Poeta e donna, per fortuna!

Gabriella Musetti, 21 marzo 2018

Ha senso occuparsi di poesia delle donne, oggi, in Italia, quando l’accesso pubblico alla scrittura poetica delle donne è aperto quanto quello maschile? Ha senso porsi questioni di “genere” in poesia? Ha senso prestare attenzione a temi quali il linguaggio, l’immaginario, il posizionamento, senza perseguire antinomie oppure ostinate separatezze, ma ragionando su percorsi, percezioni, angoli di osservazione?

A queste domande rispondo in modo ambivalente: sì e no.

Oggi non ha più senso, a mio avviso, proporre un discorso separato sulla poesia scritta da donne, come lo ha avuto, invece, in passato, per dare rilievo a una produzione letteraria ignorata, sottaciuta nella sua rilevanza storica e culturale, resa invisibile o marginale nella ricerca accademica, soffocata da tanti preconcetti riguardanti il valore, l’innovazione. Non ha senso porre una differenza di “genere” per quanto riguarda la poesia: è poeta – uomo o donna che sia – chi sa parlare della misteriosa e radicale transitorietà della vita, degli abissi di incompiutezza in cui transitiamo, in qualunque linguaggio capace di penetrare sotto la pelle delle persone.

Ha senso, a mio avviso, osservare e analizzare i percorsi attraverso cui le donne sono arrivate a scrivere poesia già in tempi lontani, i temi che passano nelle scritture, il confronto/distacco che hanno messo in campo con la cultura ufficiale consolidata nelle accademie, i linguaggi posti in scrittura, le specifiche modalità di sguardo. Insomma tutto quello che dà indicazioni di un posizionamento nel mondo e offre tracce significative riguardo alle società contemporanee, alla cultura post-patriarcale, con le numerose ambigutà e ostinazioni ancora agenti.

Che cosa è cambiato nella scrittura poetica delle donne, in Italia, a partire dagli anni ’70 fino a oggi? Se nelle antologie le poete (con questo termine nomino soltanto i soggetti femminili che scrivono poesia, senza altre specificazioni), sono ancora relativamente poche, (nessuna nel canone, già di per sé luogo discutibile), ormai nella cultura pubblica sono presenti in numeri assai consistenti: nei libri in circolazione, nei festival, nei media, anche nelle tesi di laurea o nei corsi universitari, come soggetti e temi di studio. Un merito di questa diffusa presenza è dovuto certamente al lavoro prezioso e alla cura di tante docenti e studiose che hanno saputo alzare lo sguardo sull’esistente per scovare tanta produzione dimenticata, e dare finalmente attenzione critica alle voci contemporanee delle donne.

Ma anche un nutrito numero di giovani poeti e critici, oggi, prende a tema di ricerca la produzione delle donne, scegliendo il confronto/dialogo sui modi del fare poesia, scambiando percorsi e approcci, con l’apertura di una serie di collaborazioni fruttuose e innovative di cui soprattutto in rete esiste una vistosa presenza.

Mi ha sempre colpito una frase di Sylvia Plath, poeta “confessionale” per eccellenza, tratta dai Diari[1], in cui, dopo aver ricordato che la scrittura è simile a un rito religioso la connota come una “rieducazione al riamore per gli altri e per il mondo come sono e come potrebbero essere”. Mi colpisce la grande apertura di questa osservazione, in cui si legge tutta la difficoltà a coltivare rapporti confortevoli e tuttavia il desiderio forte di dare forma, attraverso la scrittura, a un riamore per gli altri e per il mondo, non solo nella loro evidenza presente, ma nelle loro non ancora incarnate possibilità. La scelta di uscire da sé e andare nel mondo.

Oggi come ieri non penso che il mercato globale abbia interessi diversi dal puro profitto economico perseguito a qualunque costo, umano e ambientale che sia. Le condizioni delle società contemporanee sono rapidamente mutate, solo osservandole da alcuni anni addietro, gli individui si muovono con maggiore frequenza e numero, senza contare le recenti e contemporanee migrazioni causate da guerre e miserie, hanno relazioni e conoscenze su piani impensabili fino a tempi prossimi – basti pensare alle possibilità offerte dalla rete, da internet -, stiamo vivendo un’epoca di grandi trasformazioni e le percezioni soggettive di un futuro immaginabile sono ancora incerte.

