Disimparare il potere

Pamela Marelli, 3 dicembre 2019

Performare il dominio era il titolo del seminario che si è svolto in autunno a Firenze. La ricerca al Giardino dei ciliegi è come sempre quella di pratiche femministe di rottura che aprano crepe nei luoghi del dominio patriarcale. E quindi: le forme alternative alla mascolinità egemonica, la resistenza alle propagande omofobiche e sovraniste, la lotta al razzismo

di Pamela Marelli

 

A distanza di qualche settimana condivido alcune suggestioni, in attesa della pubblicazione dei contributi, sul convegno dedicato ai femminismi del Giardino dei Ciliegi di Firenze, quest’anno incentrato sulla performatività del dominio. Il percorso di riflessione sulla dissidenza femminista, si leggeva nell’introduzione, occorre che parta “dalla materialità e dalla molteplicità delle nostre collocazioni di genere e sessuali, dalle forme di organizzazione delle vite quotidiane, dalle economie politiche con cui si gestisce e si pensa l’articolazione tra singolarità e comunità, tra umano e ambiente, per mettere al centro i corpi – sessuati e desideranti – e le relazioni che costruiamo quotidianamente al di là del paradigma dominante.”

Clotilde Barbarulli ha aperto la sezione Corpi: performare il dominio con un contributo sulle forme di sfruttamento e discriminazione odierne a partire dalla condizione delle donne migranti, descritte nel libro “Oro rosso” di Stefania Prandi, in cui il dominio neoliberale richiama quello coloniale. I femminismi decoloniali devono ribaltare la narrazione eurocentrica del mondo, a partire dalla ricchezza di ogni singola vicenda personale. Sono necessarie, nell’epoca del pensiero unico neoliberista, narrazioni diverse, memorie rimosse che offrano visioni dissonanti. Abbiamo bisogno di pratiche femministe di rottura, che aprano crepe nei luoghi del dominio patriarcale, non esenti dai germi di insubordinazione ed insorgenza, dobbiamo ridare forza creativa ai sogni di resistenza, sprona Clotilde, perché la rivoluzione è un lavoro quotidiano.

Liana Borghi ha condiviso un intervento sulla performatività del dominio, chiedendosi e chiedendoci come si resiste e come ci sottrae alle varie forme con cui questo si esplicita. Abbiamo bisogno di strategie per disimparare il potere, per evitare di subirlo e di usarlo, visto che il dominio è reiterazione coatta di norme. Il dominio partecipa alla riconfigurazione del mondo, attraverso pratiche materiali e discorsive, apparati di produzione corporea e fenomeni.

La performatività riguarda il modo in cui il dominio consiste nelle pratiche che lo creano e nelle soggettività incarnate che produce, perpetrando meccanismi e dispositivi di potere. L’Antropocene è un esempio di cattivo uso del dominio, mentre la questione del corpo nero nel dominio schiavista rivela gli intrecci tra forme di potere eteropatriarcale, coloniale, razzista e classista. Liana Borghi esorta a disimparare, disaffezionarci, disidentificarci dalle varie forme di dominazione per creare un campo di forze che producano domande, non solo risposte, rispetto al contesto che viviamo, in un’ottica materialista e postumana, di modo che le nostre agentività abbiano un’efficacia vitale per fare differenze che creano differenze.

Emilio Amideo e Federico Zappino hanno indagato rispettivamente le forme alternative alla mascolinità egemonica a partire dai testi di Thomas Glave e l’eterosessualità come modo di produzione del dominio, analizzando le gerarchie del pervasivo modello capitalista attraverso gli scritti di Judith Butler e Monique Wittig. Filippo Rebori ci ha condotto tra diverse fiabe trans con un linguaggio semplice e coinvolgente, così necessario per smantellare propagande omofobiche e sovraniste condividendo storie a partire dalla materialità quotidiana di soggettività non binarie e non normabili, di soggettività liberate in un percorso di “euforia di genere”.

Ho aperto la sezione Narrazioni: parole per dirlo con un contributo sul dominio nelle stragi di migranti, condividendo l’analisi delle differenti narrazioni relative al naufragio dell’11 ottobre 2013, in cui morirono per omissione di soccorso duecentosessantotto persone siriane, fra cui sessanta bambine e bambini. Alessandra Pigliaru a partire dal romanzo di Miriam Toews “Donne che parlano” ha narrato di pratiche, come gli abbracci, che attraversano e curano il trauma, costruendo spazi relazionali di vicinanza tra i corpi che creano alleanze e permettono l’uscita dall’immobilità causata dalle variegate forme di violenza.

