PERSONAGGE: Rodingat e Barauti

RODINGAT E BARAUTI

di Martina Tiberti

 

 

I Rodingat e i Barauti aprono gli occhi per la prima volta, allungano le zampe sul cassetto, le palme a coppa sul pomello, lo tirano piano, strisciano dentro senza rumori d’attrito, trovano souvenir e libri da colorare, fogli strappati da diari, teste di bambole, biglietti d’auguri, francobolli gommati, un anello di plastica: i primi ricordi di una camera oscura dismessa. Quando anche la testa è entrata nel mobile, i mostri si acquattano e aspettano che arrivi qualcuno con cui condividere il buio. Il più delle volte bambine.

***

Nei sogni il mostro avanza e non sta mai fermo, cresce sulla distanza e sporca di bava muri e parquet, cresce come le unghie, i capelli, i denti, i nasi, le sopracciglia. Quando siamo sveglie non si muove oppure fa finta di essere di pietra.

A turno io e Viola ci diamo istruzioni per sopravvivere: trattieni il respiro, smettila di muovere le dita sul pavimento, il mostro sente l’odore della pelle, delle unghie e dei vestiti, ieri potevi lavarti meglio, la mamma non può sempre passarti la spugna dove non lo fai tu. I capelli, ce li hai in disordine, e questo vuol dire vita, più probabilità che si accorgano che sei un essere umano. Quindi per favore non muoverti, stai rigida come una monetina che non si piega nemmeno se la prendi a morsi. Togliersi le pelliccine dalle dita è una ghiottoneria ma non è questo il momento di farlo.

Viola allunga il respiro nel letto gonfiando la stoffa, le piace mettere la testa sotto il lenzuolo, dice che lì la luce è diversa, che riesce a vedere il mare e pure i pesci. I capelli di mia sorella sono biondi, un po’ più dei miei, i suoi occhi sono scuri, un po’ meno dei miei. Siamo gemelle ma non siamo uguali. Io sono uscita dalla pancia per prima e per questo ho una precedenza di età. Da quando veniamo al mondo anche i secondi hanno importanza. Chi viene prima ti protegge, chi viene dopo ti appartiene.

Quando Viola si addormenta, i Rodingat e i Barauti escono dagli armadi. Sento un fruscio, volano parole di carta, hanno preso i giornali di papà, sfogliano le pagine.

I Rodingat e i Barauti escono dai cassetti perché vogliono sapere come si torna indietro, vogliono sapere come fanno bambine così piccole a sopravvivere in un mondo tanto complicato.

***

Domani è il primo giorno delle elementari. Ci sembra di essere cresciute troppo in fretta e non riusciamo a prender sonno.

Dopo la sveglia Viola è la prima ad andare in bagno, io l’aspetto dietro la porta ma non resisto e la chiamo.

“Viola!”

“Che c’è?”

“Ma tu l’hai capito cos’è la scuola?

“È un posto dove si studia e si cresce”

“Io non so se conviene andarci”

“Andiamo a vedere che succede oggi. Se non ci piace torniamo a casa”.

A scuola scopriamo che gli altri bambini hanno fratelli immaginari, animali domestici, bambole che parlano, orsi che ballano. A quanto pare hanno anche topolini a cui lasciano i denti che perdono. Cosa ci fanno i topolini con i denti non lo sappiamo, forse bellissime corone, i più piccoli sedili per il cinema.

Quando ci cadono io e Viola li sotterriamo in giardino, così un bel giorno nascerà un bell’albero di denti e gli altri bambini se li metteranno. Noi siamo fortunate perché ci ricrescono da soli, che sennò pure noi dovevamo perdere tempo ad arrampicarci sugli alberi. Ogni tanto per salire sul tronco qualche bambino cade e si rompe un braccio, allora il padre, la madre, o il nonno avvicinano la scala e gli prendono il dente. Una cosa simile succede per i capelli, per le unghie e per tutte le cose che crescono. Il tempo prima le allunga e poi le fa cadere, come fa con i secondi, che diventano minuti, ore, giorni.

***

Certe volte Viola ride e nessuno capisce perché, certe volte le tremano le punte delle orecchie, mi racconta quello che ha sognato e decidiamo che è vero. Dice che stavolta l’hanno mangiata, dice che è successo perché mancano le regole.

