Khaled e il suo trolley da cui non vuole separarsi. Solo da Bruxelles alla Sicilia. Incontra cattiveria, solitudini, solidarietà. “Da un altro mondo”, il nuovo libro di Evelina Santangelo.
Nadia Tarantini
Uno stupefacente viaggio onirico, con i piedi ben piantati nella realtà. Evelina Santangelo addita il mondo in cui viviamo con profondo senso etico e con sapienza di scrittura certosina. E scandisce le rimozioni che ci permettono di vivere come se niente fosse. Slanci di scatenata fantasia percorrono un diario lungo quattro mesi e mezzo, dal 10 settembre al 24 gennaio di un futuro molto prossimo: 2020-2021. Lungo è anche il viaggio di Khaled, bambino perduto e invisibile, da Bruxelles alla Sicilia (ma forse, in realtà, è un viaggio di ritorno). Un romanzo epico, se l’epica fosse riconosciuta alle scrittrici – e surreale come lo sono i sogni veritieri, le visioni dell’alba (quando le donne divinavano con un piede dentro uno fuori delle loro abitazioni, millenni fa).
In “Da un altro mondo” s’incontrano delle solitudini aspre, che appaiono incomunicabili. La solitudine totale e irraggiungibile, per fondati motivi, di Khaled, cui è compagno un trolley da cui non si separa mai. Il trolley gliel’ha comprato a Bruxelles Karolina, la cui solitudine è un buco nero e profondissimo: la scomparsa del figlio, forse fuggito proprio verso le terre disperate da cui, in senso inverso, è giunto Khaled. È solo anche il maresciallo Vitale, che tiene per sé i dubbi sul mestiere che esercita. È solo di nome e di fatto anche Orso, lo stravagante di un paese della Pianura Padana, parte emiliana.
Ma in Karolina, nel maresciallo Vitale, in Orso, Khaled con il suo fardello, che non permette a nessuno di toccare, suscita lampi d’amore, quell’amore che è nascosto sotto le loro sofferenze, le rabbie, l’invivibilità di un mondo – esattamente quello in cui viviamo – che pare aver dimenticato le regole minime dell’umana solidarietà. Quella dovuta ad ogni nato di donna. Non per caso, il romanzo è dedicato “A chi non è arrabbiato”. Della rabbia buona, che fa agire per rimediare ai torti e alle ingiustizie. Non la rabbia di chi inneggia alle croci uncinate – di chi mette bombe per spezzare vite umane.
Nel coraggioso – ma non incosciente – andare di Khaled dal Belgio alla punta quasi più meridionale dell’Italia, a Palermo, il bambino incontra, o sperimenta e subisce tutte le nostre vergogne. Nei cantieri del lavoro nero. Nei capannoni ancora più neri dove si lavora e si dorme e poco si mangia nel corso delle ventiquattro ora. Fra i reietti dove pure si trovano gerarchie e sotto-schiavitù. Negli autostop che nascondono gravi pericoli, nelle piazzole o nei boschetti di risulta pieni di immondizia, nei luoghi in cui giovanotti cialtroni si vantano di bruciare campi rom o di riempire di botte un vecchio. Come un’eco, nella vita di Katerina, nella vita di Orso e persino del maresciallo Vitale (quello che dovrebbe stare più al sicuro) si evidenziano altre ingiustizie. Perché il punto comune è l’invisibilità del dolore, l’incomunicabilità dei bisogni – quando diversi fra loro, quando appiattiti nella linea scura che separa chi apparentemente ha tutto e chi non può chiedere niente. Figure di bambini – forse vere, forse immaginarie – compaiono nei luoghi più differenti, in una scuola, in un salotto…chi sono?
E cosa c’è nel trolley di Khaled, perché è disposto a farsi ammazzare pur di non mollarlo? E che fine ha fatto Nadir, il suo fratellino di quattro anni, dopo che lo ha abbattuto un crollo nel cantiere in cui lavorava Khaled? Nella danza finale degli invisibili, i bambini perduti e mai ritrovati, cui Evelina Santangelo dà una seconda possibilità di vita, le domande si sciolgono, com’è giusto in ogni epica, nel successo degli eroi. Eroi pieni di dubbi e con nessuna certezza – che non hanno dovuto affrontare draghi o esseri superiori. Han dovuto combattere dentro di sé il morbo dell’indifferenza, della paura di perdere quel poco che una società ingiusta ci riconosce. È in verità un coro di piccoli/grandi atti di eroismo, quello che si dipana nel lungo viaggio di Khaled, il più invisibile degli eroi, il più testardo e motivato nella sua ricerca di normalità. La normalità degli esseri umani: casa affetti relazioni. Perché è diventato eroico, nel nostro tempo, accorgersi di un bambino perduto, rifiutare le discriminazioni, combattere comportamenti diffusi: di ignavia, di accidia, di crudele egoismo.
Un’epica del quotidiano, insomma, quella di Evelina Santangelo, cui le donne da sempre sanno dare immagine e parola. E la sua parola raggiunge vette di epica proprio nella scrittura sorvegliata, netta e senza ripensamenti. Con lo sguardo di Khaled, uno sguardo che illumina tutti gli angoli bui del nostro mondo, come nel primo incontro fra Khaled e Katarina. Un’anima in pena, o qualcosa del genere. Questo pensa Khaled della donna spersa tra le corsie dell’hard discount dove lui era sgattaiolato per ripararsi dalla pioggia. Insalsicciata in un vestito a fiori, se ne stava a fissare un punto indefinito davanti a un espositore di merendine al cioccolato. Non si era nemmeno accorta della pozza d’acqua che lui, un attimo prima, aveva lasciato a terra proprio in quel quadratino di mattoni, con le scarpe da tennis che parevano barche affondate e le gambe nude rigate di peli e di fango. (…) E non aveva alcuna intenzione di dirle come si chiamava, anche se lei glielo aveva chiesto scandendo le parole, aiutandosi con i gesti, sforzandosi di farsi capire. (…) Il fatto è che non ha voglia di andare in giro a dire il suo nome alla gente. «Il frutto della pace è appeso al silenzio», diceva sua nonna.
Evelina Santangelo, Da un altro mondo, Einaudi 2019, 236 pagine, 19,50 euro
PASSAPAROLA: GRAZIE ♥Nadia Tarantini
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