Vita, pensieri e opere della giornalista e attivista comunista Miriam Mafai, scomparsa nel 2013, raccontate da Annalisa Cuzzocrea che ha avuto modo di leggere anche le sue carte private. Figli, mariti, la Resistenza, la politica: che prezzo ha pagato quella generazione di donne per sembrare “fatte col filo di ferro”?
Di Nadia Tarantini
Cuore tenero in un corpo/anima d’acciaio. Anzi, fatta con il filo di ferro – come disse un suo direttore. «Ma con il fil di ferro ci si fa male, e Miriam si è fatta molto male», scrive Annalisa Cuzzocrea nel suo appassionato e rigoroso romanzo sulla vita di Miriam Mafai: E non scappare mai (sottotitolo, quasi un sommarietto di giornale:
Miriam Mafai,
i segreti e le lotte nella
tempesta della Storia).
Per me, Miriam Mafai è stata una persona di famiglia, un mito da seguire quando sognavo il mio futuro – e una convivenza stretta di un intero anno scolastico, quando a sedici anni persi mio padre, un amico carissimo per lei. In quell’anno cercò di insegnarmi a vivere senza illusioni, aprì il mio mondo provinciale alla città e agli intellettuali comunisti. Teneva in mano l’asta dell’indipendenza e della fiducia in se stesse, della propria forza, benché non fosse facile con un’adolescente ferita. Chiedere, se avevi bisogno, ma senza appoggiarti a nessuno.
Neppure della propria bellezza ci si poteva fidare. Miriam diffidava del fascino delle donne – anche del suo potere di attrazione sugli uomini, che era sicuro come le sue battute fulminanti. Lo diceva alle donne cui voleva bene, per ribadire: conta solo su di te, su ciò che di te non dipende dal giudizio degli altri. Ne feci cruda esperienza anch’io, il giorno in cui provai il mio primo bikini e lei, ammirando le mie gambe, mi precisò che non c’era bisogno di belle gambe per scegliersi gli uomini che ci piacevano.
Fu una lezione indimenticabile: hai altro per conquistare il mondo, hai te stessa, la tua personalità, qualcosa di unico. Sai quante volte si sarà rammaricata, quella e altre volte – come racconta Cuzzocrea – di quel modo ispido che le usciva nel suo comunicare, proprio quando ci teneva di più, con la figlia Sara e con il figlio Luciano, con Nullo alla fine; del filo diretto che non sapeva tendere fra gli affetti che sentiva e le parole che trovava per esprimerli.
Nel libro di Cuzzocrea la conosciamo per quella che è stata, già in una lettera che scrisse, sfollata a Poveromo (Versilia) a tredici anni, al padre in guerra. Sicura dei suoi mezzi, allegra e ironica, innamorata del pittore Mario:
«Mio Daddino carissimo […]
Notizie degli ultimi giorni.
- Nonna mi ha mandato una sua fotografia…
- Mamma ha avuto un peggioramento alla solita gamba.
- Mammina mi ha fatto un ritratto con una corona di grosse margherite gialle
- Ho imparato molto bene sui pattini il “volo d’angelo” e il passo all’indietro
- Ho incominciato un nuovo romanzo intitolato “Quartiere di lusso”. Dovrebbe essere molto carino. Io ci spero […]
Bollettino meteorologico. Venti nulli. Cielo coperto. Mare calmissimo.
Quotazione di borsa. Mammina ha vinto con cifre strabilianti a Monopoli (300.000 lire – 20 terreni)
Bollettino demografico. Venerdì sera è nato un bambino che ha fatto divenire bisnonno un uomo di 58 anni. […].
Vedi che precisione? Quando si dice che uno ha il bernoccolo del giornalista! Riesce a fare del giornalismo anche nei più semplici avvenimenti familiari e trasmetterli radiofonicamente al babbo sotto le armi, il babbo che spero non soffrirà molto e a cui penso tanto».
E la ritroviamo alla fine della vita nell’ultimo 8 marzo di cui scrisse, l’anno prima di morire, nel 2011: «Corri, bambina corri…tu che hai buona testa, le gambe e il cuore. Corri senza rallentare davanti agli ostacoli, alla stanchezza, alla nostalgia (che pure talvolta ti coglie) del tempo della lentezza e della protezione.
Corri per arrivare dove avevi deciso, per soddisfare il tuo sogno e la tua ambizione».
