Alessandra Foscati, ricercatrice all’Università di Lisbona, ha tenuto recentemente a Bologna un incontro intitolato “Mettersi al mondo: le donne nella storia dell’ostetricia”, che riprende temi già sviluppati dalla studiosa nel saggio curato assieme a Costanza Gislon Dopfel e Antonella Parmeggiani, Nascere. Il parto dalla tarda antichità all’età moderna. L’incontro si è svolto durante la IV edizione del corso sulla Comunicazione di genere, dal titolo “Le donne nelle professioni e nelle arti” (a cura di Dry-Art, associazione culturale e Zonta Club International, organizzazione mondiale di servizio). Corredando il suo intervento con molte belle immagini, tratte da opere d’arte, reperti archeologici e antichi libri di medicina, Foscati ha fatto notare come, a differenza delle altre professioni che, da maschili diventano femminili solo lentamente e con molta fatica, al contrario l’ostetricia, da sempre femminile, viene in seguito avocata e controllata da uomini. Questo è solo il primo di alcuni punti importanti che segnano il confine fra l’assistenza al parto dall’antichità all’età moderna, rispetto al periodo successivo, soprattutto dall’Ottocento in poi, in cui si è lentamente imposta la mentalità scientifica.
Il parto è infatti un evento naturale, e come tale immutabile ma, nel contempo, anche storicizzabile nei contesti e nelle pratiche. Prendiamo ad esempio il gridare e lamentarsi durante il travaglio ed il parto: abbiamo su Le Monde la testimonianza di un’ostetrica senegalese che ha sempre forzato le donne a non gridare, per rispettare la tradizione secondo la quale gridando avrebbero disonorato la famiglia del marito e generato un bambino debole. Il medico Michele Savonarola (1385-1468), invece, scriveva, rivolgendosi alla donna: “grida, così poi ti tratteranno bene e ti daranno bene da mangiare, perché impietositi dal tuo grande dolore”.
Altri elementi accomunano l’ostetricia almeno fino al XVI secolo: la posizione della donna sulla sedia da parto, con la levatrice e alcune donne come assistenti; la drammaticità della nascita, che induceva le gestanti di ceto elevato, consapevoli del rischio di morire, a fare testamento. Il confine fra magia, religione e scienza era poi molto più fluido di quanto potremmo supporre ora, ed erano suggeriti e praticati per agevolare il parto rimedi come una particolare pietra da posare sull’organo della donna, parole scritte in vari materiali che poi venivano mangiate, agnus dei plasmati con ceri pasquali benedetti, immagini sacre poste in sacchetti e cinture da indossare, preghiere ed invocazioni, che spesso usano gli stessi termini usati negli esorcismi (vieni fuori!) e, per analogia, la frase usata da Gesù per fare uscire Lazzaro dal sepolcro: se infatti il bambino non uscisse cagionerebbe la morte della madre, e per lui stesso il ventre materno diventerebbe tomba.
Queste prescrizioni potevano trovarsi indifferentemente in testi religiosi o di medicina monastica, per esempio nelle opere di Ildegarda di Bingen (XII secolo) santa, monaca, erborista e curatrice. Peraltro i libri di medicina delle donne per secoli e secoli restano gli stessi: Sorano, Mustione, Alberto Magno, Trotula (corpus di testi della scuola salernitana, ginecologia, salute generale e cosmetica), e riportavano immagini del feto nell’utero non realistiche, con idee bizzarre sul numero di feti che può portare una donna. Persistono poi molto a lungo nella cultura popolare convinzioni prima condivise anche dai medici, come l’idea che l’ottavo mese di gestazione sia infausto perché sotto il segno di Saturno.
