Un libro complesso che vuole inaugurare, come dice la curatrice, Cinzia Caputo, nuove geometrie della mente. Caputo ha voluto fortemente portare a termine questo progetto e con magistralità ha curato il volume, che indaga una diversa prospettiva di apertura alla vita, a nuovi modi di correlare cose, persone ed esperienze, in una stesura fluida e coerente che risente della sua formazione junghiana e simbolica, dando spazio alla narrazione archetipica presente nel testo.
“Le nutrici di sé. Un viaggio nella complessità generativa” è una ricerca particolare dove i tre contributi si miscelano interrogando la doppia esistenza psichica e fisica della generatività. La psicoanalista junghiana, la counselor filosofica e la biopsicologa lavorano a sei mani per esplorare una dimensione condivisa: non avere figli. Questo saggio diventa così uno strumento di crescita, di incontro e di confronto, a partire dai propri vissuti autobiografici. Anche lo stile è inclusivo ed emozionale e il parlare di se stesse non è assolutamente un tabù. Dal vissuto alla speculazione antropologica, all’introspezione psicoanalitica, le autrici attraversano con delicatezza le motivazioni inconsce della decisione di non diventare madre e la percezione del tradimento al patto di naturalità della costruzione della famiglia.
Il conflitto tra cultura e natura è la sottotraccia delle storie. Si dà voce allo scontro tra l’adesione alla tradizione e il conciliare questo desiderio con il proprio progetto di vita professionale. Si racconta il conflitto drammatico che si determina nella coppia quando il desiderio di maternità e di paternità viene negato, per motivi fisiologici, psicologici o squisitamente esistenziali. Il panorama inquietante delle tecnologie biomediche permette oggi un accanimento della coppia sul corpo della donna, per arrivare a raggiungere questo obiettivo. Da generazioni, la maternità, nel contesto meridionale italiano (quello in cui vivono le studiose), è ancora considerata prioritaria e condiziona la comunicazione intrapsichica tra la donna, i suoi bisogni, le sue aspettative e quelle del gruppo di appartenenza. Il conflitto tra il desiderio di un figlio, l’ambiente socioeconomico e le difficoltà di inserimento professionale, può diventare una ferita profonda per una donna, creando angoscia e ansia, senso di fallimento e di frustrazione. E proprio il conflitto tra una maternità potenziale e i vissuti psicosociofamiliari più nascosti possono portare all’infertilità.
Il saggio curato da Caputo apre un ventaglio di direzioni di confronto e di approfondimento, anche seminariale. L’utero percepito come vuoto può diventare, attraverso un percorso di consapevolezza, uno spazio pieno. Obiettivo del testo è infatti accettare che l’aspetto nutritivo/materno non è solo una dimensione biologica ma si può vivere nella sua accezione simbolica e affettiva. Divenire nutrici di sé e degli altri: essere madri di se stesse e concepire la maternità come uno spazio di cura allargato che coinvolge legami non biologici ma non per questo indegni di attenzione.
Un altro aspetto interessante affrontato è la dimensione transgenerazionale del materno. Emerge il concetto psicanalitico di cripta, che fa riferimento al bagaglio culturale e psicologico della famiglia di origine che può diventare un macigno, un nodo problematico che paralizza la figlia, non fornendo il permesso implicito di diventare madre. Sostenere un padre fragile e combattere una madre ingombrante diventano un doppio ostacolo per tagliare il cordone ombelicale e riconoscere di avere il permesso di creare il proprio nucleo familiare. Questi aspetti vengono esaminati nella parte centrale del libro attraverso una serie di storie in prima persona, dove le donne intervistate, protette dall’anonimato, raccontano la loro esperienza di non maternità. Ogni storia espone un doppio binario: il vissuto autobiografico emotivo e il riferimento mitologico alle dee greche, che diventano interlocutrici archetipiche. La mitologia greca non rende imperativo assoluto la maternità biologica, ma offre una serie di modelli archetipici alternativi e vincenti, che diventano strumento di individuazione culturale e psicologica per qualsiasi donna: Artemide, Atena, Era, Estia, Galatea e tante riescono ad affermare la volontà di potenza della donna, la sua capacità di proteggere e curare gli altri, la vocazione intellettuale e artistica. Il libro prova ad allargare dunque la consapevolezza culturale di un problema che procura angoscia e depressione e rinnova la coscienza delle opzioni esistenziali esistenti. Le opzioni sono tante e tutte personali, senza dare mai nulla per scontato. E questa è una battaglia ancora da giocare.
Marina Boniello, Cinzia Caputo, Antonella Palmisano, “Le nutrici di sé. Un viaggio nella complessità generativa”, a cura di Cinzia Caputo, Edizioni Iod, 2020









Floriana Coppola

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