Chi è venuto prima, il ’68 o il femminismo? Una cosa è però certa: in quegli anni si voleva rovesciare ogni forma di dominio, escluso quello dei maschi sulle femmine. Il nuovo numero di Leggendaria, il 133, fa una ricognizione sui tanti scritti usciti per il cinquantenario: le femministe di Roma, Torino, Trento, Genova, Milano, Napoli e Palermo si raccontano.
Elvira Federici
Leggendaria esce alla grande con il tema del numero 133, al compiersi del cinquantesimo più uno del Sessantotto. Nel corso del 2018 – e, forse, ad ogni decennio – una messe di libri, riviste, articoli, ha permesso di riattraversare una data, da cui si misura forse il più epocale dei cambiamenti della politica e del costume. Ma è possibile ragionare di ‘68 senza considerare il posizionarsi delle donne, il rapporto con il femminismo, e il reciproco imbricarsi che ci farebbe considerare l’esperienza femminista come l’unico vero e duraturo – ma, attenzione, imprevisto – esito del ’68, mentre prima il terrorismo ( di Stato e non solo) poi la politica istituzionale si accanivano contro le istanze che rappresentava?
Così, nella sua capacità di stare sull’attualità e insieme di dislocarsi, Leggendaria propone una ricognizione su quanto è stato scritto, da donne e dal punto di vista femminista, a proposito del ’68, mettendo a disposizione una bibliografia ragionata attraverso articoli/ voci che ne esplorano il tema. Ciascuno dei libri sul tema, qui citati e recensiti, è costruito, coerentemente con l’istanza fondativa del femminismo a partire dalle esperienze, raccolte dalla viva voce delle protagoniste, con la documentazione delle pratiche che diedero vita a straordinari Manifesti Femministi – uno per tutti, il Manifesto Programmatico del Gruppo Demau (Demistificazione Autoritarismo, 1966) – dai quali si evince sia un’irriducibile radicalità sia la messa in questione se il femminismo sia stato, in qualche modo, un prodotto del ’68. E poi c’è la cartografia, a segnalare, non l’intento della ricostruzione astratta di un movimento articolato e plurale ma il radicamento in contesti e realtà differenti: questo è stato il Sessantotto delle donne fuori dalle piazze delle grandi città centro-settentrionali, celebrate o vituperate dalla stampa mean stream.
Ci sono le torinesi, che si raccontano in 24 testimonianze e bellissime foto in Sessantottine, a cura di Franca Balsamo e Marilena Moretti); c’è il racconto di ciò che accade tra Milano e Trento, nelle 22 voci di Ragazze nel ‘68, raccolte a cura della Fondazione Badaracco. Ci sono le genovesi di La ragazza che ero, la riconosco. E davvero il sud era rimasto immobile e lontano? Chi si è data invece la pena di andare a vedere da vicino – le fondatrici di Archivia Donne – che cosa accadeva in una città come Palermo, può registrare come il vento del cambiamento irrompesse in un tessuto solo in parte toccato dall’emancipazione ed evidenzia come la catastrofe del terremoto del Belìce nel gennaio del 1968 abbia in qualche modo anticipato – con l’afflusso di ragazze e ragazzi da tutta l’Italia, ispirati dal dibattito su violenza/ non-violenza di Danilo Dolci, dalla mobilitazione contro la guerra in Vietnam, dalla necessità di prese di posizioni di fronte alle crisi internazionali – la mobilitazione che via via infiammò l’intero Paese. In un contesto dove tuttavia non è ancora a fuoco lo sguardo che permettesse di rilevare “la violenza nella vita privata che il corpo delle donne denuncia”.
Più spesso a prendere la parola in questo riattraversamento sono donne allora già in qualche modo libere, studentesse delle grandi università italiane, tra Milano, Torino, Trento, Genova, donne che hanno poi portato avanti con forza, autorità, visibilità idee e pratiche del femminismo, nei luoghi della formazione, dell’informazione, della politica istituzionale ma, come ricorda Silvia Neonato, parlando del volume Donne del ’68, curato dal Gruppo Controparola, c’era stata anche qualche anno prima, Franca Viola, che aveva rifiutato il matrimonio riparatore o Elena Gianini Belotti con il suo Dalla parte delle bambine o artiste come Carla Accardi e musiciste come Giovanna Marini. Troviamo ulteriori ascendenze al femminismo del/nel Sessantotto, già dal 1966, negli Usa, con la scelta da parte delle studentesse di lasciare un’assemblea cui partecipavano mute. Oppure nelle opere di De Beauvoir (tradotte in Italia solo dal 1961) o Virginia Woolf di Una stanza tutta per sé ( tradotta nel 1963).
Torna, nel sottotesto di quasi tutti gli articoli la domanda: quando comincia il Sessantotto delle donne? Quali ne siano gli esiti, non abbiamo bisogno di dirlo: il femminismo rappresenta l’unica vera rivoluzione che non si è ancora conclusa, al punto che, se dobbiamo mettere in questione, alla luce della storiografia femminista, l’origine del femminismo attuale nel ’68, è difficile non ammettere che ciò che resta vivo del ’68, si deve ai femminismi che sono sbocciati anche in questo scorcio del XXI secolo.
Non appare quindi un paradosso affermare tanto che il Sessantotto aprendo crepe irrecuperabili nell’autoritarismo di stampo ottocentesco e facendo affiorare l’interrogazione di soggetti non identificabili nell’impalcatura di pensiero marxista, apra spazi di libertà e di passione politica, quanto rilevare che in quella passione politica della libertà e del possibile c’è come dirà più tardi Carla Lonzi, un soggetto non previsto. Non previsto, nonostante la pratica non autoritaria dei sessantottini, che pretendeva di “rovesciare ogni forma di dominio, escluso quello maschile, evidentemente” (Marina Piazza). Quando e come avvenga invece il salto, epistemologico, simbolico, politico che svelando questo paradosso inaugura il femminismo del nostro tempo questo numero 133 di Leggendaria rende possibile ricostruire, con rigore e immaginazione.
Leggendaria si acquista on line oppure in molte librerie italiane che troverete elencate nel sito. È una rivista di cultura e politica delle donne, esce ogni due mesi ed è completamente autofinanziata.
PASSAPAROLA:









Elvira Federici

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