Napoli crolla sotto le bombe, il popolo si rivolta contro i nazifascisti. Poi arrivano i gagliardi soldati americani e Anna mette a frutto il suo inglese, trova un impiego ma rinuncia alle proprie illusioni. “La grande sete” è l’esordio di Erica Cassano che si è ispirata al diario di sua nonna scritto in quei giorni lontani e tragici
Di Jo Blivion
C’è una ragazza sulla spiaggia di Chiaia che attende di dissetarsi. Come il resto della folla, osserva i grossi pentoloni dove bolle l’acqua di mare, in attesa di essere filtrata e distribuita. Una volta riempite pentole e anfore, nessuno ringrazia, nessuno si saluta: le bocche sono aride e gli animi incattiviti. Salgono al cielo le fiamme dei bracieri, i vapori nauseanti dell’acqua e le maledizioni di un popolo stremato. È settembre, anno 1943, i tedeschi hanno manomesso l’acquedotto del Serino, impedendo all’acqua di giungere nelle case. La Seconda guerra mondiale è agli sgoccioli, l’intera città di Napoli muore di sete. Un angusto mezzanino collocato in un palazzo nei pressi del lungomare continua a ricevere acqua, non è chiaro come sia possibile. È un miracolo, ma anche una condanna, e la ragazza in questione lo sa bene. Suo padre, che l’ha mandata sulla spiaggia per non destare sospetti, è stato categorico: nessuno deve sapere che abitano nella Casa dell’Acqua.
La grande sete di Erica Cassano è un esordio che è pronto a prendersi tutto. Anzi, lo sta già facendo, perché in pochi mesi dalla sua uscita ha già scalato la classifica della narrativa italiana. La genesi di questo romanzo è di per sé una storia. Tutto comincia col ritrovamento di un diario: è di Anna, la nonna dell’autrice. Questi suoi ricordi vengono custoditi da Erica Cassano con gelosia, fino a quando decide di frequentare la Scuola Holden. Dopo tante trasformazioni e una lunga contesa editoriale, il suo sogno si avvera e nasce “La grande sete” di cui è appunto protagonista la nonna Anna.
C’è stato un tempo in cui sognare, tuttavia, non era un atto spensierato. Anna realizza presto che non c’è più tempo da dedicare ai sogni. Con la scomparsa di suo padre, c’è bisogno di qualcuno che provveda a sostenere economicamente la sua famiglia. Come ne L’amica geniale di Elena Ferrante, anche qui tutto comincia con un libro: una grammatica inglese che Anna ha studiato fino a sgualcirla e che le consentirà di ottenere un lavoro a Bagnoli come segretaria, lì dove la vecchia base tedesca sta passando in mano agli americani. Ma questo non basta a ritrovare la serenità. In una città che implode su se stessa, sconquassata dai bombardamenti e dal vulcano che la sovrasta, non è con la sopraffazione che Anna vuole riappropriarsi della sua vita. La grande sete è una storia di emancipazione femminile che fa risaltare i valori della cultura e dell’istruzione. Anna, proprio come sua sorella Felicita, è una ragazza ben istruita, non solo presso l’istituzione scolastica che ai tempi costringeva i giovanetti a scrivere elogi per il Duce, bensì arricchita dagli insegnamenti sovversivi del padre ferroviere, perseguitato dal regime fascista e per questo costretto, assieme alla famiglia, ad abbandonare la città di Genova.
La scrittura di Erica Cassano è limpida e robusta. La matrice diaristica del romanzo risulta evidente soprattutto nei molteplici flashback che vengono incastonati nell’ossatura narrativa e che, pur distogliendo momentaneamente l’attenzione dagli eventi principali, fungono da scorci dai quali osservare la vita di Anna e della sua famiglia nel quartiere genovese di Sampierdarena. Affonda nei meandri più oscuri di Napoli per illuminarne gli orrori e il degrado che, in seguito alla cacciata dei tedeschi, risalgono la città dal mezzanino di Anna fino alla collina di Posillipo.
E riesce, inoltre, a intrecciare le vicende interiori ed esteriori di ogni personaggio senza appiattirne la personalità. Nel romanzo, infatti, non esistono i buoni e i cattivi. Tutti i personaggi si frammentano in luci e ombre, animati da desideri e ipocrisie, si librano in slanci morali per poi contraddirsi la volta successiva. Un’ambiguità che non ramifica soltanto nei singoli personaggi, ma si palesa soprattutto come ascendente dei due popoli che in quegli anni calpestarono la medesima terra. Da un lato i vinti, i napoletani, liberatori di se stessi ma ben disposti a santificare chiunque venga ad assoggettarli. Dall’altro i vincitori, gli americani, gagliardi, di bell’aspetto ma anche prepotenti e denigratori. Mentre leggevo il capitolo 37, “Un anno dopo”, mi sono tornate in mente le parole del mio professore di Storia Romana: «Diciamoci la verità quando i Romani decidono di fare guerra ai Cartaginesi, non è mica perché volevano davvero la libertà dei popoli che erano stati sottomessi. Il fine vero era un altro. Non si libera un popolo per amicizia e basta.»
Un merito dell’autrice de La Grande Sete è la cura che impiega nel raffigurare l’illusione, un sentimento agrodolce, di cui nessuno in quegli anni poteva fare a meno. Non può privarsene Delia, la madre di Anna, che distribuisce l’acqua tra gli Assetati credendo che il suo gesto convinca l’Altissimo a condurre suo marito a casa. Di illudersi non può farne a meno neppure la sorella maggiore, Felicita, che attende il ritorno del marito mentre bada a due bambini nell’epoca più avversa all’innocenza infantile. E mentre aspetta anche lei si affida alle carte della vedova Coppola, megera e protettrice del condominio. L’illusione divampa anche tra le donne che si legano a soldati americani, al pensiero di una terra lontana che possa salvarle dalla miseria cittadina. Mi torna in mente una scena, vista nei programmi televisivi, di esploratori che arrancano nel deserto e poi, d’improvviso, si trovano davanti a uno specchio d’acqua dove abbeverarsi, che però svanisce man mano che ci si avvicina.
A mio avviso La grande sete giunge in libreria nel momento più adatto, cioè in mezzo alla confusione. Venti di tensione soffiano sull’Europa, da Est e da Ovest. L’incertezza cresce, la disinformazione avanza, la pressione ci fagocita. Ma una forma di resistenza che non implichi le armi esiste: la lettura. Da un lato sembrerà scontata, ma dall’altro, se lo fosse davvero, perché allora allarmarsi se il numero di lettori cala vertiginosamente nel Sud Italia? Forse la lettura non ha la consistenza necessaria per respingere un esercito, ma di sicuro riempie parecchi vergognosi vuoti di memoria. Gli stessi per cui c’è ancora chi ritiene sia superfluo dichiararsi antifascista.
Erica Cassano, La grande sete, Garzanti 2025
Jo Blivion
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