Stefania Vulterini ha condiviso con passione i Transiti dal post coloniale all’afrofuturismo che sviano da percorsi fissi ed identitari verso nuovi orizzonti avvistabili a partire dalle opere sul colonialismo italiano come “Sangue giusto” di Francesca Melandri ed il documentario “Pagine nascoste” di Sabrina Varani, attraverso “Legami di sangue” di Octavia Butler per arrivare all’oggi ed ai possibili futuri antirazziali, postcoloniali e femministi avvistati nelle opere di Wangechi Mutu e Karima 2G. Immaginare una nuova realtà fuori da logiche dominanti è uno spazio del possibile.

Maria Nadotti ha concluso la sessione condividendo alcune riflessioni sulle caratteristiche che devono avere delle “narrazioni come si deve”, a partire da stimoli di Walter Benjamin.

Federica Fabbiani ha inaugurato la sezione Rappresentazioni: parole per dirlo attraverso una panoramica sulla rappresentazione al cinema e nelle serie televisive della butch, vista come figurazione della resistenza lesbica e femminista che potrebbe rilanciare una lotta di genere, affermando il valore intersezionale della diversità.

Francesca De Rosa ed Antonia Anna Ferrante nel workshop Gli elefanti nella stanza tutta per sé hanno proposto percorsi e riflessioni per mettere in discussione i privilegi e le posizioni di dominio che ognuna di noi vive ed agisce di modo da costruire il femminismo come spazio orizzontale davvero inclusivo, accessibile, attraversabile. Sono necessarie pratiche di autodecolonizzazione per rendere visibile ciò che è rimasto rimosso anche nei percorsi femministi, per svelare i privilegi che si creano negli intrecci tra genere e razza.

Nella sezione finale Movimenti, pratiche, corpi condotta da Anna Picciolini si sono condivise prassi femministe collettive. Antonella Petricone ha condiviso l’entusiasmante esperienza della Scuola politica di Be Free, Elisa Coco ha raccontato la decennale storia che ad Agape, nelle valli valdesi, ha portato dal campo donne al campo femminista, Francesca Cavarocchi ha esposto la sua esperienza di partecipazione alla Scuola delle Storiche. Un confronto che mi ha emozionata nel percepire la potenza dei luoghi femministi dove avviene uno scambio affettivo e politico, una trasmissione di saperi e prassi, una tessitura di relazioni che costituiscono la forza ed il sostegno dei reticolari femminismi odierni.

Lidia Cirillo ha concluso il convegno condividendo le sue approfondite riflessioni sull’attuale ciclo politico globale ed i femminismi. Analizzare in quale mondo viviamo è fondamentale per comprendere i meccanismi dominanti ed avere strumenti per combattere l’ascesa di una destra estrema razzista, sessista ed omofoba. Il movimento femminista attuale è un movimento che non finisce, è un movimento forte grazie alle lotte ed alle conquiste delle donne avvenute negli ultimi decenni. La forza acquisita dalle donne ha radici strutturali, culturali, politiche, psicologiche radicate.

Il rischio è che non ci sia memoria del percorso che ha portato le donne ad avere la forza che hanno. Per questo c’è bisogno di maggior trasmissione alle generazioni più giovani, di modo che sedimenti la memoria delle storie delle donne diventando un patrimonio condiviso, per avere consapevolezza del percorso che ha portato le donne a conquistare un senso di sé, della propria libertà, del poter fare ed agire politicamente.

Il convegno del Giardino dei ciliegi si è rivelato ancora una volta un momento di incontro importante, in un luogo di scambio e riflessione significativi, un utile strumento politico per decostruire, a partire da noi, le forme di dominio subite ed agite, e praticare un femminismo quotidianamente rivoluzionario.

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Pamela Marelli

Dopo la laurea in Storia con una tesi sul Movimento femminista bresciano degli anni ‘70, mi sono occupata di inte(g)razione e intercultura, sia lavorando per un decennio come operatrice di uffici per persone straniere che per impegno politico come attivista di un’associazione antirazzista. Ho curato l’editing del libro Il bagaglio invisibile. Storie di vita e pratiche di mediazione interculturale, esito del corso per la formazione di donne mediatrici del Progetto Equal. Stimolata da questa esperienza ho compilato una ricerca storica dal titolo Il bagaglio invisibile. Esperienze di migrazione e mediazione culturale di un gruppo di donne straniere radicatesi a Brescia che ha vinto, ex aequo, nel 2004, il Premio Dolores Abbiati promosso dalla Fondazione Micheletti. Nel 2008 ho raccolto le storie di lavoratrici tessili nel libro Tessendo abiti e strategie. Esperienze e sentimenti di operaie bresciane. Da qualche anno sono riuscita a trasformare l’amore per i libri in professione lavorando come bibliotecaria precaria. Mi sto occupando di una nuova ricerca dal titolo Archivi del mare salato. Stragi di migranti e culture pubbliche.

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