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«La generale condizione umana nel nostro tempo: trovarsi su un inabitabile pianeta, ma sapere che è l’unico dove per ora possiamo star di casa». Così Fabrizia Ramondino racconta la sua città, Napoli, che diventa emblema della condizione umana nel memoir “Star di casa” che torna in libreria dopo 34 anni

di Paola Nitido

«Così Napoli, dove è così difficile vivere e che invoglia tanto a partire, che è così difficile abbandonare e che costringe sempre a tornare, diventa, più di molti altri, il luogo emblematico di una generale condizione umana nel nostro tempo: trovarsi su un inabitabile pianeta, ma sapere che è l’unico dove per ora possiamo star di casa».

A trentaquattro anni dalla prima pubblicazione torna in libreria Star di casa di Fabrizia Ramondino pubblicato da Orizzonte Milton. In questo memoir intenso e ironico le atmosfere, i ricordi e le riflessioni sono orchestrate in una prosa letteraria che oscilla tra la vividezza pittorica e l’introspezione.  I titoli dei capitoli – “Star di casa”, “Il salotto napoletano o dell’accidia”, “Sopra un mio antico tema” – suggeriscono una struttura che intreccia il racconto personale con l’affresco sociale e la riflessione saggistica. Il filo conduttore della tessitura emotiva e spaziale è lo “star di casa”, motivo esistenziale e narrativo comune ad altri testi di Ramondino, laddove la casa è percepita come una forma di esistenza di passaggio fra i viaggi, i sentieri, gli incontri.
“Non molto sicuri noi stiamo di casa \ nel significato mondo”, riporta l’epigrafe di Rainer Maria Rilke, perché la corrispondenza fra il luogo in cui si vive e quello a cui si sente di appartenere non è immediata: «sempre, nei viaggi in treno, […] qualcuno mi chiede di dove sono. E quando rispondo “Di Napoli”, provo imbarazzo. […] Pure infatti nata a Napoli e vissutavi a lungo, sono stata di casa anche altroce». Nella ricerca di un equilibrio fra le radici e le partenze, la scrittrice sta di casa in un “altroce”, lapsus calami che sta per altrove, come annota lei stessa, e poi aggiunge: «Non sto quindi a Napoli sicura di casa – né d’altra parte in altri paesi e città – come se appartenessi a una minoranza etnica dispersa e remota». Questo star di casa poco sicuro non riguarda soltanto i luoghi, ma anche le lingue e classi sociali: «non ho avuto una madrelingua, ma due l’italiano di mia madre, una signora napoletana di spirito cosmopolita, e il maiorchino della mia balia, una contadina di Sa Pobla». Parla sia la voce della madre che quella della balia quando i racconti d’infanzia si intrecciano alle esperienze dell’età adulta. Ma Napoli non è una città materna, bensì una città balia che di passaggio ti nutre.
«Sentendomi quindi straniera in patria non che mi resta che trasformare il lungo tempo che ho trascorso a Napoli in un mio spazio geografico», la topografia domestica ispira spunti autobiografici e sociali mentre l’Io percorre le stanze della memoria e incontra immagini nitide che non sono più e descrizioni delle abitazioni precarie comuni alla sua generazione negli anni della guerra e poi in quelli del terremoto dell’80 a Napoli – «unire il proprio destino individuale con quello degli altri, può anche anticipare il futuro» – tempi lontani tenuti insieme dalla fantasticheria di una casa propria. Il racconto delle “case demolite”, prima del 1910 a Parigi, di Rilke, autore amato che ritorna, è come quello delle case di Via Marina nel ‘44 a Napoli che ispirano fantasie bambine: «credevo anche che un mago potente avesse finalmente realizzato il mio sogno di ‘vedere nelle case degli altri’- e forse nel segreto estremo della mia casa borghese». I mesi che seguirono il terremoto dell’80 furono “come un eterno ‘43” in cui il ritmo orogenetico fa crollare le certezze perché nella “città labirintica” le case tremavano come le concezioni del mondo.
