Artemisia ancora e sempre

Ornella Cioni 26 settembre 2018

Parla in prima persona l’Artemisia di Angèle Paoli per raccontare la propria storia di bambina di sei anni e di orfana dodicenne, apprendista pittrice. I primi due capitoli del romanzo ci immergono nella luce corrusca della Roma dell’esecuzione della famiglia Cenci (1599), cui Artemisia assiste, e della morte per parto di sua madre. Di violenza e morte fa esperienza in tenera età Artemisia. La violenza di un’esecuzione per parricidio (maBeatrice Cenci era stata stuprata dal padre che poi uccise) e la violenza della vita matrimoniale, fatta di gravidanze plurime, sul corpo della propria madre, Prudenzia Montoni  Gentileschi, morta di parto a trent’anni alla settima gravidanza. Difficile destino per una fanciulla che, maggiore dei tre fratelli sopravvissuti, si trova in giovane età a dirigere una casa.
Artemisia già frequenta però la bottega del padre Orazio, che alcuni anni dopo, desiderando far conoscere sua figlia e trovare un mercante per le sue opere, scrive una lettera a Cristina di Lorena, a Firenze, in cui afferma di lei con orgoglio: ”… forse i principali maestri di questa professione non arrivano al suo sapere” (lettera del 3 luglio 1612). La Gentileschi è già nel 1609 una pittrice compiuta, al di là della valutazione del padre. La sua opera  Susanna e i Vecchioni, mostra una grande maturità artistica per i suoi diciassette anni.Rivelatrice è anche la testimonianza di Nicolò Bandini, apprendista di Orazio, che dice che dal 1611 già preparava i colori e li mescolava solo per lei.
Certamente l’infanzia e l’adolescenza trascorse in un ambiente artistico straordinariamente fertile – lo stesso Orazio e i suoi amici pittori tra cui Caravaggio – dovettero facilitare la sua maturazione artistica, ma Artemisia era dotata di una forte e personale vocazione per la pittura da una parte e di una irriducibile determinazione dall’altra. Angèle Paoli ci descrive Artemisia che girando per le chiese di Roma analizza e seziona le opere di Caravaggio e dei suoi contemporanei, annotando mentalmente le sue osservazioni, spinta dal desiderio di trarre da quegli esempi le migliori lezioni, ma anche ponendosi sempre nella tensione di trovare uno sguardo autonomo. La luce e il chiaroscuro, il realismo, il ricercare i propri modelli nei volti del popolo e dei contemporanei sono le prime lezioni che apprende, innanzitutto da Orazio e da Caravaggio.
Angèle Paoli ci fa conoscere Artemisia attraverso l’analisi delle sue opere, mettendo in evidenza lo sforzo e la meticolosità dell’artista nella progettazione e ricerca del suo punto di vista su soggetti della tradizione storica e artistica: “Cerco con il pennello sulla tavolozza e nelle sfumature dei miei dipinti il segreto di colei che mi abita. Mi rivolgo a me stessa non per eccesso di amore per la mia persona, ma perché voglio comprendere. Chi sono?” si domanda mentre progetta la Sibilla.
Su tanta ricerca, tanta intelligenza si abbatte brutalmente la tragedia della sua vita, lo stupro da parte di Agostino Tassi, vicenda che ha fatto sì che non si possa parlare di Artemisia Gentileschi senza tener conto della sua vicenda biografica che, ha inevitabilmente compenetrato e informato di sé il suo prodotto artistico, fortemente segnato da un’esperienza e una riflessione femminile.
Otto mesi di processo, dal 2 marzo 1612 al 29 ottobre dello stesso anno. Angèle Paoli ricostruisce l’interrogatorio di Artemisia attraverso “Atti di un processo per stupro”. Sono momenti durissimi, come le visite delle levatrici, che sostanzialmente smentiscono le parole di Artemisia, ma momenti in cui la giovane conferma a se stessa che “da quell’onta sorgerà la sua opera”. Dopo le insidie, la violenza, la delusione per il comportamento del padre, l’umiliazione del processo, le sofferenze della tortura della sibilla che segna le sue preziose mani d’artista, arriva, a due giorni dalla fine del processo, il matrimonio riparatore, che dovrà ridarle la dignità lesa. Non con il Tassi, bandito da Roma per cinque anni per le sue molteplici accuse, ma con un giovane scelto dal padre, Pierantonio Stiattesi, fiorentino. Ed ecco un’altra vita di Artemisia che con straordinaria energia sa risorgere dalle sventure e sa all’occorrenza adattarsi ai costumi del suo tempo. Ben presto il trasferimento nella città natale del marito, anch’esso pittore ma di modesta levatura, le darà l’occasione, in seguito all’invito alla corte di Cosimo II, di emergere di nuovo dal buio e lanciarsi nell’avventura artistica.
Alla Gentileschi, nonostante il rischio di un discredito derivante dalle sue vicende biografiche, arride  un immediato successo anche nella moderata e prudente Firenze. Lì rinnoverà il suo stile, si procurerà commissioni, amici del calibro di Michelangelo Buonarroti il Giovane, di Galileo Galilei, delle sorelle Caccini, protettori e amanti come Francesco Maria Merighi.
Alla fecondità del periodo fiorentino corrisponderà anche l’accoglimentodi Artemisia nell’Accademia del disegno. Sono gli anni in cui lavora all’Allegoria dell’inclinazione, commissionatale dal Merighi, a un autoritratto, a due Giuditte. Una sull’idea del duetto, fortemente incentrata sulla relazione tra Giuditta e la fantesca Abra, e un’altra più realistica centrata sul momento dell’omicidio. Ma ci saranno anche una Maddalena penitente e Giaele e Sisara, opere in cui l’artista gioca sui contrasti di atmosfera, sulla sensualità dei soggetti, sulla drammatizzazione delle scene. Realizza inoltre una Diana al bagno, che considererà come uno dei suoi migliori risultati del periodo.
Angèle Paoli ci consegna un’immagine di donna moderna, risoluta e audace, fiduciosa  di sé e delle sue capacità, una donna luminosa, immersa nel suo mondo e nelle sue relazioni, che accetta la propria sensualità. Molto diversa dall’eroina solitaria, consumata in un incessante ricerca della propria identità e sicurezza, narrata nel 1947 da Anna Banti, a cui Angèle Paoli rende omaggio. Ma Artemisia è anche una viaggiatrice e necessità economiche e vicende alterne della vita la porteranno da Firenze di nuovo a Roma, poi a Napoli e fino alla lontana Inghilterra, dove si recherà con la figlia minore Francesca, cui deve procurare la dote. Là potrà riunirsi a Orazio e aiutarlo nell’ultima sua opera, che non riesce a finire,  Un’allegoria della pace e delle arti sotto la corona inglese. Lo condurrà infine all’ultima dimora con grandiosi funerali prima di tornare a Napoli dove si ritiene sia stata sepolta nel 1654.
Ogni volta Artemisia saprà adattarsi alle nuove realtà, trovare amici, mecenati, committenze e sarà capace di rielaborare il suo stile. “Breve storia delle mie vite” è infatti il sottotitolo del libro, vite molteplici, in cui non mancano dolori laceranti come la morte di tre dei cinque figli, l’abbandono e la sparizione del marito Pierantonio, di cui si perderanno le tracce, e la costante oppressione dei debiti, del bisogno di denaro per tener fede alle  commissioni prese,  per curare i figli, per procurare la dote a Palmina e a Francesca.
In Artemisia il binomio artista e donna è inscindibile e travolge chi ricerca e scrive su di lei. Nell’intensa quinta parte del libro la voce di Artemisia ci raggiunge “Post mortem”. Si rivela allora la sostanza  profonda del lungo dialogo tra l’autrice e l’artista, un corpo a corpo che sottende il romanzo, come già era accaduto, in forme e circostanze diverse, nel libro di Anna Banti.
In prima persona, abbiamo detto, parla Artemisia, ma si rivolge a Isolda, il suo alter ego, il suo lato silenzioso allo specchio ed è il capitolo del “Dialogo tra Isolda e Misia” che ci disvela del tutto il legame tra autrice/Isolda e Artemisia: “Ti inseguo tra le pagine, ti parlo, cerco di comprenderti. Di capire chi eri. Tento di cogliere (… ) l’intimità di quella che è stata la tua vita. Cerco di penetrare il segreto che ti ha spinto lungo il percorso che hai liberamente scelto. Ti parlo, ma è il tuo silenzio fra le ombre a rispondermi”.
Spazio temporale in cui oggi come ieri donne animate da passione come Artemisia o Angèle Paoli o Niki de Saint Phalle trovano un senso, una salvezza nella pittura, nella scrittura, nell’arte. Artemisia allo specchio, artista e donna ci parla dalla sua tomba, forse in S. Giovanni dei Fiorentini a Napoli. Ci lancia un ponte attraverso la storia dell’artista franco statunitense Niki de Saint Phalle (anch’essa vittima di violenza) e del suo Giardino dei tarocchi, popolato di enormi statue ispirate agli arcani maggiori. Le donne violate ieri come oggi si consumano nella lotta alla violenza degli uomini e le artiste cercano di sublimare le loro ferite nell’opera d’arte.

