Tamara è mai stata normale?

Giulia Caminito, 16 aprile 2019

Una agghiacciante metafora dei nostri tempi: ciò che ci consuma e ci inquina è invisibile ed è colpa del gioco dei potenti. In “Fuoco al cielo” Di Viola Di Grado le piccole donne e i piccoli uomini su cui il potere scarica i propri detriti radioattivi non vedono il pericolo, non conoscono il nemico e non possono armarsi nella difesa

Giulia Caminito

 

Tamara abita un incubo, è in trappola, con le sue ginocchia a punta e i suoi capelli stopposi, le sue serate in uno stanzone che chiamano discoteca e gli occhi sempre accesi sulle macerie, vive in un paesino in Siberia contaminato. Nel fiume, dove prima Tamara si faceva il bagno da bambina, sono state riversate scorie nocive e velenose per anni e anni, la gente ha iniziato a morire di strazi, i bambini sono nati storpi o non sono nati, nessuno ha provato a curare Tamara o a salvarla, neanche l’amore può sottrarla al veleno, perché anche l’amore che lei prova è scoria, sedimento e dolore.

E’ il suo corpo di donna protagonista del nuovo romanzo di Viola Di Grado, Fuoco al cielo (La nave di Teseo 2019), un corpo che ha le vene cariche del male più nero, un corpo ridotto a mucchio di terrore, l’acqua del fiume lo abita, è nelle case, è in quello che si mangia, in quello che viene lavato, in quello che si respira. Tamara è il fiume, non ha colpe ma porta sventure, dentro di lei si svuotano cattiverie, sfortune, il suo corpo senza volerlo catalizza i dolori più atroci.

Tamara è un essere umano che vorrebbe dignità, soprattutto, e il diritto al futuro, il diritto a pensare che il proprio corpo avrà un seguito e starà nel mondo insieme ad altri corpi, se lei vorrà potrà anche dare la vita, come essere umano lei desidera poter scegliere e non che gli altri, avvelenandola, scelgano per lei.

Non c’è veleno peggiore di quello che non ha odore e non ha colore o sapore, il veleno che è silenzioso, intoccabile, che non si fa riconoscere, per questo Fuoco al cielo mette in scena una agghiacciante metafora dei nostri tempi: ciò che ci consuma, che ci inquina, che va contro la natura è invisibile ed è colpa del gioco dei potenti. Le piccole donne e i piccoli uomini su cui il potere scarica i propri detriti radioattivi non possono fare altro che subire proprio perché non vedono il pericolo, non conoscono il nemico e non possono armarsi nella difesa.

Non c’è niente di peggiore del potere che non si può incarnare, vedere, toccare e lottare, come acqua di fiume questo scorre liquido e ferocissimo, si trasforma, si infiltra, distrugge ed erode dalle fondamenta, indisturbato, senza volto. Non c’è male curabile se nessuno ti dice quale male hai, non c’è appiglio su ciò che non si può conoscere: ignorare, non vedere, cancellare, dimenticare sono privazioni laceranti.

E su chi ha più presa questo potere se non su una donna: Tamara la pazza, Tamara la puttana, Tamara la non madre, Tamara la infetta, Tamara la brutta.

Viola di Grado torna ed è implacabile, perché fuori il mondo lo è, lo è stato e lo sarà, in angoli di mondo lontani e vicini si compiono distopie che non hanno bisogno di futuro.

In questo nostro momento storico, credo, abbiamo bisogno di interrogarci davvero sull’intangibile, sul sotterraneo, sul non manifesto, su ciò che è in circolo.

La natura, l’umanità, la normalità esistono davvero? Sono mai esistite e dove?

Tamara è stata naturale, umana e normale?

Quando veniva stuprata incinta, quando trovava una creatura per gli altri mostruosa nel bosco e nessuno la soccorreva per strada, quando veniva investita, quando veniva presa a sassate, quando vedeva la madre e il padre morire svuotati e scuri come grumi di sangue, spazzati via, buttati nel fosso; lo era? E noi lo siamo? Sappiamo riconoscere l’umanità degli altri?

I libri semplici non ci servono più, e sono lieta che le nostre giovani scrittrici stiano rispondendo colpo su colpo alla semplificazione e alla banalità, toccando con le loro parole il terreno di ciò che nessun altro ha voglia di dire. Fuoco al cielo è un romanzo vero, che si fa leggere, che provoca reazioni d’impulso, che trascina fino alla fine nella sua esplosione, nelle sue domande serrate sulla vita, la morte e tutto il veleno che c’è in mezzo.

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Giulia Caminito

GIULIA CAMINITO è nata a Roma nel 1988 e si è laureata in Filosofia politica. Ha esordito con il romanzo "La Grande A" (Giunti 2016) che ha vinto il Premio Bagutta opera prima, il Premio Giuseppe Berto e il Premio Brancati giovani. Ha poi pubblicato con Bompiani “Un giorno verrà” nel 2019 e “L’acqua del lago non è mai dolce” (2021) con cui è arrivata finalista al Premio Strega e ha vinto il Premio Campiello 2021. Ha scritto inoltre due libri per bambini "La ballerina e il marinaio" (Orecchio Acerbo 2018) e "Mitiche" (La nuova frontiera junior, 2020). Nella vita lavora come editor e si occupa di narrativa italiana. È nella redazione di Letterate Magazine. Cura un festival letterario che si tiene a Roma nelle scuole, Under - festival di nuove scritture. Ha portato i suoi laboratori di scrittura in librerie, biblioteche, scuole e carceri.
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