Testimonianze al tempo del virus 16/ Rileggendo Emily Dickinson
“La mente ha corridoi che vanno oltre lo spazio materiale” scrisse la poeta americana vissuta vent’anni in autoreclusione. Quando si rende necessaria una frattura, come nell’attuale stagnazione, la poesia può deflagrare in risposta politica.
Di Francesca Traìna
Per chi si occupa di letteratura e di poesia è stato facile accostare l’isolamento volontario nel quale visse Emily Dickinson con quello coatto che tutti e tutte abbiamo vissuto. Siamo stati/e al chiuso delle nostre case per circa due mesi e mezzo concedendoci soltanto qualche inevitabile uscita nella massima prudenza e circospezione. Una forma di clausura durante la quale ciascuna/o ha scoperto qualcosa di sé che mai avrebbe sospettato di possedere.
La creatività, soprattutto, è stata protagonista della quotidianità di molte donne e uomini che si sono cimentati in arte, musica, canto, cucina, lettura, scrittura, ginnastica, bricolage, giardinaggio nei balconi o nei terrazzi e tantissime altre attività più o meno d’ingegno. In questo tempo ho riscoperto i suoni degli uccelli, prima indistinguibili nel caos cittadino, che emergevano dal silenzio delle strade. Ho sentito nitidamente il garrito delle rondini, l’allegro canto dei merli, il tubare dei colombi e altre melodie di pennuti in libertà. Personalmente ho vissuto il lockdown, cadenzato da bollettini sanitari, notizie sul virus, sulle sue probabili mutazioni, sulle migliaia di morti, alternando stati d’ansia e di angoscia ad ore e ore di lettura e riscoperta di testi già letti in anni lontani. Ho ripreso perfino la Divina Commedia. Ma l’emozione più forte e profonda l’ho provata nel rileggere le poesie di Emily Dickinson.
Sono entrata nei suoi scritti provando a capire, senza riuscirvi del tutto, le motivazioni che la spinsero ad isolarsi per vent’anni nella sua stanza e ad indossare sempre abiti bianchi.
La rilettura di Dickinson mi ha proiettato nella dimensione del viaggio. Ho viaggiato sulle ali della parola poetica, interiorizzando la grande lezione che la poeta americana ha saputo darmi: La mente ha corridoi che vanno oltre lo spazio materiale scrisse Emily riuscendo così a sublimare, attraverso l’arte, la tristezza per la perdita di tante persone care. Rileggendola ho sentito di essere davanti ad una prova tesa all’ago sensibile dell’anima, pronto all’interno di me quando lascio che le pagine si spieghino ai miei occhi senza tregue. Allora diventa facile cogliere le briciole di forza che si mettono in moto prima di volare per il mondo. E il mondo è lì, attento ad alzare il viso verso quei bagliori, anche i più fugaci.
In quel viaggio ho esplorato luoghi ineffabili, quanto misteriosi, al passo ritmico di versi il cui canto ha inciso il cuore della terra e il tempo eterno dell’arte.
Quando si rende necessaria una frattura, come nell’attuale stagnazione, la poesia può deflagrare in risposta politica e, in assenza di libertà, può aprire territori interiori dove libertà e verità ne sono parte costituente.
La restituzione del sentire, dell’essere e del vivere, in parola poetica connessa con il reale e il simbolico e non sottoposta all’uso commerciale, è grazia non comune, facoltà dell’anima creatrice, esperienza di nudità primordiale.
Infatti, se centinaia sono gli scrittori e le scrittrici, poche decine sono i poeti e le poete che riescono a conquistare la vetta dove tutto si fa più chiaro; che riescono ad edificare il tempio dove la poesia si fa preghiera laica e dove è possibile varcare la soglia solo a chi, in punta di piedi e in rispettoso silenzio, vuol farsi toccare da quelle parole.
Durante le lunghe giornate ripetevo a me stessa le parole di Dickinson: la mente ha corridoi che vanno oltre lo spazio materiale. Ed è stato così. La mente ha aperto autostrade e itinerari lungo i quali mi sono incamminata leggendo a voce alta, una dopo l’altra, le poesie. Emozioni nuove che mi proiettavano in un viaggio fuori e dentro di me rompendo le catene del confinamento fisico, così come aveva fatto Emily senza mai varcare i limiti del suo giardino, riuscendo, malgrado la clausura, ad esplorare la poesia e con essa il mondo: Mai Prigioniero sarai – Ove la libertà – Abiti – in Te.
Accostabili per grandi linee, che finiscono per incontrarsi, la posizione esistenziale della creatura, fragile eppur determinata Emily, con la nostra di appassionate lettrici abitanti la soglia di un tempo/spazio sospeso tra presente e futuro con la volontà di resistere per andare oltre quel tempo/spazio contingente.
Come Dickinson scriveva per dare dimora alle sue emozioni e alle sue debolezze, così noi – io – che mi sono immersa in lei, poeta e donna, ho reso dimora all’anima inquieta che mi ha accompagnato in questa sosta nel chiuso di un perimetro arioso e colorato grazie alla poesia. È questa la soglia tra due mondi e due modi di vivere, due tempi, due realtà in contrasto che tuttavia spalancano finestre, aprono porte di possibilità: Io vivo nella possibilità.
E la poeta, infatti, nella profondità della notte, riesce a vedere spazi di luce e non permetterà mai che la sua anima venga prosciugata dalle impietose stagioni dell’esistenza; questo è un altro suo insegnamento: Nel tuo piccolo cuore hai tu un ruscello/ Dove sbocciano timidi fiori./ Scendano a bere timorosi uccelli./ E tremino le ombre?/ Nessuno sa, tanto sommesso scorre./ Che c’è un ruscello lì-/ Eppure tu ci bevi ogni giorno/ La tua goccia di vita./
Ho riscoperto Emily Dickinson eretica ed erratica più che mai, poeta che ha saputo creare per noi spazi di libertà critica e testuale, la pausa al tempo del respiro, la disubbidienza alle leggi codificate del fare poesia.
Ho riscoperto diverse e spiazzanti Emily, tutte pronte ad assecondare la vocazione drammatica della singola, suprema intelligenza che le informa: la maggiorenne “divina” nella sua autonomia, la “bambina cattiva” che con le sue domande scardina sistemi teologici, l’osservatrice e contemplatrice della natura che colleziona “bestiari” ed “erbari” scientificamente esatti e di rara squisitezza metafisica, l’amante appassionata e fedele che guarda con distacco il matrimonio e sceglie la solitudine, l’artista che riflette sulla propria arte e la donna che contempla la morte immaginando di essere già morta.
Ho riscoperto Dickinson poeta fra le più grandi, madre simbolica di tante poete che con lei hanno creato una genealogia restando tuttavia fedeli al proprio sentire e alla propria singolarità. Rileggerla, durante la quarantena, è stata un’esperienza irrinunciabile, pur nella consapevolezza che non sarà mai possibile conoscere del tutto la sua strana, tragica eppur comica magnificenza, la sua grandezza imperiosa e variopinta, la sua folgorante metafora. So con certezza che mi ha soccorsa in momenti in cui notizie drammatiche si susseguivano e migliaia di persone morivano in solitudine. So che ha illuminato con la sua parola scritta il buio di tanti giorni: “E la mia vita è questa: allargare le mie piccole mani per accogliervi il Paradiso”.
PASSAPAROLA:









Francesca Traina

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