Marie Curie, genio e scandalo 1/

Giovanna Pezzuoli, 13 settembre 2020

Ritratto intimista di una pioniera, geniale e ribelle, negli anni più emozionanti e drammatici della sua esistenza. Marie Noëlle, regista e sceneggiatrice francese (tra i suoi ultimi lungometraggi, Ludwig II, ricostruzione storica della vita stravagante del re bavarese), illumina la figura della scienziata Marie Curie Slodowska raccontando le sue scoperte e i riconoscimenti ricevuti ma soprattutto la sua vita familiare e le sue passioni. Dal 1903, anno in cui vinse il Nobel per la Fisica insieme al marito Pierre, al 1911, quando le venne assegnato il Nobel per la Chimica, con il consiglio da parte dell’Accademia svedese di non partecipare alla cerimonia di consegna, vista la sua scandalosa relazione con il collega Paul Langevin. 

Marie Curie. Il coraggio della conoscenza è un film gradevole anche per la bella interpretazione dell’attrice polacca Karolina Gruszka, che esprime una sensualità intensa, temperata dal fervore intellettuale. Certamente privilegia gli aspetti privati della vita della studiosa che ha rivoluzionato il mondo della scienza, dedicando soltanto frammenti di immagini al contesto storico, brevi squarci d’epoca, come le polemiche tra gli scienziati francesi relative alla «moda» degli studi sulla radioattività o il noto discorso di Pierre Curie (l’attore Charles Berling) durante la consegna del Nobel, in cui sottolineava l’ambivalenza della scoperta del radio, elemento potenzialmente nocivo in mani criminali. O ancora le  discussioni tra Marie Curie e Albert Einstein sui contatti fra la teoria della radioattività e la teoria dei quanti. 

Il film si apre con il parto della seconda figlia, Ève, in un’atmosfera familiare tenera e affettuosa: Marie e Pierre sembrano vivere in modo schivo («un po’ da selvaggi», dice lui) rifuggendo dalla mondanità imposta dalla vittoria del Nobel. Cercano fondi per le loro ricerche ma non la celebrità e si accostano ai loro esperimenti con un atteggiamento d’amore, percepibile nelle parole di Pierre che dice a Marie «il nostro radio emana una luce dal cuore come te». Noëlle racconta in modo un po’ calligrafico la tenerezza di Marie Curie madre, l’amore per il marito e il dolore per la sua morte improvvisa, quando viene travolto da una carrozza a Parigi, nel 1906. Ma la vita continua nonostante i momenti di scoramento («senza Pierre non sono niente») perché solo lavorando e riuscendo a isolare il radio allo stato puro, Marie ha l’impressione che lui le sia ancora accanto.

L’ambiente maschilista si scontra con il femminismo ante litteram della scienziata. «Non si tratta di un titolo che si eredita con il matrimonio» le viene detto quando si candida per la cattedra di Fisica di Pierre, ma poi sarà accettata: un’immigrata dalla Polonia, prima donna ad entrare alla Sorbona.

Le tonalità melò si accentuano con il racconto della relazione “scandalosa” con il matematico Paul Langevin (Arieh Worthalter) sposato e padre di quattro figli. Galeotto, il congresso di Solvay, nel 1911, dove Marie Curie appare unica donna tra una folla di uomini in completo nero e bombetta, che non lesinano battute assai misogine nei suoi confronti («fredda come un pesce lesso ma scopabile»). 

Nell’ultima parte del film è la passione tra lei e Paul a dominare la scena, tra fughe clandestine nei boschi, notti insonni e duelli nel bosco di Vincennes per difendere l’onore dell’amata («non hai il coraggio di divorziare ma di farti uccidere sì…», gli rinfaccia Marie). Una tensione che raggiunge l’apice nel drammatico scontro con la moglie di Paul, Jeanne, e nella conseguente campagna diffamatoria nei confronti di «un’ebrea adultera», dove risalta ancora una volta il maschilismo dell’Accademia di Francia che respinge la nuova candidatura di Marie Curie, «una donna che non avrebbe scoperto più niente dopo la morte del marito». 

