Amate, odiate sorelle

Nelvia Di Monte, 27 marzo 2018

“Variazioni sulle sorelle” di Marina Giovannelli sarà presentato mercoledì 28 marzo dall’autrice presso la Casa delle Donne di Milano alle 18. Ne parlerà con Helen Brunner e Silvia Neonato. (Articolo su Leggendaria, n.126/2017)

Nella postfazione Helen Brunner afferma che riflettere sul tema delle sorelle «è uno di quei passaggi obbligati nella vita di quasi tutte le donne», che abbiano o no delle sorelle, e in quest’opera Marina Giovannelli «propone di pensarlo come una partitura musicale», dove la variazione «è intrinsecamente anche un modo di interpretare che varia secondo il proprio sentire, profondamente connesso quindi alle emozioni».

E in effetti l’autrice tratta da più angolazioni il tema di fondo ma mantenendo una coerenza e una chiarezza espositiva dettata da una esigenza intima e sincera, nata nel proprio vissuto e diventata punto d’avvio per una scrittura che condensa una lunga ricerca.

Nel primo capitolo, con due brevi esempi personali (una foto e un racconto materno) e una citazione di Simone de Beauvoir relativi alla prima infanzia, quando entrambe furono poste di fronte alla nascita della sorella, Marina Giovannelli affronta subito il dato saliente del problema, nonostante la difficoltà di ricordare un tempo così lontano: quell’oblio dell’immemorabile (Ricoeur) che preesiste e persiste nel costituirsi di una soggettività, ma resta spesso inaccessibile alla coscienza. Eppure da lì occorre partire e, dove non vi sia memoria personale, «si può solo prendere, o lasciare, quanto viene porto dagli altri». E, visto il tema, soprattutto dalle altre.

Per analizzare come si sia modulata nel tempo la «rivalità fraterna» (definizione di Bettelheim: è sintomatico che non esista il corrispondente aggettivo per la rivalità tra sorelle…) in relazione all’affetto dei genitori e quale ruolo abbia avuto nel formare la personalità di ciascuna, l’autrice riporta le esperienze raccontate dalla Beauvoir, che narra di sé e della sorella minore Poupette, e da Antonia Byatt, il cui rapporto con la sorella Margaret Drabble è caratterizzato da una forte competizione letteraria.

Tramite i loro ricordi, l’autrice affronta anche la funzione che in questo ambito assume l’arte di raccontare: sia l’ambiguità delle storie create dai genitori, che tuttavia costituiscono un’eredità generazionale con cui fare i conti per dare forma al proprio passato, per collocare i fatti al posto giusto, «dar loro il valore che hanno (o non hanno), cercare le ragioni dei comportamenti, in altre parole, rendere l’origine meno oscura». Sia la possibilità che viene offerta a chi è dedito alla scrittura di «fare di questo groviglio di parole, forse dette e forse rispondenti al vero, un’impresa felice, in qualche modo riparatoria».

Nel secondo capitolo viene affrontato «l’inevitabile confronto» con l’altra, «la portata di una relazione che è insieme ricchezza e azzardo», con esempi famosi: Lavinia Dickinson, che nei confronti di Emily manterrà «quella linearità di sentimenti positivi senza oscillazioni abbastanza inconsueta nelle relazioni tra sorelle». Poi le Austen, la nota Jane, scrittrice, e la meno nota Cassandra Elisabeth, pittrice, che divennero intime amiche. Quindi Vanessa Bell e Virginia Woolf, una relazione basata su un profondo affetto ma asimmetrica riguardo ai ruoli. Infine Marina e Anastasija Cvetaeva: più conciliante e adattabile questa, insofferente e ribelle l’altra, restano legate nonostante le drammatiche vicende storiche che dovranno affrontare. Sarà proprio Anastasija a curare e diffondere le opere della sorella scrittrice. Perché non sembri che solo la morte ponga fine a dei rapporti non sempre paritari, nel caso una sia anche scrittrice, in conclusione è riportata la poesia In lode di mia sorella della Szymborska, che con sagace ironia mostra come non nasca conflitto se la poesia non «scende a cascate per generazioni, / creando gorghi pericolosi nel mutuo sentire» e se, soprattutto (viene spontaneo pensare…), «Mia sorella pratica una discreta prosa orale».

L’analisi dei miti greci, e non solo, è una tematica che Marina Giovannelli ha spesso affrontato in altre opere me nei saggi contenuti in Di monache e sirene (Kappa Vu, 2016) e nel poemetto Ishtar nella Città del Buio (Premio Donna e Poesia – il Paese delle Donne, Roma 2009). E Mitiche sorelle è il titolo del terzo capitolo, in cui sono analizzate le sorelle dei miti, che però sono spesso indistinguibili l’una dall’altra «rivelando di avere valenza simbolica più che un carattere individuale», così per le Moire, le Arpie, ecc. Più complesse sono le figure confluite nelle narrazioni epiche, e variamente articolata è la presentazione delle rispettive peculiarità di carattere e temperamento fra Clitemnestra ed Elena, Antigone e Ismene, Arianna e Fedra, attraverso le quali si mettono in evidenza sia le aspettative, i valori e i pregiudizi della società in cui erano poste; sia i conflitti ancestrali e le lotte per il potere che ancora risuonavano nelle loro vicende e fanno sì che raramente vi siano miti nei quali, come nella vicenda di Procne e Filomela, «si trovino esempi di azioni di donne fra loro solidali».

