Maddalena, di cui parlano i Vangeli secondo punti di osservazione differenti (vicina a Gesù e sua devota sostenitrice, peccatrice redenta, apostola privilegiata), fu senza dubbio una figura importante nella cerchia del Redentore, assistette con poche altre alla crocifissione, fu la prima a vederlo risorto, secondo Giovanni, e ne annunciò la resurrezione (20: 1-2), ebbe a suo nome un Vangelo Apocrifo. E’ una figura complessa, che, secondo alcuni studiosi, contiene diverse donne reali. Una immagine potente e fortemente implicata in trame simboliche, dunque, non a caso attraversata nella storia culturale da numerose opere letterarie e film dedicati.
Due libri di poesia ne parlano e sono scritti da due autrici contemporanee sensibili e attente al presente, impegnate, entrambe, in attività di promozione e critica della poesia attraverso rassegne culturali di spessore e longeve: Cinzia Demi cura “Un tè con la poesia” a Bologna e Monica Guerra anima “Independent Poetry” a Faenza. Luoghi di incontro con il pubblico e con autori/autrici, scambio di esperienze, letture pubbliche non solo finalizzate a una fruizione immediata ma attente allo sguardo critico, al favorire la composizione di una comunità di amanti della poesia in dialogo con diverse esperienze nazionali e internazionali.
Il libro di Monica Guerra, “Nella moltitudine”, si apre con una serie di poesie in prosa sulle Maddalene contemporanee, giovani donne «dai seni piccoli,/ una bellezza che rimane, un non ti scordar di me/ tra le crepe». Maddalene silenziose, scomparse e da sostituire nella notte, dal respiro corto e affannoso, lacerate dalle perdite. Con un desiderio di consolazione mai esaudito, «l’alternativa alla/ tenerezza di una panchina», che brucia sulla pelle «camuffando la leggerezza dei/ disastri».
Sono Maddalene perse in un sogno che non è sogno ma distanza dalla realtà così come si presenta, inaffrontabile, ingannevole; sono giovani e meno giovani disarmate di fronte alle tragedie, e tuttavia forti di cuore, non arrese: «tappando nella bufera le falle orfane con una / colla primordiale; di padre in figlio, nella pioggia, la resina/ della tua voce». E quando tutto si disgrega e sembra dissolversi ogni senso e il tempo siede su un’altalena vuota, come quella vita presa a calci con indifferenza, nel gioco di rimandi tra la poeta e Maddalena, da un lieve profumo, da una prospettiva umile e terragna come quella delle piccole margherite di un prato, sbuca improvvisamente una immagine pacata. Perché la vita si vive con «un occhio frontale» e l’immaginazione dirige al centro di un’unica via d’uscita oppure muove senza direzioni precise, ma ogni giorno è da vivere così come accade, a giorni alterni e colpi da schivare.
Nella parte finale della sezione poetica dedicata alle Maddalene si palesa una aperta relazione tra l’autrice,Monica Guerra, e la figura antica, e sembra suggerire una sorta di esortazione gentile rivolta a ogni giovane donna a non lasciarsi travolgere dalla sofferenza e dalla pervicace inquietudine di chi a ogni costo vuole dare un senso afferrabile alle cose, agli eventi. Ma «a volte bisogna consumare bene le scarpe persino i/ piedi oltre la soglia del dolore prima di scovare, sot/ to pelle, un seme di senso in una piantagione di/ silenzio». Come a dire che è una lunga strada quella della esplorazione del senso della vita, a volte difficile e rischiosa da percorrere. Una forma di sollecitazione affettuosa, dunque, a vivere questo tempo che ci è concesso osservandolo dall’interno e scoprendo gli spazi minimi che regala.
Non sembri una prospettiva modesta e deludente a confronto di irraggiungibili sogni, è invece una scelta di misura interiore che dà spazio a soluzioni ponderate e attive, non nasconde la fragilità umana e non cede al narcisismo sconsiderato. E’ interessante che questo colloquio tra la poetessa e Maddalena recuperi tra le righe proprio questa figura archetipica della nostra cultura religiosa e letteraria antica, condensando in essa una serie di immagini di forza e fragilità che bene si possono traslare al presente, basti pensare alle innumerevoli opere a lei dedicate nella nostra recente storia culturale.
