Che rabbia

Giovanna Pezzuoli, 29 marzo 2019

Soffia un vento misogino di destra in tutta Europa e i conservatori e gli integralisti cristiani si sono dati appuntamento a Verona in questa fine marzo. Il nuovo numero di Leggendaria, il 134, parla del nuovo odio maschile e della forza delle donne che lo stanno combattendo.

Giovanna Pezzuoli

«Se soffia un forte vento di destra, misogino e illiberale, un vento altrettanto forte può contrastarlo: sarà una tempesta? Noi speriamo, contiamo che sia femmina», è l’augurio di Anna Maria Crispino, direttrice di Leggendaria, nell’ultimo numero dedicato all’analisi di due fenomeni, due tendenze di segno contrario che si contrappongono e si fronteggiano: la rabbia degli uomini e i nuovi protagonismi femminili. Intitolata «Ma che rabbia!», la rivista mette in copertina l’immagine di spalle di un naziskin con il cranio rasato e il giubbotto adorno di svastiche: si raccontano dunque il rancore e la rivalsa maschili, la misoginia uscita allo scoperto con arroganza e senza più remore, gli hate speech legittimati, gli attacchi sempre più pesanti contro le donne su terreni che ritenevamo acquisiti, dalla 194 al diritto di famiglia, dalla pluralità delle forme di convivenza e delle identità sessuali alla legge Merlin sulla prostituzione, dagli studi di genere al welfare. Ma non avranno gioco facile, osserva Anna Maria Crispino. «A questo torbido mare di rabbia contrapponiamo il protagonismo femminile, anche quello che non si dichiara esplicitamente femminista e che spesso si esprime in forme nuove: in azioni civiche e nella rappresentanza politica, nella resistenza militante e in proposte e pratiche alternative, nel discorso pubblico e, autorevolmente, nella cultura e nella scienza».

Un «maschio furioso» secondo Silvia Neonato, che analizza come i toni delle destre radicali europee e americane contro le libertà delle donne si stiano facendo sempre più crudi, volgari e violenti, dalle minacce di Santiago Abascal Conde, il leader andaluso di Vox (che nelle elezioni di dicembre ha conquistato ben 12 seggi in Parlamento) alle macabre parole di Jaroslaw Kaczyński, leader del PiS, attualmente al governo in Polonia («faremo di tutto perché anche le gravidanze più complicate, quando il bambino è molto malformato o destinato alla morte, finiscano con il parto per poter permettere il battesimo e la sepoltura»). Odio che viaggia pure sul web, con le donne impegnate in politica e nel giornalismo che hanno ricevuto nel corso del 2017 un milione e 200mila tweet offensivi, mentre le canzoni di rapper e trapper (da trap house la casa degradata dove si spaccia) sono un susseguirsi di termini infamanti e brutali, quando non parlano addirittura di femminicidi per punire donne che hanno tradito, come nel video Yolandi del trapper Skioffi peraltro visto da oltre mezzo milione di persone («Non parlare brutta cagna che da oggi sono un cane anche io/Non mi hai mai voluto dare il culo, adesso me lo prendo […] Ti ricordi tutti i miei regali/La collana che costava troppo/ Adesso dimmi che mi ami, visto che l’ho presa e te la sto stringendo al collo»).
Offendere le donne a partire dal loro aspetto fisico (body shaming) o dalla loro moralità (slut shaming) è una pratica sempre più diffusa, un modo per ricordare loro che prima di essere registe, politiche, attiviste, giornaliste sono donne la cui funzione principale è quella sessuale.

