Stai zitta a chi?

Silvia Neonato, 08 novembre 2023

Quando si dice “il personale è politico” occorre andare a vedere subito C’è ancora domani, il film che segna l’esordio alla regia di Paola Cortellesi e che ha un successo in sala che non era prevedibile ma che è, a parer mio, meritatissimo. È un film commovente, appassionante e molto politico. Siamo nella Roma del 1946. Nel seminterrato in cui la famiglia di Delia/Paola Cortellesi vive ci sono la miseria del dopoguerra italiano, un marito violento e rozzo, un suocero prepotente e odioso, una figlia silenziosa che guarda sua madre senza compassione ma con una ira disperata per quel che subisce e due fratelli minori urlanti e fra loro maneschi come lo è il padre (Valerio Mastandrea) con loro madre.
Il film scorre in bianco e nero, tra sguardi, silenzi, frasi brevi montate con maestria, mentre il volto dolente di Paola e il suo accento romanesco ricordano Anna Magnani, ma non la furia di cui era capace, mentre a te spettatrice, monta invece una rabbia tremenda contro marito e suocero. Delia accudisce i familiari e poi corre, fa diversi lavori per rimediare qualche soldo, rammenda per la merciaia, aggiusta ombrelli, fa iniezioni a domicilio… Fatica, marcia e sopporta come un mulo maltrattato. Ha però un’amica che vende frutta al mercato accanto a un marito gentile e mansueto, un’amica che la ascolta sempre, che la aiuta e la spinge a ribellarsi a “quel farabutto” del marito e a dare retta al soldato americano che ha notato i suoi lividi e la saluta sempre con trasporto quando passa veloce davanti a lui e alla jeep della Militar Police che ancora presidia la capitale italiana.
C’è dunque un’amicizia femminile importante nel mondo della regista Cortellesi. E c’è una frase che viene ripetuta identica da tre mariti diversi, quando le rispettive mogli tentano un commento sul prossimo referendum che li attende, quello tra monarchia e repubblica. La frase, pronunciata con differenti gradi di sgarberia, è “stai zitta”: lo fa ovviamente il marito di Delia, quello della ricca signora borghese nella cui casa Delia va a fare le iniezioni e il marito arricchito che potrebbe diventare il suocero di Delia, dato che suo figlio si è innamorato della giovane figlia. In molti hanno scritto che C’è ancora domani sta nella tradizione della grande commedia italiana e anche che nella Roma di Cortellesi ci sono le atmosfere di De Sica e del nostro cinema neorealista. Ho riconosciuto le influenze, gli echi, i rimandi, ma qui si racconta una storia con uno sguardo altro: il conflitto narrato non è quello di classe, ma quello tra i sessi. E la sceneggiatura (scritta da Paola Cortellesi in collaborazione e con i suoi storici soci Giulia Calenda e Furio Andreotti) introduce alcuni episodi che non aderiscono affatto alla realtà.
C’è ad esempio una scena straniante, di surreale e tremenda leggerezza, ed è quella dell’ennesimo pestaggio di Delia da parte del marito che a un certo punto diventa un balletto oscillante fra violenza e corteggiamento. Non si può non pensare all’ambivalenza dei rapporti che legano tante donne a uomini violenti che poi le manipolano con rari momenti di gentilezza, una rosa offerta dopo le botte, una promessa che non verrà mantenuta. Anche la colonna sonora è straniante perché mescola canzoni d’epoca (“Perdoniamoci” di Achille Togliani o “Aprite le finestre” di Fiorella Bini) a canzoni come “La sera dei miracoli” di Lucio Dalla e “A bocca chiusa” di Daniele Silvestri. Mescolanze musicali anche anacronistiche che ha di recente usate un’altra regista italiana, Susanna Nicchiarelli.
Ma Cortellesi rivela capacità notevoli e sorprese che lasciano a bocca aperta. A me la sceneggiatura è sembrata fantastica, i tre coautori hanno inventato un finale che non si dimentica e che non si può assolutamente svelare. A metà film Delia, umiliata e rassegnata riceve una lettera che tiene nascosta al marito. È quasi inevitabile che i sospetti dello spettatore e della spettatrice vadano in un’unica direzione, tanto più che Delia si concede finalmente l’acquisto di una stoffa per confezionarsi una camicetta nuova. Fuggirà finalmente col soldato americano o col primo amore, un meccanico riccioluto e simpatico che ancora la ama, lasciando marito figli e suocero, tutti insopportabili?
Giudicherete voi la scelta di Delia. Il film è davvero politico, ho scritto. E non solo perché mette in scena come il personale è politico, ma anche perché mostra che la democrazia è una gran bella conquista. Utile persino a umiliare e tacitare finalmente un marito trucido e patriarcale.

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Silvia Neonato

Silvia Neonato, giornalista, genovese, vive a Genova. Organizzatrice di eventi culturali, è socia della SIL, di cui è stata presidente nel biennio 2012-2013. Ha debuttato su il manifesto, ha diretto il magazine Blue Liguria ed è nella redazione di Leggendaria. Ha lavorato a Roma per molti anni, nella redazione del giornale dell’Udi Noi donne, a Rai2 (nella trasmissione tv Si dice donna) e Radio3 (a Ora D), per poi tornare a Genova, al Secolo XIX, dove ha anche diretto le pagine della cultura. Fa parte di Giulia, rete di giornaliste italiane. Ha partecipato con suoi scritti a diversi libri collettanei.

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