Scrittrici e giornaliste che parteciparono alla Resistenza con giornali e trasmissioni radio, mettendo in gioco la vita come De Céspedes e Cialente. E poi Ginzburg, Masino e altre che già dal 1944 lottarono per la libertà delle donne. Un libro di Valeria Babini
Di Ornella Cioni
Molti sono ormai gli studi sul contributo delle donne alla lotta di Liberazione, ma Valeria P. Babini col suo libro “Parole armate. Le grandi scrittrici del Novecento italiano tra Resistenza ed emancipazione, mette in luce un aspetto meno noto della storia politica e della storia letteraria del Novecento. Il testo ricostruisce infatti la partecipazione alla Resistenza di intellettuali, scrittrici e giornaliste che hanno lottato con le loro “parole armate” quando farlo poteva costare l’esilio o la fucilazione, donne che fin da allora capiscono di dover preparare una lotta che va oltre la Liberazione dal nazi- fascismo, una lotta per realizzare “una democrazia capace di calarsi fin dentro i rapporti tra i sessi, fra uomo e donna nella famiglia, dove anche gli antichi legami della società patriarcale dovranno cedere il passo alla costruzione di un mondo di esseri liberi e uguali”.
Queste scrittrici preparano in clandestinità una lotta che continuerà anche con la proclamazione della Repubblica perché i codici civili e penali dell’Italia liberale, ancora in vigore, non tengono conto della parità di diritti indicati dalla nuova Costituzione, né della parità che le donne hanno guadagnato con la loro partecipazione sul campo alla lotta di Liberazione.
Sarà soprattutto attraverso l’opera di tre scrittrici impegnate, Alba de Céspedes, Anna Banti, Natalia Ginzburg e le protagoniste di loro tre importanti romanzi, donne complesse e a volte contraddittorie, che verrà mostrata ai lettori un mondo femminile che, quando addirittura non subisce violenza, viene comunque sacrificato, scrive Babini, “da una società strutturata in senso patriarcale ancora viva nel nuovo stato democratico e difesa dalle sue leggi”.
La lotta di due scrittrici, Fausta Cialente e Alba de Céspedes è iniziata molto prima della Liberazione e le due sono accomunate dall’esperienza, seppur in contesti diversi, di giornaliste radiofoniche. Cialente nell’ottobre 1940 fu chiamata a Radio Cairo e decise di accettare una proposta del British Ministry of Information. Verrà inserito nel palinsesto dell’emittente britannica Radio Cairo un programma radiofonico in lingua italiana e Cialente ne sarà la voce dal 1940 al 1943. Obiettivo della trasmissione era divulgare l’informazione rivolta ai giovani (militari, civili, prigionieri internati, circa 8000, nei campi di prigionia allestiti da egiziani e inglesi nel deserto) per renderli consapevoli dell’abiezione del regime, dei suoi delitti e di come in Italia gli antifascisti già militavano rischiando la vita. Ma l’appello giungeva anche alle truppe italiane combattenti in Africa con l’invito a lasciare le armi. Cialente opererà un lavoro di smontaggio della comunicazione di Radio Roma, emittente fedelissima della propaganda di Mussolini.
Ma già dal dicembre ’43 un’altra donna parlerà da Radio Bari. Si tratta di Alba de Céspedes che, col nome di Clorinda, collaborerà col Psychological Warfare Branch che, dopo l’arrivo delle forze anglo- americane, controlla l’EIAR (Ente italiano per le audizioni radiofoniche).
La voce di Clorinda conduce “Italia combatte”, mezzora di trasmissione radiofonica per la propaganda contro l’invasore, l’aggiornamento sulle attività svolte dalla resistenza partigiana, le indicazioni operative in codice, la denuncia di delatori e collaborazionisti e le istruzioni per il sabotaggio. Clorinda si rivolge a uomini e donne a partire da sé, dalla sua umana paura e dalle sue speranze per il futuro. In particolare alle donne indica i molti modi di partecipare alla lotta, ai sabotaggi, al fiancheggiamento, senza necessariamente andare con i patrioti sulle montagne.