Se il mondo torna uomo s’intitola il libro collettaneo curato da Lidia Cirillo (edizione Alegre), preziosa miniera di dati sulle donne e la regressione in Europa che analizza l’intreccio tra il populismo religioso e il populismo nazionalista che hanno occupato lo spazio pubblico, appropriandosi in chiave reazionaria anche del linguaggio dei diritti. Ma gli uomini odiano le donne? si chiede Simona Bonsignori, che esplora un mercato del lavoro ancora segregato e gap salariali vistosi (a livello globale le donne guadagnano il 23% in meno degli uomini, i quali possiedono il 50% in più della ricchezza). I bersagli, si sa, non sono solo le donne. «Prima gli italiani, basta migranti e basta femministe», ma la percezione stravolge la realtà come spiega Franca Fossati, analizzando «la paura dell’uomo nero, fra antiche suggestioni e spregiudicata propaganda». Secondo uno studio dell’Istituto Cattaneo oltre il 70% degli italiani pensano che gli stranieri siano quattro volte di più, alimentando sentimenti di rancore verso gli immigrati che diventano il capro espiatorio del proprio disagio sociale («sovranismo psichico», lo definisce il Censis). Ma le donne possono contribuire al recupero del buon senso? I dati elettorali sono in questo senso sconfortanti: in Veneto, per esempio, le donne che hanno votato Lega sono state il 34,9% contro il 29,6% degli uomini. Secondo l’Istat sono tante le donne (il 36,6%) che dicono di non uscire più la sera per paura, dell’uomo nero, appunto. Si torna dunque a parlare di fascismo, mettendo a tema il rapporto fra il colonialismo italiano del passato e le migrazioni di oggi: Gisella Modica cita Sangue giusto di Francesca Melandri, cogliendo una diretta discendenza dal razzismo fascista e colonialista negli atteggiamenti verso i corpi neri delle prostitute nigeriane di oggi, disprezzate quanto i corpi delle africane di ieri, viste come un «continente da colonizzare», nella vecchia pratica del «madamato» che consentiva al bianco di possedere una donna africana come domestica e partner sessuale senza l’obbligo di riconoscere i figli.

Un attacco alle donne che sembra sancire la fine dello stato di diritto, a partire da Paesi come Polonia e Ungheria, che guidano la deriva illiberale in Europa. Nel quadro di concrete minacce a libertà acquisite, ha avuto una certa risonanza internazionale la cancellazione dei programmi di Gender Studies presso l’università ELTE e la Central European University di Budapest, decisa da Viktor Orbán contro il parere della comunità accademica. In un contesto di allarme democratico, la messa al bando degli studi di genere potrebbe apparire poca cosa, nota Giorgia Serughetti, ma non è così, perché indica la volontà di colpire un settore di studi per sua natura critico nei confronti delle aspirazioni autoritarie dell’élite al governo, che ha giustificato l’iniziativa con l’argomento dell’incompatibilità degli Studi di genere con i valori cristiani. Una demonizzazione della gender ideology che è diventata uno strumento retorico chiave nella costruzione di una forma di consenso verso ciò che è normale e legittimo, sostituendo il paradigma liberale dei diritti umani con parole come Famiglia, Nazione, Religione. Ma chi può salvarci dall’odio? Nella Polonia stravolta dall’assassinio del sindaco di Danzica, Pawel Adamowicz, il 13 gennaio 2019, si alzano forti le voci delle donne, come quella della scrittrice Olga Tokarczuk – di cui è appena uscito in Italia il romanzo I vagabondi – che elenca tutti gli elementi che contribuiscono alla creazione della soffocante atmosfera dell’odio, cioè il silenzio e il cinismo della Chiesa, la propaganda maldestra e aggressiva delle televisione statale, il consenso della polizia nei confronti degli eccessi antisemiti… Dalla Polonia al Brasile di Jair Bolsonaro, dove la titolare del nuovo Ministero della Donna, della Famiglia e dei Diritti Umani, una pastora evangelica radicale, arriva a decretare l’obbligo di usare il rosa per le donne e l’azzurro per gli uomini, a favore del ristabilimento degli esatti confini fra i generi sessuali.

