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Quattro scrittrici nella capitale dell’impero britannico, sono expat, figlie di «migrazione quasi sempre libera, che non diventa mai naufragio» e hanno scelto la lingua madre. Ma le similitudini finiscono qui: Bandinelli, Campofreda, Tolfo e Durastanti raccontano storie diverse e tutte da leggere.

di Alice Gerosa

Negli ultimi sei mesi mi è capitato di leggere quattro romanzi abbastanza recenti di scrittrici italiane a Londra: La più brava di Carolina Bandinelli (Nutrimenti, 2024), Ragazze per bene di Olga Campofreda (NN Editore, 2023), Wild Swimming di Giorgia Tolfo (Bompiani, 2025) e La straniera di Claudia Durastanti (La nave di Teseo, 2019). La poca distanza temporale tra la lettura di queste opere ha reso impossibile anche a una osservatrice inesperta come me non notarne i tratti comuni. Avendo scritto quasi solo di cinema sono più abituata a individuare i rimandi visivi, quindi immagino che mi abbiano aiutato anche le copertine, tutte con un volto femminile (in genere di profilo) i cui connotati vengono in qualche modo coperti (da braccia, capelli o una banda con il titolo).

Una volta capito che sì, questi quattro romanzi condividono diverse caratteristiche, mi è sembrato logico comunicare questa scoperta. Ma quando ho cominciato a mettere giù una bozza di articolo mi sono scontrata con una resistenza. Il mio intento era tutto sommato innocuo, quello di delineare i tratti comuni delle narrazioni di queste autrici e l’immaginario che si forma nei loro romanzi. Come capita spesso quando si cerca di catalogare un corpus eterogeneo di opere in un recinto, per quanto su misura lo si possa tracciare, mi sono trovata in uno sterile gioco di “trova le differenze” che ha frustrato me e probabilmente anche i romanzi stessi.

A confermare che mi trovavo sulla strada sbagliata è riaffiorato il ricordo di un articolo scritto da Bea Setton (autrice cosmopolita, in continuo movimento tra città e continenti), che su The Irish Times si scagliava contro la tendenza della critica e dell’industria stessa a trattare le narrazioni (sia letterarie che audiovisive) con protagoniste femminili complesse come un topos, mischiando tra loro storie molto diverse e sotto etichette come «sad-girls, unhinged women, hot messy millennial». Così facendo non solo si vanno a perdere le particolarità delle singole opere, ma si rischia in un certo senso di ghettizzare la produzione artistica femminile. È un’operazione pericolosa, che ha portato un critico italiano a ridurre l’intero mercato editoriale del Paese a libri sentimentali e lacrimevoli scritti da donne e letti da donne. E questo non negli anni Cinquanta, ma non più di un anno fa.

La scrittura delle donne non può diventare un genere e questo vale anche per le autrici italiane a Londra. Emma, la protagonista de La più brava, con le sue idiosincrasie e la sua ironia, è del tutto diversa dalla narratrice di Wild Swimming, anche se per entrambe la ricerca di una casa da comprare a Londra è un passaggio fondamentale, che suscita in loro sentimenti ambivalenti. Così come il legame con il contesto familiare, tematica presente in tutti e quattro i romanzi, viene vissuto in maniera diversa dalla protagonista di Ragazze per bene, che tornando da Londra deve affrontare la realtà borghese e conformista della provincia campana, rispetto a quella di La straniera, che già dall’infanzia si trova immersa in un’identità frammentata e cosmopolita.

Invece che cercare di trovare il minimo comune denominatore che rende questi libri dei romanzi expat (prendendo in prestito la definizione che ha usato Davide Coppo su Rivista Studio, in un articolo che analizza il fenomeno degli autori italiani all’estero in una prospettiva più ampia, lasciando spazio a interventi diretti di queste scrittrici e scrittori), è forse più interessante riflettere su cosa tali opere rappresentino per chi le legge in Italia. È indicativo che queste scrittrici, che nella quotidianità usano di certo più l’inglese che l’italiano, abbiano deciso di raccontare le loro storie nella lingua madre. In Italia c’è più gente che scrive di quella che legge, l’abbiamo sentito dire più o meno da chiunque, quindi la scelta di inserirsi in un mercato così ristretto, quando verosimilmente si avrebbe la possibilità di raggiungere fin da subito un bacino sconfinato come quello anglosassone, deve essere dettata da necessità più pressanti rispetto alla maggiore naturalezza nell’usare la lingua con cui si è cresciuti. Scrivendo in italiano queste autrici hanno scelto di indirizzare le loro storie non alla comunità in cui vivono, ma in quella da cui provengono.