A tenere insieme le rievocazioni nella tessitura della memoria ci sono il colore rosso e il personaggio della nonna. Rosso come la militanza, l’Eros, il dolore, la ribellione, il sangue: una macchia viva e simbolica che si manifesta quando alla morte del padre la ragazza versa il primo sangue mestruale «quasi l’assenza di mio padre avesse consentito di manifestarsi alla donna che pareva temere in me; […] La ragazza, quasi donna, nello specchio era un’altra, che guardavo come di lei innamorata, furtiva e timida. Ma fra quell’immagine pure e irreale […] e me stessa, c’era una lacerazione, non quindi la sottile linea d’ombra che separa Narciso dalla sua immagine. Una vera e propria ferita di guerra. Quella di ragazza che si ribellava a un destino di donna che il suo ambiente le destinava». Al rosso dell’emancipazione si affianca il rosso pompeiano e quello dei “gesti rossi” verso i fratelli “legati al sangue comune che scorreva nei nostri corpi” come pure il rosso operario che diventa occasione per raccontare una Napoli nordica (San Giovanni, Poggioreale, Bagnoli) che assomiglia alla Germania dove l’autrice ha vissuto. In questo Nord vi sono i destini dei “giovani intellettuali” che lasciano Napoli alla ricerca di fortuna: «E fuggendo Napoli, per inseguire un Nord mitico, che quasi sempre non oltrepassava Roma, venivano a loro volta inseguiti da Napoli, come da una segreta ossessione. Chè Napoli usa seguire i suoi concittadini dovunque, come un’ombra, se si trasferiscono altrove […]». Se Napoli è un’ombra, la nonna è un “antico tema”, il personaggio che abita un mondo arcaico fatto di riti, monacielli, nenie, in cui le porte delle case sono sempre aperte come quelle della propria casa interiore. Nel villaggio l’infanzia trascorre libera ed errabonda fra le fughe sui lastrici e le storie della nonna che nella “visione dell’umanità” di un forestiero che approda al villaggio viene considerata “fuori categoria”.
Ramondino offre un ritratto vivido e sfaccettato di Napoli nell’elegia dell’antico Salotto napoletano, spazio di rappresentazione e antico teatro custodito da una porta. L’architettura di una stanza delle case napoletane – che svolge una funzione simbolica anche nel romanzo d’esordio – in cui mette in scena il passare del tempo da quando il salotto era l’esposizione dei fasti di una famiglia a quando questo giace disabitato, più spoglio di oggetti, non più luogo di conversazione ma aperto “Soggiorno moderno” che invade tutto il resto della casa. L’accidia del “salotto napoletano” svanisce poiché prima nel Salotto ci si poteva preparare al teatro ma con il cambio di configurazione della casa il simbolico non esiste più e la rappresentazione diventa ubiqua. La capacità di Ramondino di trarre significati universali dal microcosmo domestico è uno dei tratti distintivi di una scrittura che sa farsi specchio delle complessità dell’esistenza.

Fabrizia Ramondino, Star di casa, Orizzonte Milton 2025

 

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Paola Nitido

Paola Nitido è autrice e docente di materie letterarie, laureata in Italianistica presso l’Università di Bologna con una tesi su Fabrizia Ramondino e in Lettere Moderne presso l’Università di Napoli su Dino Campana e Sibilla Aleramo. Ha pubblicato “Le vite degli altri abitano la mia. La scrittura del sé nell’opera di Fabrizia Ramondino” (Fridericiana Editrice Universitaria, Napoli 2021). Già redattrice e speaker presso F2 Radio Lab, web Radio dell’Università Federico II, vincitrice del Premio Letterario Internazionale Nova sociale con il racconto “A gambe incrociate” (2016) e Menzione speciale per lo stesso Premio per le poesie “Vuotezza” (2017). Pubblica articoli e racconti su varie riviste e si occupa di autrici del Novecento e di teatro.

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