Anche il libro di Cinzia Demi si colloca direttamente in tale confronto. Il volume si snoda in un percorso a più voci e in più luoghi e mette in scena diversi soggetti, sia della antica storia evangelica di Maddalena nel rapporto con Gesù e gli apostoli che non l’accettarono mai: «rivedo i vostri volti/ guardarmi come un’intrusa/ cercare di schivarmi// e Lui che mi sorride», sia nella contemporaneità di Bologna dove l’autrice giunge solitaria e vive una intensa giornata di celebrazione pubblica della festa di Santa Rita, tra i profumi stordenti di rose mature, nella folla di donne e uomini che seguono e accompagnano la processione. Il parallelismo tra le due donne avviene nel segno della fuga e del nascondimento dalla moltitudine di gente, nell’essere guardinga, nella scelta dell’isolamento per salvaguardarsi da un peccato di troppa bellezza, una colpa di cui le donne sono portatrici senza scampo, e che le induce a ritrarsi, rendersi invisibili, intoccabili: «tentare di rialzarmi/ uscire dall’immondizia/ così come dal corpo».
E’ proprio il corpo, come nel libro precedente di Monica Guerra, a proporsi come un nucleo centrale di questo snello e denso lavoro poetico. Il corpo come colpa atavica, che segna un destino, una direzione ineluttabile. Qui è in scena una Maddalena lacerata da memorie di vicende brutali passate che si mescolano al dolce ricordo di Gesù, una donna capace di guardarsi con occhio spietato nel corpo, nella vita, nelle relazioni: «io, per me rimango inerte/ come foglia che non cade/ che non cede ma non resta». In un crescendo che arriva a toccare la follia Cinzia Demi mescola il suo canto a quello di Maddalena, rivivendo la sua storia, le sue lacerazioni e la cacciata dal novero dei seguaci. Ma l’esperienza della morte di Gesù e poi della resurrezione, l’hanno profondamente toccata nella carne viva, mutandola, facendo convergere su di sé drammi irripetibili e una coscienza dilaniata dalla enormità degli eventi accaduti.
Come in un canto e un controcanto si muovono due presenze femminili, identificate anche dall’uso del corsivo e del tondo, di cui una interroga con insistenza nelle diverse pagine: «è un nome che cerco», quasi un ritornello ossessivo che domanda una identità, una forma riconoscibile di essere, di esistere, nella contemporaneità e nella storia della passione. Si dipana nelle pagine una storia privata e una vicenda storica con l’intreccio dei luoghi e delle esperienze, dalla Galilea a Bologna. E la irriducibile domanda iterata è l’invocazione a scoprire una identità che sveli o riveli un soggetto, una persona che possa testimoniare una presenza vera.
Interessante è l’ambientazione nei diversi luoghi ma soprattutto il senso del buio in cui si muovono molte pagine, come in una ricerca difficile e oscura, in cui non è dato vedere i confini degli oggetti, dei limiti delle esperienze, dove tutto si confonde. Ma quando nella parte finale la verità si fa strada «c’è una luce che m’invade», allora «Maddalena è la cura/ il nome che ho addosso/ che brucia memoria // lei mi accompagna bellezza/ animale lei mi trattiene/ si siede sulle mie ossa». In questa identità svelata definitivamente e assorbita nella propria carne, la poetessa non può fare a meno di gridare al mondo questa verità.
Monica Guerra, Nella moltitudine, Prefazione di Francesco Sassetto, Il Vicolo Editore, Cesena, 2020.
Cinzia Demi, Ero Maddalena, Prefazione di Gabriella Sica, Postfazione di Rosa Elisa Giangoia, puntoacapo Editrice, Pasturana (AL), 2013.
PASSAPAROLA: GRAZIE ♥Gabriella Musetti
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