La figura dell’ostetrica comincia a venire formalizzata dal XIII secolo, ed ancor più dal XVII-XVIII: può testimoniare nei processi e deve saper battezzare correttamente il bambino in caso di pericolo, quindi viene esaminata e controllata. In età moderna i medici cominciano poi a praticare il cesareo, anche se solo su donna morta, ed a criticare le ostetriche come ignoranti: perciò, per istruirle, scrivono libri e fondano scuole rivolte a loro. Celebre esempio a Bologna è costituito dai corsi per levatrici tenuti da Gian Antonio Galli (1708-1782), che correda il suo insegnamento, come ormai è d’uso fare, con l’utilizzo di modelli in cera e terracotta, e soprattutto l’uso di pupazzi all’interno di un modello d’utero in cristallo, che l’allieva doveva estrarre ad occhi bendati. Non mancano levatrici che si impegnano nella redazione di manuali e modelli per addestramento pratico: Louise Bourgeois Boursier (1563-1636), ostetrica diplomata e levatrice reale, autrice di vari libri tradotti in più lingue, e Angélique du Coudray, 1715-1794), famosa per il manichino in tessuto grezzo, da lei ideato ed usato, viaggiando per tutta la Francia, per addestrare il maggior numero possibile di ostetriche e anche chirurghi maschi.
Ma questo, dal ‘500 al ‘700, è proprio il periodo in cui si verifica la progressiva emarginazione delle donne dalla scena del parto, di cui medici e chirurghi uomini rivendicano il monopolio. In realtà a quei tempi i medici non erano in grado di fornire un’assistenza tanto migliore delle ostetriche e bisognerà attendere la seconda metà dell’Ottocento per assistere ad un reale progresso in chirurgia, e soprattutto allo sviluppo della tecnica antisettica, che debellò le terribili febbri puerperali. Inoltre le accuse di ignoranza erano decisamente un pretesto, perché le levatrici professioniste, quando fortemente impegnate nello studio e nell’insegnamento della medicina, vennero ancor più duramente ostacolate. L’obiettivo era quello di non avere concorrenti pericolose per la loro competenza, ma del personale che, pur istruito per il necessario, fosse limitato nei compiti e controllato fin dalla sua formazione.
Per vedere il protagonismo femminile aggiungersi alla sicurezza medica conquistata nell’Otto-Novecento abbiamo dovuto aspettare la seconda metà del XX secolo, quando nell’accademia – e non solo – emergono studiose che hanno saputo portare alla luce quella parte di umanità di cui il potere maschile ha sempre ignorato l’intelligenza e negato l’autonomia. La storia dell’assistenza alla nascita non fa certo eccezione, ed è solo dagli anni Ottanta del Novecento che una nuova generazione di storiche ha approfondito le tematiche relative al ruolo sessuale, riproduttivo e di cura. Il Movimento delle donne degli anni Settanta, con il suo infittirsi di manifestazioni, convegni, seminari, lotte per la salute riproduttiva e un’assistenza al parto più rispettosa della soggettività della donna. ha certamente creato l’ambiente favorevole al fiorire di questi studi.
Un libro molto importante, punto fermo per questo filone di storia della medicina e delle donne è stato Il bambino e l’acqua sporca: storia dell’assistenza al parto dalle mammane alle ostetriche (secoli XVI-XIX), di Claudia Pancino, pubblicato da Franco Angeli nel 1984. In esso viene ricostruito proprio il complesso e tormentato iter di cui ci ha parlato Alessandra Foscati, che ha portato l’assistenza al parto da affare domestico ad atto medico. Nei decenni successivi molti sono i saggi, gli interventi a convegni, gli articoli su riviste. Impossibile citarli tutti.
Limitandoci alle pubblicazioni più recenti, ricordo di Nadia Maria Filippini, Generare, partorire, nascere: una storia dall’antichità alla provetta. Sempre di Claudia Pancino, uscirà molto presto un altro libro sulla nascita.
Costanza Gislon Dopfel, Antonella Parmeggiani, Nascere. Il parto dalla tarda antichità all’età moderna, Il Mulino 2017
Claudia Pancino, Il bambino e l’acqua sporca: storia dell’assistenza al parto dalle mammane alle ostetriche (secoli XVI-XIX), Franco Angeli 1984
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Carla Mazzoni

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