I Rodingat e i Barauti vengono dall’Isola del Ghiaccio.

Quasi tutti i mostri notturni vengono da là.

È un’isola da cui solo i mostri e i bambini possono entrare e uscire.

È importante dare un nome alle cose ma quelle a cui tieni davvero non devi mai chiamarle ad alta voce.

Le cose che non capiamo non hanno colore.

Le regole devono essere poche e le scriviamo su un quaderno:

Stare in silenzio.

Chiudere gli occhi.

Restare immobili.

Aspettare che il mostro passi.

Aspettare che il mostro ci guardi dormire.

***

Quando mamma ha da fare ci lascia a casa da sole, anche oggi, che io e Viola compiamo otto anni. Appena esce, mettiamo via i giochi e ci sediamo con le natiche sui talloni. Viola riesce a starci più tempo perché quest’anno fa ginnastica artistica, ha le gambe forti, io invece faccio nuoto, ho le braccia forti. Restiamo con la schiena attaccata al muro, i talloni attaccati al sedere, il corpo stretto sotto il tavolino della cucina, a denti stretti per non far uscire il fiato, a denti stretti per non sprecare parole, segnali di comunicazione. Abbiamo messo uno scatolone di fronte alla porta, così quando la mamma torna fa ‘sciaff’ e la sentiamo, così quando torna non ci vede giocare, che sennò tutto è perso, la storia, noi e pure i mostri. Io e Viola ci siamo addestrate per tutto l’inverno a fare silenzio. Se una delle due fa rumore deve restare immobile per cinque minuti se invece facciamo le brave possiamo mangiare una merendina a testa, quelle col soldino di cioccolata sopra e la colata di cacao a strisce.

I Rodingat e i Barauti sono dentro le ante della credenza. La loro espressione è un ghigno continuo, una ferita sul volto. I Barauti sono omini verdi, scheletrici, alti quanto un vaso da fiori; i Rodingat sono grassocci, color granata, rotolanti come palle da booling gelatinose. Si muovono nella stanza lasciando muschio e licheni, posano sul pavimento le zampette mollicce, membrane trasparenti di crescita informe, entrano ed escono da sotto i mobili, si aggrappano ai braccioli del divano e alle maniglie.

Iniziano a tremarmi le ginocchia. Viola tossisce, Viola continua a tossire, se lo fa ancora ci scoprono, se lo fa ancora ci mangiano. Le metto una mano sulla bocca e un’altra sul petto. Le scarpe da ginnastica non sono state una buona idea. Scivolano, fanno attrito con la mattonella, cado, il tavolino si sposta in avanti, cadono il ciondolo di nostra madre, la monetina da cinque centesimi e la pallina rimbalzina; in bilico il vaso di fiori, la terra si alza, si polverizza tra le pieghe dei vestiti, sui capelli, cadi anche tu, con le mani in avanti ma poi di lato, provi a reggerti alle gambe del tavolino, tanto vale peggiorare la situazione, quello cade e il legno si sbuccia, cade la statuetta di porcellana, si moltiplica in tanti piccoli pezzi, la pallina rimbalzina fa dei salti, poi fa finta di fermarsi ma scivola sotto al divano. Prendo due fazzoletti e raccolgo quello che resta della statuetta, del vaso, della terra, prendo tutte le cose infrante e le metto dentro un cassetto. Abbiamo rotto il silenzio, il vaso, i soprammobili e dei mostri nessuna traccia, niente zampette, impronte verdi e bava appiccicosa, niente rantoli, niente ghigni, abbiamo perso la pallina rimbalzina e i cinque centesimi, abbiamo perso anche la paura.

Davanti a me non c’è nessun mostro, solo Viola. La guardo e poi rido. La prossima volta che resteremo sole sarà meglio chiuderci in bagno a mangiare ogni dolce proibito, soprattutto quelli pieni di zucchero e coloranti, gomme, cioccolatini, merendine e anche le patatine al formaggio.

Sapevo che prima o poi se ne sarebbero andati.

