Barbara Mapelli ha scritto su Letterate Magazine una recensione critica del recente libro di Francesco Piccolo “Son qui: m’ammazzi”, nel quale lo scrittore segue con coerenza e coscienza quello che sostiene da tempo in altri testi, tra cui il mio preferito “L’animale che mi porto dentro” (Einaudi, Torino, 2018), oppure ne “La separazione del maschio” (stesso editore, 2008).
Maschio e bestia sono sinonimi: aggressività, violenza, istinti brutali non possono essere nascosti, nemmeno sotto la coltre della cultura, della buona educazione, dello stare in società. A volte l’uomo è ancora più crudele quando agisce attraverso la pavidità, l’essere meschino e pusillanime. Non abbiamo – hanno – speranze, dice l’autore nel nuovo testo: sebbene nel tempo siano un po’ più consapevoli del loro essere, l’animalità si eredita nei secoli, dalle patrie, dalle guerre, dalle generazioni, dai maschi di famiglia. Del possibile vaccino ancora non si ha notizia.
La scelta di rappresentare i suoi pensieri, il suo essere, attraverso la lente di tredici esempi letterari, che vanno da Boccaccio a Tasso, da Svevo a Starnone, gli servono come il filo che guida Teseo verso il Minotauro (filo che gli ha dato Arianna la factotum amata), ma per infine scoprire che il mostro ha il suo stesso aspetto. Tutto qui, basta saperlo, sembrerebbe dire Piccolo.
Ma non è roba da poco.
Mapelli ha giustamente obiettato che gli uomini – alcuni – stanno cambiando, hanno una nuova consapevolezza, si muovono confrontandosi anche con le loro fragilità. E che la Lucia che ama Renzo – la frase famosa che dà il titolo al libro – non è una vincitrice perché nel suo gesto di sottomissione estrema fa cedere l’Innominato, non è una eroina come la vede Piccolo, quanto appunto un’altra donna schiacciata. Sono d’accordo solo in parte con la sua critica: riconosco lo sforzo che non pochi uomini stanno facendo, ma non è questo il punto.
“L’animale che mi porto dentro”, più di questo nuovo lavoro, mi ha colpito profondamente ed emotivamente, perché l’autore parla di sé nel peggiore dei modi a volte: quanto può essere violento anche in famiglia, come ha imparato nelle sue estati con i parenti a guardare alle donne come pezzi di carne in macelleria; come viaggiando in treno non può resistere al desiderio immediato di possedere all’istante la viaggiatrice che gli siede di fronte. Che sua moglie lo apostrofa in romanesco dicendogli “Tu pensi di essere ‘sto cazzo” quando si mostra presuntuoso e saccente a una conferenza letteraria. Anche “La separazione del maschio” è una storia scritta sul corpo suo e della protagonista, ritornato in bellissimo stile in forma di fumetto grazie alla mano di Josephine Jole Signorelli, in arte Fumettibrutti, che me lo ha fatto sentire ancora più vicino, cioè nel senso di più autentico, consapevole del peso che come uomo porta su di sé, anche nell’essere cosciente di ciò quando mi colpisce in quanto donna.
L’uso della letteratura per raccontare tutto questo è raffinato, come quando Piccolo usa la storia del cinema ne “La bella confusione” (Einaudi Ebook, Torino 2023), per raccontare della rivalità tra Federico Fellini e Luchino Visconti, che girano nello stesso periodo rispettivamente Otto e mezzo e Il Gattopardo e del loro astio cade vittima Claudia Cardinale, costretta a volare quasi quotidianamente tra Roma e Palermo, nell’estenuante rito quotidiano di dover tingere i capelli da bruno in biondo e viceversa perché nessuno dei due geni intende modificare il calendario delle riprese.
Piccolo ha anche ricevuto severe critiche da punto di vista letterario, come quella di Gianluigi Simonetti su Snaporaz, che lo accusa di aver omesso alcuni romanzi chiave nel suo elenco e aver interpretato male alcuni di quelli rappresentati. Ecco, a proposito di maschi che si sfidano in punta di penna.
Infine: gli uomini io li sento proprio così, come tanti Piccolo, ognuno ovviamente con le loro sfumature, figli compresi. E in tutta onestà non saprei dire se, come e quanto cambieranno.









Monica Luongo

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