Il mondo del mito è confluito in opere scritte da uomini, per una prospettiva direttamente gestita dalle donne occorre giungere a tempi assai più vicini, come le intramontabili Piccole donne, libro amato da generazioni di adolescenti, e tuttora letto, anche se da lettrici poco più che bambine. Oltre ad analizzare il riflettersi delle sorelle Alcott nelle protagoniste del romanzo, è interessante la presentazione di alcuni recenti remake, tra cui Arrivederci piccole donne di Marcela Serrano, un aggiornamento «ben meditato, ben scritto, condivisibile e molto irriverente verso l’originale».

L’indagine della Giovannelli spazia poi su un altro genere letterario, e relativo autore. Nella tragedia Re Lear si dispiega il dramma del potere e la diversa reazione delle tre sorelle di fronte alla pazzia di un vecchio, tuttavia dal rapporto tra un padre e la figlia prediletta sembra forse trasparire «l’intimo, segreto tormento dello stesso Shakespeare» in relazione alle sue vicende familiari. E al Bardo fa riferimento la conclusione del successivo capitolo dedicato al tema del doppio presente nel romanzo Figlie sagge di Angela Carter, dove le gemelle Dora e Nora Chance affrontano in modo solidale ed energico le più disparate esperienze e i problemi creati dai padri, così che il sesso forte appare quello femminile, più adeguato alle responsabilità della vita. Tenendo ben presente nell’architettura del romanzo «la regia di Shakespeare» («che ha ritratto padri e figlie, mai madri e figlie»), la Carter si propone «di dar voce a figure femminili capaci di mantenere intera la personalità senza recidere quanto di orgiastico e folle c’è in loro», operando così «in onore, ma anche in barba, al Grande Autore».

Nell’ultimo capitolo si ipotizza che, paradossalmente, per far emergere gli elementi che legano due sorelle, talvolta sia più utile considerare situazioni dolorose che pongono in secondo piano gli aspetti negativi del rapporto. Vengono quindi presentati molti esempi di protagoniste di romanzi e autobiografie, tra cui il racconto Sorelle di Lidia Ravera e La grande festa di Dacia Maraini. Ma la conclusione dell’indagine resta aperta, perché non è dato racchiudere in una definizione la complessità della condizione di sorella: «restano le innumerevoli declinazioni del rapporto» che Marina Giovannelli ha pazientemente raccolto e condensato in questo agile libro che offre più punti di vista e spunti di riflessione, a partire da quelli più intimi, quasi suggeriti più che esplicitati nei brevi testi in corsivo che introducono i vari capitoli. Sembrano semplici ricordi personali, in realtà colgono il nocciolo duro di un rapporto che non si può rendere del tutto trasparente senza far emergere anche il dolore latente che vi si annida, le contraddizioni forse insolubili, le domande senza risposta, le differenze che emergono dalla considerazione degli altri su ciascuna sorella. Enucleare a parte le esperienze più personali, ha lasciato all’autrice più libertà nel trattare gli argomenti con un adeguato distacco, ma trovando sempre i momenti adatti per inserire un commento o una puntualizzazione (a volte con un’ironia cortese ma affilata), motivati con l’ottica più oggettiva del saggio critico, avvalorato dall’ampia bibliografia.

Analizzando testi di tante scrittrici, intersecando protagoniste letterarie e vite reali, sono qui presentate le tessere di un mosaico assai complesso, che si va componendo ma dove spazi vuoti attendono di essere colmati: se, forse, non è possibile dire in modo esaustivo «come in effetti sia, in che cosa consista il rapporto fra sorelle», con queste Variazioni Marina Giovannelli mostra che è tuttavia possibile osservarlo con desiderio di comprendere e comprendersi, così da «rendere l’origine meno oscura».

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Nelvia Di Monte

Nelvia Di Monte è nata a Pampaluna (Udine) nel 1952 e risiede in provincia di Milano, dove insegna lettere. Ha pubblicato le raccolte in friulano Cjanz da la Meriche (1996), finalista premio Lanciano; Ombrenis (2002) e Cun pàs lizêr (2005). Poesie friulane sono state pubblicate su riviste, tra cui Galleria, Poesia, Tratti, micRomania (Bruxelles) e in antologie. Testi di critica letteraria e recensioni, oltre a testi poetici in friulano, sono apparsi su: Diverse lingue, Il Segnale, Pagine, Periferie. Le poesie che seguono sono tratte dalla raccolta Dismenteant ogni burlaz (Dimenticando ogni temporale) vincitrice della VII edizione del Premio Ischitella-Pietro Giannone 2010.

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