***

L’ultima volta che abbiamo giocato ai mostri avevamo ancora le guance rosa e i capelli chiari, è stato in un camping, d’estate, il vano illuminato dalle luci dei lampioni. Erano serpenti, arrotolati sulle ruote del camper. È quasi ora di andare a dormire, Viola è in ginocchio sul letto, io poco distante. Domani ripartiamo perché la fronte ci scotta. Viola apre la bocca. Mi dice che anche noi un tempo eravamo serpenti, solo che ora le squame ce le abbiamo dentro, dice che stamattina ne ha viste due nella gola. Spalanca la bocca, vedo una caverna rosa e due conchiglie e più in fondo le tracce del mare, una cavità profonda che porta in acque piene di pesci, sirene, e tritoni.

Io e Viola i Rodingat e i Barauti non li abbiamo mai visti ma sapevamo che c’erano, qualcosa era lì ad attenderci, scivoloso e acquattato. C’è sempre qualcosa che sfugge. Tutto quello che non capiamo, un mostro che ci morde appena svegli.

***

Il guaio è che non c’è un’età che vada bene per tutto. Si passa dall’essere troppo piccoli all’essere troppo grandi. Si fanno stretti i vestiti, i giubbini, le stanze e perfino le case.

Io e Viola siamo diventate donne. Ognuna a suo modo teme qualcosa ma non ha più l’età per dirlo. Nascondiamo l’angoscia sotto i tappeti, dentro gli armadi, la sotterriamo nei vasi, la rovesciamo nella tazza del water o nello scarico del lavandino.

Andiamo avanti così per anni, tra pranzi di famiglia e incontri rimandati, fino a che un giorno non vieni a dirmi che una nuvola ti è entrata in casa, si è infilata nelle stanze e negli armadi chiusi a chiave, poi te la senti dentro, un’intrusa che non puoi chiamare per nome.

***

Quando l’hai detto a mamma e a papà, stavi dall’altra parte del tavolo con le mani sui gomiti, non volevo guardarti e non potevo chiederti di più: come era arrivata, se faceva male, se iniziavi ad avere paura. Avrei voluto aprire la credenza e mettermici dentro per restare un po’ al buio. Quella notte Viola non riusciva a prendere sonno. Riordinava cassetti, come se il giorno dopo qualcuno avesse dovuto trovare tutto nella giusta posizione, pronto all’uso o allo sguardo.

***

Nella stanza d’ospedale siamo rimasti solo io, Viola e il silenzio. Silenzio da sentire lo scricchiolio delle ossa e il respiro che va e viene nella bocca.

I Rodingat si allungano sulle scale dell’edificio imbrattandole di escrementi, i Barauti li seguono saltellando con viscida impazienza. Le finestre della camera sono aperte per cambiare l’aria e far uscire la nuvola.

È sabato e i tuoi dolori si fanno più forti. Mi siedo sul letto e ti tengo le mani. Sono solo i mostri. Se chiudi gli occhi vedrai che non ti faranno più niente.

***

Prendo tra le mani tutto quello che resta. Diventerò più piccola per nascondermi dentro un cassetto, porterò con me le tue cose: i fogli strappati, le cartoline, teste di bambole, draghi storti dalle lavatrici, e poi capelli, unghie, le parti più piccole che la polvere ricopre e consuma. Uscirò solo di notte. Ormai consumata e irriconoscibile, qualche bambina mi scambierà per un mostro.

Io resterò immobile e la sentirò parlare.

Sta ferma con le gambe al petto, stringile ancora, bisogna farsi più piccole, sempre più piccole, non importa se fa freddo, ti aiuto io, siamo fatte per diventare una, chiudi gli occhi, non ci troveranno, te lo prometto.

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Martina Tiberti

Drammaturga, blogger, scrittrice, musicista. Dal 2015 ad oggi ha scritto e portato in scena tre drammaturgie: “Con la bocca piena di spille”, “Tape#51”, “Le coup”. “Con la bocca piena di spille” è stato selezionato a partecipare alla rassegna “Exit, Emergenze Teatrali” del Teatro dell’Orologio di Roma (2017). Fa parte della compagnia teatrale “I binari di carta” e collabora con “Un rigo sì e un rigo no, teatro”. Scrive approfondimenti musicali sul suo blog “7Tracks”. Come bassista e contrabbassista, ha diviso il palco con artisti italiani come Perturbazione, Offlaga Disco Pax, Riccardo Sinigallia e Giorgio Canali e ha collaborato con artisti internazionali come Matt Elliott (UK).

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