La seguiamo passo passo negli anni, in quelle tempeste in cui – dice la figlia Sara – si trovava a suo agio, nel suo elemento. Pronta a non scappare mai, ad affrontare di petto le situazioni: la Resistenza, il trauma del primo matrimonio che tenne nel segreto tutta la vita, la politica comunista cui si dette con tutta se stessa – ma che spesso non soddisfaceva il suo cervello indipendente e critico. Assessore a Pescara negli anni Cinquanta, direttrice di Noi Donne, Deputata. Inviata di punta di Vie Nuove, Paese Sera, Rinascita, fondatrice e inviata di Repubblica. E sempre il tarlo delle emozioni da tenere a bada – senza darlo a vedere.
Cosa c’è voluto, alle donne della sua generazione, per sopportare la vita facendosela piacere? Per mantenere, Miriam, anche nei periodi più difficili, la risata squillante che faceva girare le clienti e i clienti di un ristorante? Manifestò con chiarezza e più volte, ci racconta Cuzzocrea, la sua gratitudine ai genitori. Artisti. Antifascisti. Coerenti fino all’autolesionismo. Come quando rifiutarono il certificato di battesimo falso che avrebbe consentito a lei e alla sorella Simona di restare al liceo, dopo la promulgazione delle leggi razziali del 1938.
Cuore tenero e fermezza rispetto ai sentimenti delle femmine, nei tre amori importanti della sua vita. Il primo marito, Ugo, di cui mai volle parlare: si sposarono ventenni, subito dopo la guerra, soltanto in Sinagoga. Ne chiuse il ricordo chissà dove dentro di sé; la sua pistola e un biglietto in fondo ad un cassetto; i suoi libri sugli scaffali più alti della libreria. Ugo, che veniva da Alessandria d’Egitto, che la ferì per sempre con il suo suicidio e un biglietto feroce: “Così Miriam impara”.
Umberto, che sposò subito dopo, funzionari entrambi del Pci a L’Aquila, gli restò legata dopo la separazione, si addolorò della sua morte – per quel bene che ti resta dalle prime esperienze di vita vera, perché con lui hai voluto una famiglia, perché ti sono restati Luciano e Sara a ricordare la vostra storia. Umberto, sì, era fatto di acciaio; e troppo diversi, troppo diversa lei per un uomo comunista che non avrebbe apprezzato il femminismo. Tenero davvero – sotto la fama di uomo dalle battute crudeli, dai comportamenti rigidi – il terzo e definitivo compagno di trent’anni della sua vita adulta: Giancarlo (Pajetta) detto Nullo e anche Capitano Mare dalla Resistenza. Che la inseguiva col suo amore – lettere telegrammi biglietti lasciati sulla scrivania in sala stampa a Montecitorio: per Miriam era appiccicoso come una colla, e non faceva altro che scostarlo.
Solo dopo la sua morte, nel 1990, nella solitudine di un diario che aveva ripreso in mano dopo trent’anni, ammise: «26 settembre 1990
Una notte dolorosa. […] Non sento, per ora, la solitudine. Sono al contrario come ripiena di un sentimento di grande tenerezza: per lui. Mi sembra, ora, di potergli esprimere liberamente, felicemente, senza remore e senza vergogna ed anche senza il timore – che tanto mi ha bloccata – di una sua irrazionalità, di una sua continua richiesta di altro affetto, di altra tenerezza. Ora, che lui non c’è più, voglio dirgli tutto il bene che gli ho voluto e il piacere per lo scambio con la sua intelligenza».
Annalisa Cuzzocrea si è immersa nelle carte di Miriam Mafai, anche le più segrete, prestatele con generosità dalla figlia Sara. Ha rinfrescato la sua memoria di una collega speciale di Repubblica, riguardando le interviste e le apparizioni televisive di Miriam. Le foto. Studiando le carte degli anni in cui lei è vissuta, dal 1926 al 2012. Ne ha fatto, prima di tutto, materia per se stessa, per la riflessione su di sé. Forza per i suoi tempi così differenti – e insieme tanto simili, per l’agone in cui tocca alle donne vivere.
Perciò la lettura di E non scappare mai risuona dentro ognuna di noi, ci incoraggia, giovani e anziane, ad aver fiducia nelle nostre forze. E nelle altre donne.
Annalisa Cuzzocrea, E non scappare mai. Miriam Mafai, i segreti e le lotte nella tempesta della Storia, Mondadori, 2025

Nadia Tarantini

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