Una lingua divina

Antonella Viali, 26 ottobre 2021

Non c’è ombra di nostalgia per il greco antico e per l’Ellade nel libro di Francesca Sensini “La lingua degli dei, poiché per lei c’è solo continuità e di questo vuole parlare, senza i birignao leziosi o le concioni pseudo scientifiche che celebrano l’Ellade e la sua lingua come fossero completamente distaccati dalla Grecia immiserita di oggi. Immagini imprecise, distorte, che spesso hanno l’obiettivo di difendere l’insegnamento del greco antico nei licei. Altro obiettivo che Sensini non si pone: lo dà per scontato. Per lei mettere in luce la continuità tra storia, memoria e potenza della lingua è un modo di trasmettere con la maggior semplicità possibile qualche concetto base, primo fra tutti forse quello che Nanni Moretti illustrò sinteticamente con il famoso ceffone.

Il libro inizia proprio con un esempio dell’importanza delle parole, della lingua e dell’uso che spesso ne fanno i centri di potere: parlando delle scuole segrete frequentate di notte dai bambini sotto la dominazione turca, che aveva abolito sia lo studio della storia che quello della lingua, l’autrice ci mostra la lingua come identità e fattore di coesione di un popolo. Popolo che non esiterà a respingerla quando il regime totalitario dei colonnelli – appoggiato dalla chiesa ortodossa – ne impose l’uso, trasformando il greco antico in lingua delle élite che sottolineavano così la loro superiorità.

La potenza della lingua, esportata in tutto il Mediterraneo, quella del mito e quella dell’epica, fanno di Ellade/Grecia un esempio con molte qualità. Oltretutto La lingua degli dei si presenta come un misto di saggistica e narrativa: esperimento molto interessante e da perfezionare.

Ogni breve storia di questo piccolo libro è compiuta in sé, potrebbe iniziare e finire in tre pagine, invece fa parte di un bel mosaico che, tessera dopo tessera, persegue un obiettivo: illustrare più che dimostrare la continuità della storia e il valore della memoria. Non è probabilmente casuale che il libro sia stato pubblicato nel duecentesimo anniversario della liberazione dalla dominazione turca, durata quasi quattro secoli.

Ma attenzione, continuità non significa stasi, piuttosto è una parola che suggerisce l’idea di movimento poiché, ci ricorda Sensini, la mitologia che si è diffusa nel Mediterraneo dimostra che non dobbiamo mai fermarci a una sola versione della storia, anzi, le storie del mito sono aperte, i finali non sono mai definitivi, nell’epica di Omero, per esempio, eroi morti in un canto, ricompaiono vivi in una battaglia successiva. La fine della storia non c’è, non c’è mai stata, si costruisce e ricostruisce via via, con il passare del tempo, il progresso o la regressione della società.

Mito significa parola raccontata, quindi ancora più soggetta a interpretazione di quella scritta. Per questo l’autrice si serve del mito, dell’epica e della storia per realizzare il suo obiettivo: rafforzare la consapevolezza che la parola e la lingua, non moriranno mai. Sopravvivranno come l’identità dei popoli grazie al cambiamento, all’evoluzione, alla rivoluzione. Del resto per sottomettere un popolo, si agisce innanzitutto sulla lingua, a volte cancellandola per demolire il senso di appartenenza. Ma, come dimostra la canzoncina che apre il racconto/saggio, ci sarà sempre la luna a illuminare e proteggere il cammino dello scolaro che va a studiare la notte.

Allo stesso modo i popoli costruiscono la propria identità attraverso la lingua, creatrice di quei miti che illustrano la storia del mondo occidentale fissando per sempre la memoria, impedendo forse che venga cancellata. Anche se, per esempio, la storia della prima moglie di Zeus, Metis, non si è fissata nella memoria collettiva e di sicuro non è un caso. Perché racconta il passaggio dal matriarcato al patriarcato, messo in atto da uno Zeus sorprendentemente intelligente e astuto, impegnato a salvare la pelle e a programmare il futuro del suo regno, della sua grande famiglia e dell’umanità a scapito del genere femminile. Questo è un capitolo che deve essere letto, ricordato e citato spesso.

 

Francesca Sensini, “La lingua degli dei”, Melangolo, 2021

 

 

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Antonella Viale

Antonella Viale è stata assistente sociale, giornalista culturale con qualche scorribanda nella cronaca e traduttrice letteraria. A chi le chiede che cosa fa nella vita, risponde: L'eroa. Poiché bisogna essere tali per vivere nell'estremo ponente ligure, territorio lontano da ogni dove (a parte la Costa Azzurra, che ha infrastrutture efficientissime) e lavorare con la cultura nazionale e internazionale (Secolo XIX, Diario, Linea d'ombra, Blue Liguria...), oppure tradurre per case editrici grandi e medie (Rizzoli, Sperling, Frassinelli, Sonzogno, Salani, Cairo...).

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