Angèle Paoli, Artemisia allo specchio. Breve storia delle mie vite, traduzione di Anna Tauzzi, Trieste, Vita Activa, 2018, pp. 236, € 15.00

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Ornella Cioni

Ornella Cioni è nata a Milano, ha vissuto in diverse città, adesso vive ad Orvieto. Si è laureata in Lettere presso l’università di Roma la Sapienza e ha insegnato materie letterarie per molti anni. Ama viaggiare, dipingere e si interessa di letteratura e poesia. Nel corso degli anni ha partecipato a gruppi di lavoro e di ricerca presso il Centro Culturale V.Woolf di Roma, la Libera Università delle donne di Milano, il Movimento di Cooperazione educativa. E’ socia fondatrice e Presidente dell’associazione “Il filo di Eloisa. Associazione culturale Eloisa Manciati”, per la quale è attiva nella promozione e realizzazione di eventi culturali ad Orvieto e di interventi di volontariato culturale nelle scuole di primo e di secondo grado del territorio volti particolarmente alla promozione della lettura e alla conoscenza della produzione letteraria delle donne. Ha curato la selezione dei concorsi letterari promossi dal Filo di Eloisa e ha scritto la prefazione dei sei testi di racconti e/ o poesia pubblicati dall’Associazione con diverse case editrici. Ha pubblicato articoli in quotidiani on line, in riviste quali Leggendaria, Mastro Pulce, Letterate Magazine e poesie e racconti in volumi collettanei.

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