Questa situazione di rapido cambiamento apre numerose ipotesi e scenari per la produzione poetica delle donne, a partire dalla consapevolezza di una maturazione delle proposte e una signoria degli strumenti, dei linguaggi. Non si tratta più di chiedere uno spazio di visibilità, ma di esporre alla visione di tutti i percorsi, i progetti, le scritture che sono parte attiva del tessuto culturale contemporaneo. Tuttavia credo sia ancora utile questa riflessione di Eavan Boland (una tra le voci più importanti della letteratura irlandese contemporanea), che in un saggio del 1995 dice:

Credo che la donna poeta oggi erediti un dilemma. E che questo sia inevitabile, qualunque causa ella sposi e qualunque ideologia abbracci o rifiuti. E che quando si mette a scrivere, quando smette di scrivere, quando cerca di essere ciò che si sforza di esprimere, in tutti quei momenti il dilemma sia presente e ineludibile. Il dilemma di cui parlo è implicito nella convergenza oscura ma reale tra esperienza nuova ed estetica consolidata. In pratica ciò significa che  la donna poeta oggi è presa da un campo di forze contrarie. Voci autorevoli, suadenti, le parlano all’orecchio mentre scrive. Nozioni di femminilità e di poesia distorte e semplificatrici si frappongono come ombre tra lei e il coraggio della sue esperienza. Se dà retta a queste voci, se cede a queste idee, la sua opera ne soffrirà. Se, d’altra parte, evita il problema, si mette al riparo e fa finta che non ci sia pressione alcuna, allora con tutta probabilità perderà la determinazione necessaria a colmare la distanza critica che esiste tra scrivere poesie e essere poeta. Una distanza che per le donne è in ogni caso – come spero di dimostrare – carica di dubbi e di paure di natura psicosessuale.[2]

In poesia sappiamo bene che la generale presenza della donna come oggetto del discorso, a vari livelli, si è accompagnata alla sua esclusione come soggetto, anche se poete e rimatrici sono fiorite in tutti i secoli, proprio perchè la poesia, come arte che abita la soglia, ha aperto le porte alla parola femminile. E’ una osservazione fatta come in punto di fuga: tende a scoprire un gioco di prospettive che sempre di più si addentrano nella materia, fino a perdere di vista il punto certo di un inizio.

“La poesia altro non è che prender forza nell’inconscio” dice Cixous nella sua appassionata apologia per rivendicare la potenza della scrittura delle donne, e tuttavia avverte che desiderio e linguaggio non coincidono. In un periodo di pesante decadenza del linguaggio e della stessa società, con miriadi di parole irrilevanti, spesso violente o cariche d’odio, che continuamente ci circondano, ci interroghiamo, interroghiamo donne che amano la creatività nell’uso delle parole, in un “fare insieme” che assume il significato di un gesto politico. Questo è stato uno degli obiettivi di un libretto manoscritto in cui venivano raccolte le posizioni di circa sessanta poete italiane, presentato al Convegno Nazionale della SIL, a Genova (18-20 novembre 2011), sul tema “Le personagge”[3].

La necessità di dire, l’urgenza di parole limpide che dicano la contemporaneità della poesia italiana sono la spinta iniziale di queste riflessioni. Il confronto con i testi, con autrici e autori, con i luoghi della poesia, così come le riviste, i blog, i gruppi, i manifesti, sono il terreno su cui muovere il discorso, in un reciproco dialogo aperto in cui le differenze e le convergenze si misureranno nel tempo. Quanto dobbiamo alle madri, alle sorelle, alle amiche che ci hanno preceduto e delle quali, spesso, ripercorriamo le strade in nuove infinite scoperte, con gratitudine? Da loro abbiamo imparato la parola libera, autonoma, presente nel mondo; abbiamo imparato a confrontarci tra noi e con altri; abbiamo riletto i miti, mostrato il corpo a partire dal sangue mestruale, attraversato la maternità e la sessualità, le relazioni e l’amore; non abbiamo chiuso gli occhi sulla vecchiaia, sulla malattia, sulla morte; abbiamo diffuso la parola pubblica sul tempo presente e sul mondo. Ora si tratta di osservare come la nuova poesia contemporanea delle donne ha incanalato questi temi, li ha ripensati inscrivendoli in soggettività interroganti, aperte alle esperienze, al confronto. Ci chiediamo, a volte, se la scrittura poetica delle donne rintracci le sue radici profonde nel tanto problematizzato “femminile”, come pensano alcune, o se invece si insinui in una dimensione altra, più complessa, dai margini più incerti, forse; un terreno di transizioni di sentimenti e di saperi includente. E il tema ritorna, nelle scritture, in modi diversi.