Ma c’è anche un altro vento, che, come dicevamo, soffia in Occidente: donne finalmente in molti posti di comando, donne leader, ministre e sindache. Donne che prendono iniziative politiche, fondando non per cooptazione bensì grazie all’appoggio del territorio, quella che negli Stati Uniti chiamano grassroot politics (la politica dei fili d’erba, ovvero dal basso). Sarà questo il vero contrasto ai sovranismi? Alessandra Quattrocchi analizza questo fenomeno inedito nella storia, a partire da alcune importanti realtà europee come la Scozia – dove da tempo Nicola Sturgeon è First Minister, mentre un’altra donna guida il partito dei conservatori, Ruth Davidson – e la Germania, dove il partito cristianodemocratico ha scelto come sostituta di Angela Merkel la pragmatica, ortodossa Annegret Kramp-Karrenbauer (AKK). Una carica di donne, che non coinvolge solo i paesi scandinavi (con la Norvegia che fa da apripista fin dagli anni Ottanta e ha rieletto nel 2017 la conservatrice Erna Solberg), ma anche la Spagna, con il governo di Pedro Sanchez che conta il 50% di ministre e due donne sindache a Madrid e Barcellona (Manuela Carmena e la femminista catalana Ada Colau) e la Francia, dove la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo ha 27 assessori, dei quali 15 sono donne.
La politica femminile è diversa: pragmatica, inclusiva, dal basso, raccontano Lia Quartapelle, deputata Pd a Montecitorio, e Elly Schlein, europarlamentare di Possibile a Bruxelles. Non è un Paese per donne, il nostro, sostiene Schlein. E fa un unico esempio concreto, il tema della «tampon tax» che in Francia e negli Stati Uniti è stato molto discusso, mentre in Italia è stato quasi sbeffeggiato quando venne fatta la proposta di legge per abbassare l’Iva sugli assorbenti, considerati come beni di lusso. Si tratta di ragionare sullo stile femminile al potere – dice Lia Quartapelle – in Germania la Merkel ha fatto scuola, così come negli Stati Uniti ci sono candidate alla presidenza che sono favorite. Quando le donne capiscono che la leadership femminile è diversa, inclusiva, generativa, di empowerment dal basso, rassicurante, smettono di seguire le modalità maschili del potere. Del resto il Pd ha perso con una leadership molto maschile, per certi versi machista, e la gente ci ha mandato a quel paese…

Di un punto di vista femminista per rifondare l’Europa parla Eleonora Forenza, deputata al Parlamento europeo dal 2014, del gruppo Gue/Ngl (Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica), intervistata da Sara Pollice. È il femminismo del 99%, espresso da un movimento mondiale come Nonunadimeno, diverso dal femminismo interno al neoliberismo progressista e opposto ai femminismi di destra. Quanto all’Italia, secondo Forenza, la sinistra politica italiana e in generale il panorama politico è quello più impermeabile a una rifondazione femminista, incapace di cogliere nel femminismo la chiave per ripensare il conflitto sociale e creare una connessione fra lotta antirazzista, antifascista e antipatriarcale. Detto questo, non ci arrendiamo…

Ringraziamo il sito del Corriere della sera La 27esima Ora per averci concesso di pubblicare una
parte dell’articolo di Giovanna Pezzuoli
Per informazioni su come trovare Leggendaria guardare sul suo sito on line

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Giovanna Pezzuoli

Giovanna Pezzuoli, laureata in Filosofia all’Università Statale di Milano, autrice di vari saggi sulla condizione della donna, è giornalista professionista dal 1987 al Giorno, dopo la collaborazione con numerose testate, tra cui L’Espresso, Panorama, Il Sole24Ore. Dal 2000 al 2010 è al Corriere della Sera come caposervizio e quindi vicecaporedattrice, sempre occupandosi di tematiche femminili. Fino al 2015 collabora con il Corriere della Sera, continuando poi a scrivere sul blog del Corriere, la 27esima Ora, per cui coordina, insieme a Luisa Pronzato, il libro “Questo non è amore” (Marsilio, 2013). Tra i suoi lavori recenti“Alla ricerca di Mr Darcy” (Iacobellieditore, 2017), il libro collettaneo “Lady Frankenstein e l’orrenda progenie” (Iacobellieditore, 2018) e la curatela, con Luisella Seveso, dei volumi “100 donne contro gli stereotipi per la Scienza”, “100 donne contro gli stereotipi per l’Economia” e “100 donne contro gli stereotipi per la Politica Internazionale” (Egea, 2017, 2018 e 2019). È una delle ideatrici del sito www.100esperte.it e fa parte dell’associazione GiULiA (Giornaliste unite, libere, autonome).

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