De Céspedes con l’avanzare del fronte ritornerà a Roma. Qui si stabilirà una rete di rapporti tra donne di valore nel campo intellettuale, come Paola Masino, Maria Bellonci, Anna Garofalo, Sibilla Aleramo, Marise Ferro, oltre alle tre scrittrici già nominate. Condividono gli stessi obiettivi, stabiliscono legami di amicizia e di confidenza di cui sono testimonianza lettere, diari, articoli, da cui emerge il sentimento di appartenenza a un’avanguardia femminile.
Dopo la liberazione di Roma, nel giugno del ’44, in città sarà tutto un fiorire di settimanali, quotidiani, riviste culturali a cui partecipa la rete intellettuale femminile. Oltre al più noto “Mercurio”, ideato già a Napoli da Alba de Céspedes, c’è la rivista “Città” fondata da Paola Masino, sostenitrice di un diritto-dovere di libertà delle donne, che interverrà a favore della Repubblica, della mobilitazione civile e dell’autonomia degli intellettuali rispetto alla politica culturale dei partiti. Masino indaga la condizione femminile in “Nascita e morte della massaia”, un romanzo attualissimo e di recente ripubblicato. C’è infine l’importante trasmissione radiofonica di Anna Garofalo “Parola di donna” di cui poi lascia testimonianza nel libro “L’italiana in Italia”.
E’ anche il momento della rinascita dell’editoria e proprio la piccola editoria divulga la letteratura concentrazionaria. Poco prima della fine della guerra e poco dopo la Liberazione furono le scrittrici, insieme a Primo Levi, a dare testimonianza diretta della vita nei lager. Due di esse, Giuliana Tedeschi e Liana Millu, continuarono a scrivere, altre tre, Alba Valech, Luciana Nissim, Frida Misul vollero solamente rendere testimonianza dell’esperienza delle “donne contro il mostro”.
Nella seconda parte del testo Babini si sofferma sulla lotta delle donne per il diritto di voto. Ancora una volta è la penna delle grandi scrittrici che ruotano intorno al “Mercurio” nel numero dedicato al “Processo al ‘46”, a dare conto del clima di grande emozione, ma anche di trepidazione e di smarrimento, nonostante l’acquisita consapevolezza, in cui loro stesse andarono a votare il 2 giugno.
Nel numero marzo- giugno del ’48 del “Mercurio” viene pubblicato l’importante confronto tra Natalia Ginzburg e Alba de Céspedes a partire dal “Discorso sulle donne” di Ginzburg. In un periodo di apparente svolta nell’emancipazione, le due scrittrici discutono in realtà di fronte ai lettori su un argomento importante: la disparità fra uomini e donne e la depressione che ne segue per molte.
Anche se nel loro confronto non ne fanno cenno, entrambe stanno pubblicando in quei giorni due romanzi in cui le protagoniste uccidono il marito. Si tratta di “E’ stato così” della Ginzburg e di “Dalla parte di lei“ di de Céspedes. Lo stesso numero della rivista contiene un articolo intitolato “La nuova donna magistrato”, scritto dalla penalista Maria Bassino. E’ infatti in corso alla Costituente la discussione per l’ammissione della donna alla magistratura. A. de Céspedes, sia attraverso la sua rivista sia attraverso Alessandra, nel suo romanzo “Dalla parte di lei“, si fa paladina della necessità di ammissione delle donne alla magistratura.
Come spesso succede la letteratura era in anticipo sui tempi e saranno i due romanzi citati, insieme ad “Artemisia” di Anna Banti, a gridare le ragioni delle donne, a parlare non solo di uguaglianza, ma anche di differenza.
La battaglia per l’ingresso delle donne in magistratura fu allora perduta e fu necessario aspettare la legge n.66 del 1963 perché fosse sancita “L’ammissione della donna agli uffici pubblici e alle professioni”.
Valeria P. Babini, “Parole armate. Le grandi scrittrici del Novecento italiano tra Resistenza ed emancipazione”, La Tartaruga 2018
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Ornella Cioni

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