembre fa scuro molto presto. Ero preoccupata per lei, aveva quattro milioni con sé, quando i milioni erano milioni e con quella cifra ci si poteva campare un anno. Doveva viaggiare tutta la notte e io non pensavo ad altro che a un ladro di treni, che la sgamasse ansiosa e debole, con quel cappottino rosso un po’ consunto in fondo alle maniche e ai bordi del collo. “Quello nuovo non ci stava, ho dovuto lasciarlo al deposito.” Ho ripensato a tutte le volte che mi aveva parlato di quel programma pazzesco, trovare lavoro a Venezia una volta completata la valigia per il viaggio, con dentro vestiti identici a quelli che avrebbe lasciato a casa per ingannare i fratelli e il padre. “Ho trovato lavoro a Venezia, a novembre vado via.” No, tu non vai, dicevano loro, tu resti qui. Ma insomma. Alla fine ci era riuscita. E quel sabato, con la scusa di venire a trovare a Roma i bimbi che aveva tenuto a bada – ossia i miei figli – avrebbe preso il notturno di mezzanotte e la mattina dopo sarebbe sbarcata a Santa Lucia. “Lo so cosa stai pensando – mi disse mentre attaccavamo la minestra di broccoli e arzilla – ma tu devi stare tranquilla: lo vedi dove ho messo i soldi?!” E con gesto circolare si accarezzò entrambi i seni, da sinistra a destra e poi ancora da destra a sinistra. E sì che l’avevo sottovalutata. Aveva gli occhi spiritosi e la sicurezza audace delle contadine abruzzesi che “facevano fesso” il marito tirchio o malpensante e aggiravano i divieti della suocera. Mi mandò un telegramma la mattina dopo, ma tanto mi aveva convinta. Ci potete giurare.

Nadia Tarantini

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