Oltre all’aspetto linguistico, è interessante notare la tempistica di queste opere. Tre di queste opere sono uscite negli ultimi tre anni e la meno recente, La straniera, ha avuto una ristampa l’anno scorso. Queste storie, spesso con una componente autobiografica, arrivano sul mercato italiano proprio nel momento in cui gli effetti a lungo termine della progressiva messa in atto della Brexit hanno cominciato a delinearsi. Se per i primi cinque anni la differenza, almeno per i turisti, è stata tutto sommato impercettibile, dal 2021 è necessario il passaporto per entrare in UK e dal 2 aprile 2025 si aggiunge anche il visto. Il 2021 è stato anche l’anno in cui sono cambiate le rette per gli studenti europei, che prima potevano godere della stessa tariffa riservata ai britannici e ora invece è raddoppiata, rendendo il sogno di un’esperienza universitaria in UK molto più difficile, considerando che già dal 2020 i paesi del Regno Unito non fanno più parte del programma Erasmus. Sfumata anche l’opzione, spesso percorsa da i fu-expat dell’era pre-Brexit, di trasferirsi a Londra alla ricerca di un impiego temporaneo, magari nel settore della ristorazione (come per Emma, protagonista di La più brava), per poi restare oppure tornare in Italia con un’esperienza cosmopolita.

Non è impossibile andare a vivere a Londra oggi, ma quello che è impossibile è partire senza un piano chiaro per il futuro. L’idea romantica con cui siamo cresciuti, quella che ci vedeva prendere un biglietto di sola andata per Londra, un ostello pagato per qualche settimana, e da lì vedere come andava ora non è solo ingenua, ma è fuori discussione, perché un cittadino europeo può ottenere il permesso di lavorare in UK solo se ha già un contratto di lavoro nel paese (e il datore di lavoro a sua volta assume solo chi ha già il permesso di lavoro).

Ma è proprio l’idea romantica di Londra come terra delle infinite possibilità (per quanto mendace possa essere) che ha nutrito le speranze dei giovani italiani, e non solo. Ma ora la generazione Z, cresciuta come i Millennials nel mito di un’Europa cosmopolita che ha in Londra la meta più sospirata, si vede preclusa un’opportunità che ha sempre dato per scontata.

Ed è soprattutto con loro che sembrano dialogare le storie di queste scrittrici, ultime testimoni di un’età d’oro già conclusa. La loro identità scissa tra il paese d’origine e quello in cui vivono si rispecchia in quella dei loro lettori e lettrici, scissa tra il paese d’origine e quello in cui vorrebbero vivere.

Claudia Durastanti accosta queste due anime in un passo de La straniera: «Dopo Brexit, gli expat sono diventati immigrati come gli altri, qualcuno si immagina apolide, un altro esule, per sentirsi più eleganti ci si definisce stranieri.

E poi ci sono gli altri, i migranti potenziali. Come si chiamano quelli che non sono mai partiti ma si sentono altrove rispetto alle proprie quotidiane circostanze?».

Le testimonianze di queste autrici offrono uno spaccato dell’esperienza di quello che sempre la Durastanti definisce “cosmopolitismo del privilegio”, «una migrazione quasi sempre libera, che non diventa mai naufragio». Eppure non è una cartolina perfetta quella che ci mandano le protagoniste di questi romanzi, ma una realtà complessa e piena di contraddizioni, coi suoi dolori e le sue soddisfazioni, in cui il senso di appartenenza a una nazione non è mai indolore e si deve continuamente rinegoziare, tanto per chi parte quanto per chi resta.

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Alice Gerosa

Alice Gerosa nasce a Como nel 1999. Dopo la maturità classica consegue una laurea triennale in Scienze dei Beni culturali alla Statale di Milano e una magistrale in Scritture e produzioni per lo spettacolo alla Sapienza di Roma. Durante gli anni universitari si avvicina al mondo del cinema, collaborando con alcune riviste di settore. Torna a Milano per frequentare il master di Arti del racconto alla IULM, grazie al quale muove i primi passi nel mondo dell’editoria.

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