Epopea e storie della comunità trans dagli anni ’60 – quando il solo esistere era già reato – fino a oggi nell’ironico e appassionato libro di Porpora Marcasciano. Le discussioni di un tempo per i tacchi a spillo con le femministe e poi l’incontro con la comunità Lgbtqi.
Clotilde Barbarulli
Porpora Marcasciano ci riporta al mondo degli anni Sessanta, in cui la repressione era violenta contro le forme emergenti di visibilità trans: basta ricordare che nel 1969 Romina Cecconi, il primo caso riconosciuto dì cambiamento di sesso, viene inviata al confino perché “socialmente e moralmente pericolosa”.
Del resto nel 1981 Porpora finisce a Regina Coeli solo per essere uscita da una lezione universitaria con un “cappottino rosso magenta con i bordi di finto pellicciotto leopardato, scarpette con un tacco…, foulard, collane… un trucco più o meno leggero”. La polizia la ferma insieme alla sua amica e l’arresta: passerà tre giorni e tre notti in cella a chiedersi quale fosse il suo crimine, finché non viene condannata per atti osceni in luogo pubblico, solo per essere uscita di casa travestita.
Storia e storie della comunità trans dagli anni ’60 – quando “la vita stessa per una trans era reato, per il solo fatto di esserci” – ad oggi in un romanzo/saggio, con una scrittura attraversata da ironia, passione e amore anche nei momenti più dolorosi: trans cattive, come recita il titolo, perché «tali eravamo considerate e tali ci sentivamo», scrive Porpora, «lontane e fuori dalle logiche normalizzanti». Così le prime rivendicazioni per la visibilità passavano attraverso il travestimento, per distruggere “la gabbia”, perché «nascere e crescere in un sistema come quello occidentale, significa vedere e riferirsi esclusivamente a uomini e donne, liquidando tutte le sfumature come scarti».
Il trucco, gli abiti, le pettinature strabilianti a volte erano volutamente esagerati per sottolineare “quel maschile assoluto che pesava”, anche se l’enfatizzazione a volte veniva considerata, anche da parte di alcune femministe, come «un assurdo scimmiottamento della femminilità». Non capivano che “i colori di guerra”, i tacchi a spillo sono segni essenziali nella storia della liberazione, sono il simbolo stesso – sottolinea Porpora – del “nostro” Pride dove il corpo diventa strumento di resistenza e affermazione.
Non avevano un’idea precisa del transito, provavano gli ormoni come una sorta di sperimentazione, un sogno più che un bisogno. Erano tempi in cui tutto era da inventare, serviva una nuova grammatica per la strada; e l’unico luogo in cui esprimersi e rendersi visibili era «la notte… riservata ai non conformi». Erano le dimensioni naturali in cui muoversi, fra diffide, retate, soprusi e umiliazioni nelle varie città. Essere trans in quegli anni infatti voleva dire vivere ai margini, prostituirsi in pensioncine romane a Castro Pretorio, negli scantinati di San Lorenzo, all’aperto: “la prostituzione era lavoro, vocazione, spettacolo e dramma”. Ma il racconto parla anche del movimento gaio fra feste e amori, di protagoniste “leggendarie” e degli anni del “magico fulgore trans” per Porpora – chiamata per performance e spettacoli – perché il corpo sognato diventava, grazie agli ormoni, reale.
Quindi il percorso politico, le vittorie conquistate duramente, le sconfitte, la nascita in particolare del Movimento Identità Transessuale (Mit), la prima associazione trans fondata in Italia nel 1981, dove Porpora comincia a impegnarsi regolarmente dal 1984. Poi per il riconoscimento del cambio di sesso, la legge 164, approvata il 14 aprile 1982. È qui che per Porpora, anche se non desiderosa di chirurgia di modificazione di genere, si colloca il passaggio nella storia dell’esperienza trans* verso un progetto politico collettivo. Ma arrivano anche l’eroina e poi l’Aids, un impatto drammatico.
Tuttavia il percorso è stato positivo, e il Mit si è intrecciato con il movimento omosessuale e lesbico, poi Lgbtq interagendo e producendo politica, cultura, saperi, mentre emergeva “una serie variegata di salutari sfumature”, la grande migrazione di genere verso un corpo in cui sentirsi bene, anche se resta complessa la trasformazione fisica, fra desiderio di un intervento chirurgico e sperimentazione di “un nuovo modo di essere corpo” in transiti possibili.
Porpora non elude il problema della tendenza diffusa alla normalizzazione che rischia, a suo parere, di annullare parte della storia trans, per voler essere riassorbite da un sistema che rifiuta le trans: “la normalità non ci concepisce”. È inutile appellarsi – sostiene – alla cosiddetta normalità, in un mondo “la cui unica monolitica normalità resta esclusivamente la propria”. Né elude l’emergere di “soggetti politici inimmaginabili prima: trans ma anche gay e lesbiche di destra, o dichiaratamente fascisti, dunque esponenti di quella stessa cultura politica che sottrae diritti”.
Questo libro esprime quindi sia una risposta di r/esistenza in una società chiusa ed escludente, sia l’intento di non dimenticare “la grande rivoluzione”, l’epopea trans con la messa in atto della decostruzione di genere: perciò Porpora chiude quello che considera un lavoro collettivo nominando tutte “le meravigliose creature” incontrate, in una sorta di genealogia. La condivisione di tempo, vissuti, desideri e timori, ha creato una rete affettiva straordinaria che ha prodotto relazioni, soggettività, visione politica.
Porpora Marcasciano, L’aurora delle trans cattive. Storie, sguardi e vissuti della mia generazione trasnsgender, Alegre 2018
Porpora Marcasciano, AntoloGaia, Alegre 2015
Porpora Marcasciano, Favolose narranti. Storie di transessuali e travestiti, Manifestolibri 2008
PASSAPAROLA:









Clotilde Barbarulli

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