Un libro bello perché parla di bellezza in ogni sua pagina. Saveria Chemotti ha superato se stessa, creando Tilde, protagonista del suo “Quella voce poco fa”: Tilde, la cui bellezza è invisibile agli occhi, ma emerge ogni volta che la vediamo agire e parlare – e infine, con voce incredibile, cantare. Dalla sua voce si diffondeva un meraviglioso spartito di suoni alati che si spandevano intorno. Il suo canto soave non aveva bisogno di parole. Poche sillabe, ripetute con sfumature e modalità melodiche di toni alti e bassi senza un cedimento. Un concerto che ripeteva le voci degli uccelli, il fischio del vento, il gorgoglio dell’acqua fra i sassi, e, soprattutto, le arie che Bastiano le intonava la sera quando si riposava accanto al fuoco con le bisacce stracolme di prede cacciate di frodo.
Chemotti è riuscita a prenderci nella rete della bellezza – la bellezza che ci fa sopravvivere a tutto – pur scrivendo e raccontando del corpo mostruoso di Tilde, senza nulla risparmiarci; pur facendoci attraversare gli orrori della guerra e del fascismo, delle ingiustizie e dello stupro già incombente sulle cose del mondo e sulla natura. Si tratta perciò di una specie di miracolo, per il quale dobbiamo solo che esserle grate. E per farlo, ha molato la sua scrittura sino a farne uno strumento raffinato e precisissimo – e allo stesso tempo poetico, divagante, che affabula e insieme ci tiene vincolate con i piedi per terra.
Fin dal primo vagito, la neonata le era apparsa subito una creatura esiliata in un corpo assurdo. La permanenza protratta nel canale vaginale aveva certo contribuito a darle la forma di un cilindro compresso, ma la natura si era scordata di selezionare ed evidenziare armonicamente le sue diverse parti anatomiche. Ne era uscito un abbozzo sommario e repellente.
Tilde nasce disgraziata, con un corpo “assurdo”, destinata a rimanere presto orfana, in una solitudine familiare che si avverte da subito come incorreggibile. Lei e sua madre, una mamma già di per sé problematica, isolata totalmente dal mondo, almeno in apparenza. Sì, perché come accadrà nel destino della figlia, anche Burghele possiede talenti che il mondo non può ignorare, di cui ha bisogno. Conosce le erbe, può indovinare la vita delle persone, può aiutarle e addirittura salvarle. E in quest’angolo disperato dove vivono madre e figlia, abbandonato da Dio e dagli uomini, noi cominciamo a vedere da subito la luce della bellezza, siamo certe che il destino di Tilde ci riserverà delle sorprese.
La bellezza – l’amore – è una luce che solo i migliori riescono a vedere, quando sia oscurata da un aspetto fisico mostruoso, da una catapecchia disordinata e caotica, dall’impossibilità di inquadrare una persona o una situazione in uno schema consuetudinario. E spesso i migliori, quelli che riescono a vedere la bellezza aldilà degli stereotipi e delle convenzioni – sono gli ultimi/le ultime, le diverse/i diversi. E Tilde sarà accompagnata, amata e a volte salvata da un cacciatore ombroso e poco raccomandabile secondo i più, Bastiano; da una rete di donne amorevoli: Basilia, Mirna, Edvige la maestra detta Gige, Beppina; da Cesira e la figlia Nina, l’erede morale e materiale di Tilde; e infine da un brigante, Adamo, che per lei lascerà il brigantaggio e proverà ad inserirsi nella società. E finalmente anche da una donna già inserita perfettamente, donna Augusta, addirittura la moglie di un gerarca fascista, donna convenzionale ma dallo sguardo acuto e un cuore audace, che salterà di slancio la terra dei privilegi per conquistare la libertà.
Detto così, “Quella voce poco fa” sembrerebbe un libro a tesi, pensato a tavolino, un manifesto e non un romanzo. E invece no, perché, alle buone cose che racconta, Saveria Chemotti riesce a dare una vita vera, pagina per pagina: come nella vita, lo sporco e il brutto son le prime cose che saltano agli occhi, e il bello va cercato; come per i diamanti delle miniere africane, tocca raschiare ben bene per farne emergere la lucentezza. Non ci viene risparmiata la fatica, non siamo assolte dalla colpa, siamo coinvolte e implicate ogni momento, non ci possiamo semplicemente consolare. Dobbiamo soffrire e gioire insieme a Tilde – e capire dal vivo il perché.
Entrando in sintonia con il prezioso rapporto che ha Tilde con la natura – quel rapporto magico che rende la vita bella. Imperdibile. Tilde infatti si stava trasformando: cantava, disegnava, scarabocchiava. Sapeva fischiare con tutte e due le dita in bocca, inseguire le ombre sul muro col lume a petrolio in mano. Immaginava che il crepitio del camino fosse la voce dei folletti del bosco che si nascondevano sotto il tavolaccio. Si destreggiava a salire sugli alberi robusti e si deliziava al profumo dei fiori e dei frutti del suo amico melo. Applaudiva le lingue di fuoco che si alzavano dalla legna spaccata sul focolare.
Saveria Chemotti, Quella voce poco fa, Iacobellieditore, 2019
PASSAPAROLA:









Nadia Tarantini

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