Ma ci sarà una rivincita finale per questa scienziata geniale e determinata, capace di liberarsi dai pregiudizi del tempo e di conquistare un secondo premio Nobel, nel 1911, questa volta per la Chimica, grazie alle sue scoperte su radio e polonio. Premio che Marie andrà orgogliosamente a ritirare, ignorando gli ipocriti suggerimenti dell’Accademia svedese. 

Grande esempio di anticonformismo, messo in luce da un film che sottolinea come  innamorarsi possa sembrare una colpa sgretolando ogni nobiltà scientifica: Marie, in altre parole, doveva rimanere una vedova illustre. Lieto fine rimandato di due generazioni perché il destino delle due famiglie Curie e Langevin resterà intrecciato: la nipote di Marie, Hélène Curie, e il nipote di Paul, Michel Langevin, entrambi scienziati, si sono innamorati e sposati.

La vita straordinaria di Marie Sklodowska Curie ritorna nel biopic del 2019 Radioactive, diretto da Marjane Satrapi, regista e fumettista al suo quarto film, dopo il più noto Persepolis del 2007. Una pellicola adattata dalla graphic novel di Lauren Redniss (Radioactive. Marie & Pierre Curie: A Tale of Love and Fallout), disponibile su varie piattaforme, da Sky a Chili.  

Nel 1893 Maire (l’attrice Rosamund Pike) è una studentessa polacca dalle intuizioni folgoranti e dal carattere decisamente orgoglioso e ribelle, sottovalutata e rifiutata dal mondo tutto maschile della scienza. Il suo femminismo però sfiora l’arroganza e la sua battaglia contro i pregiudizi sessisti dell’epoca si colora di un’intransigenza che mette a dura prova anche il rapporto fusionale con il marito Pierre, che fino alla morte le offrirà sostegno e solidarietà. 

Così il biopic fatica a trovare una sua dimensione e Marie non suscita alcuna empatia. Si staccano dalla linearità della narrazione gli effetti speciali, tra minerali rari e luci fluorescenti, che descrivono in modo fin troppo pedante origini e caratteristiche di radio e polonio. E non convincono nemmeno i salti temporali per dimostrare la natura benefica o distruttrice del radio, dal bambino curato con la radioterapia, a Cleveland nel 1957, al lancio della bomba su Hiroshima il 6 agosto 1945; dai test nucleari nel deserto del Nevada nel 1961, seguiti da una folla di curiosi, al tragico incidente alla Centrale di Chernobyl nell’aprile del 1986.

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Giovanna Pezzuoli

Giovanna Pezzuoli, laureata in Filosofia all’Università Statale di Milano, autrice di vari saggi sulla condizione della donna, è giornalista professionista dal 1987 al Giorno, dopo la collaborazione con numerose testate, tra cui L’Espresso, Panorama, Il Sole24Ore. Dal 2000 al 2010 è al Corriere della Sera come caposervizio e quindi vicecaporedattrice, sempre occupandosi di tematiche femminili. Fino al 2015 collabora con il Corriere della Sera, continuando poi a scrivere sul blog del Corriere, la 27esima Ora, per cui coordina, insieme a Luisa Pronzato, il libro “Questo non è amore” (Marsilio, 2013). Tra i suoi lavori recenti“Alla ricerca di Mr Darcy” (Iacobellieditore, 2017), il libro collettaneo “Lady Frankenstein e l’orrenda progenie” (Iacobellieditore, 2018) e la curatela, con Luisella Seveso, dei volumi “100 donne contro gli stereotipi per la Scienza”, “100 donne contro gli stereotipi per l’Economia” e “100 donne contro gli stereotipi per la Politica Internazionale” (Egea, 2017, 2018 e 2019). È una delle ideatrici del sito www.100esperte.it e fa parte dell’associazione GiULiA (Giornaliste unite, libere, autonome).

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