Soggetti diversi per generi e per scelte esistenziali ne fanno materia viva della costruzione della propria identità in relazione agli altr*: chi non si omologa al maschile presentato come valore neutro, pratica verità che rinascono a ogni nuova esperienza e accettano il rischio di una ricerca continua. Esce “Etiche eccentriche. L’uscio stretto della normalità” di Barbara Mapelli
Di Luisella Erlicher
È un compito arduo anche se affascinante recensire l’intrigante saggio di Barbara Mapelli, filosoficamente argomentato e al contempo ricco di rimandi e di citazioni letterarie, dove trova un posto privilegiato anche l’incanto della poesia. Ciò in un procedere labirintico e ricorsivo per sempre meglio definire il suo approccio poliedrico e innovativo al tema dell’etica. Nel labirinto, ho scelto allora di seguire un filo che mi permetta di dare voce alle diverse definizioni che via via l’autrice va costruendo di quelle da lei definite etiche eccentriche, ossia posizionate in modo decentrato rispetto alla norma, e plurime perché molti sono i modi di tematizzare la morale e di viverla da parte di soggetti diversi per genere, o meglio dire per generi e per scelte esistenziali, che ne fanno materia viva della costruzione di identità.
Il saggio parte da una narrazione delle radici della radicale messa in discussione delle norme, universalmente accettate del patriarcato, effettuata storicamente dalla pratica politica del femminismo che ha autorizzato la libertà delle donne sia attraverso l’analisi critica di una storia e di un cultura che hanno negato la presenza di due generi, maschile e femminile, oscurati dall’uno maschile dominante, sia attraverso la stessa analisi critica applicata alle riflessioni sull’esperienza personale, diventate nuovo paradigma epistemologico attraverso la pratica dell’autocoscienza.
La trasformazione personale viene indicata dall’autrice come una importante modalità che ha consentito la radicale messa in discussione dell’omologazione al maschile di valori che vengono presentati come neutri. È attraverso questi atti politici che il femminismo ha affermato, sostiene Mapelli, la necessità per ognuna/o di costruzione della propria identità unica e differente come lotta contro la morale dell’unico. Nasce allora quella che Mapelli definisce una pedagogia femminista che assegna come compito l’autoformazione, che “si prende cura del proprio procedere esistenziale”
E qui ritrovo una prima formulazione delle etiche eccentriche che mi ero ripromessa di cercare: azioni che mirano a sostenere la complessità delle vite nel mondo.
Nel procedere dello scavo del concetto di etica l’autrice affronta la critica dell’ordine della normalità. Mapelli porta la sua disanima analitica sulla categoria della eterosessualità data per scontata come forma della normalità e che viene invece relativizzata come uno dei plurimi modi di vivere la propria sessualità. È una relativizzazione che l’autrice affronta anche attraverso riferimenti a elementi biografici citando una consapevolezza che ha arricchito la propria collocazione sessuale come scelta e non come destino. A livello filosofico la relativizzazione trova una sua rappresentazione etica nella virtù della perplessità, che origina “verità temporanee e modeste” in quanto rinascono ad ogni nuova esperienza e accettano il rischio di una ricerca continua.
Da questi approfondimenti penso di poter dedurre, come mi ripropongo, un secondo significato di etica per l’autrice: una morale responsabile che non giudica, ma si mette in gioco nella pluralità mai risolta dell’esperienza e con ciò riconosce l’inganno di verità parziali, nel tempo rese assolute.
Procedendo da questa posizione a latere Mapelli si chiede, se al di là delle sfaccettature delle diverse esperienze non esista una morale prima della morale, una sorta, la definirei di sostanza aristotelica, che secondo la posizione dell’autrice, si radica “nella parte più sconosciuta intima della persona”, in ciò convalidata anche dalle più recenti indagini della neuroetica. E dispiace che questo punto interessante per trovare le radici un’etica divergente sia trattato come uno dei molti excursus di questo saggio e non abbia lo spazio di approfondimento che ben meriterebbe. L’autrice, nell’andamento ricorsivo del testo, si rivolge invece di nuovo al pensiero binario, mostrandone la limitatezza in confronto a una attitudine aperta alla complessità delle differenze e ci invita a percorsi di costruzione della identità specifica e ricca di ciascuno di noi. E qui trova posto il discorso di quanto ci insegnano le esperienze che andando oltre la norma ci mostrano il valore di un punto di vista eccentrico appunto che dà valore ontologico al sostare ai margini, al posizionarsi “sulla soglia”.
E da qui permettetemi di trarre un terzo significato dell’etica secondo Mapelli: la morale come percorso di costruzione quasi artigianale di sé, una ricerca individuale che dialoga costantemente con la realtà e costruisce forme personali perennemente transitorie. Un’etica del “più di due”. Non quindi una morale della norma ma una che si sostanzia nella relazione, nell’attenzione all’altro e a ciò che ci circonda. Una morale situata, che si concretizza nella responsabilità sia nei confronti della propria realizzazione che di quella dell’altro in una dimensione di dialogo e di possibilità.
“I dwell in possibility
A fairer house than prose
More numerous of window
Superior for doors”
Come ci ricorda Emily Dickinson, già citata dall’autrice, se facciamo questa scelta potremo assaporare lo schiudersi di vastità impensate.
E mi dispiace non aver dedicato spazio al controcanto maschile che l’autrice propone al termine dei diversi capitoli per arricchire con punti di vista differenti la sua argomentazione. Accanto a una trattazione così creativa e non solo filosofica ma anche poetica di Mapelli mi sono parse un po’ a latere, se pur interessanti, le argomentazioni sia esperienziali che deduttive della nuova maschilità.
Barbara Mapelli, Etiche eccentriche. L’uscio stretto della normalità, Edizioni ETS, 2025

Luisella Erlicher

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