Molte autrici confessano imbarazzo o distanza nel parlare di “letteratura femminile”, molte hanno intitolano il loro scritto Appunti o Domande a indicare la frammentarietà, la provvisorietà, l’indagine non definita. É una nota di prudenza quella che emerge dai diversi scritti, come a mettere spazio tra il proprio lavoro poetico e una interpretazione fuorviante, oggetto di critiche diffuse. Alcune preferiscono parlare tramite esempi e parole di altre autrici, come Biancamaria Frabotta che interviene con la testimonianza di una grande poeta iraniana, Forugh Farrokhzâd:

E’ naturale che la mia poesia abbia aspetti femminili, sono una donna. Per fortuna sono una donna! L’aspetto della femminilità non dovrebbe essere considerato quando si esaminano i criteri di competenza e si fanno valutazioni artistiche. E’ naturale che una donna, per le proprie condizioni fisiche, sentimentali e psichiche, sia interessata a questioni poco rilevanti per l’uomo; la visione femminile, riguardo a molte cose, è differente da quella maschile. Chi si esprime attraverso l’arte supera il limite della propria appartenenza al genere, sia esso maschile o femminile; non credo sia giusto restare ingabbiati in questo cerchio. Non credo sarei in grado di continuare a crescere sia come poeta che come persona se mi sentissi costretta a esprimere, sempre e comunque, la mia femminilità; forse ne morirei.[4]

Che questione sia ancora interrogante in certi ambiti non soltanto femminili lo testimonia una breve ricerca svolta nel novembre 2017 dal giovane critico Matteo Fais, molto attento alla scrittura poetica delle donne. La domanda rivolta a sedici poetesse e scrittrici di diverse generazioni era:  “Esiste una scrittura al femminile, ovvero un modo di descrivere la vita in versi o in prosa che rimandi a un particolare sentire precluso all’altro sesso?” Le risposte, le più diverse, alcune ricche di spunti di riflessione, altre più consuete. Interessante, in questa osservazione è stata la finale opinione del critico che rispondendo alla medesima domanda dal punto di vista maschile, ne rivendica una precisa e separata appartenenza.

 

 

Plath, Diari, a cura di F. McCullough e T. Hughes, prefazione di Ted Hughes, traduzione di Simona Fefè, Milano, Adelphi, 1998.

 

  1. Boland, Object Lessons: The Life of the Woman and the Poet in Our Time, Norton, New York 1995; Carcanet Press, Manchester 1995; ora come Introduzione a Tempo e violenza. Poesie scelte, traduzione di G. Sensi e A. Sirotti, Firenze, Le Lettere, 2010.

 

Donne scriventi, donne scritte, a cura di Gabriella Musetti. Libello manoscritto a uso del Convegno Nazionale SIL: IO SONO MOLTE L’INVENZIONE DELLE PERSONAGGE Genova, 18-20 novembre 2011. Palazzo Ducale, Museo di Sant’Agostino.

http://www.barbadillo.it/71388-poesia-2-0-esiste-una-letteratura-solo-femminile-rispondono-le-poetesse/

[1] S. Plath, Diari, a cura di F. McCullough e T. Hughes, prefazione di Ted Hughes, traduzione di Simona Fefè, Milano, Adelphi, 1998.

[2] E. Boland, Object Lessons: The Life of the Woman and the Poet in Our Time, Norton, New York 1995; Carcanet Press, Manchester 1995; ora come Introduzione a Tempo e violenza. Poesie scelte, traduzione di G. Sensi e A. Sirotti, Firenze, Le Lettere, 2010, pp. 5-6.

[3] Donne scriventi, donne scritte, a cura di Gabriella Musetti, p. 3. Libello manoscritto a uso del Convegno Nazionale SIL: IO SONO MOLTE L’INVENZIONE DELLE PERSONAGGE Genova, 18-20 novembre 2011. Palazzo Ducale, Museo di Sant’Agostino..

 

[4] Donne scriventi, cit, pp. 123-124.

 

 

 

 

 

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Gabriella Musetti

Gabriella Musetti Nata a Genova, vive a Trieste. E’ socia della Società Italiana delle Letterate. Ha fondato, insieme ad altre, la casa editrice Vita Activa Nuova (www.vaneditrice.it), di cui è direttrice editoriale Collabora a riviste letterarie. Ha curato numerose pubblicazioni narrative e saggistiche tra cui: Sconfinamenti. Confini passaggi soglie nella scrittura delle donne (2008); Guida sentimentale di Trieste (2014), Dice Alice (2015), Oltre le parole. Scrittrici triestine del primo Novecento (2016), 15 racconti + 5, scritti a Trieste e luoghi del nord est (2019). In poesia ha pubblicato: Mie care (2002), Obliquo resta il tempo (2005); A chi di dovere (2007), Premio Senigallia; Beli Andjeo (2009), Le sorelle (2013), La manutenzione dei sentimenti (2015), Un buon uso della vita (2021).

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