Una città sfigurata dai veleni, dalla guerra e dalla siccità è lo sfondo del nuovo romanzo di Maristella Lippolis “La notte dei bambini”, per la prima volta una distopia. Le sue personagge come sempre si ribellano. E vogliono un futuro diverso per il pianeta e per tutti e tutte noi
Silvia Neonato
Siamo in un tempo imprecisato del futuro, in una Roma distrutta che ha pure mutato nome. Ora è Tauersiti, una città sfigurata, in macerie, col cielo oscurato dall’inquinamento, dove bande di affamati e assetati si aggirano in quella che viene chiamata la Spianata, spesso picchiati o uccisi dalle milizie del governo. Il potere, ormai indebolito ma più violento, è arroccato nelle torri situate tutte intorno al perimetro, tanto da chiudere gli abitanti, detti i Nuovi, gente arrivata a Tauersiti da paesi diversi, in una sorta di lager da cui non è possibile fuggire
Parliamo del nuovo romanzo di Maristella Lippolis ,“La notte dei bambini”. Il primo personaggio che incontriamo è Zora, una giovane che in cambio di cibo o piccoli oggetti, raccoglie vecchie biografie e le trasforma in nuove storie di vita per chi deve assolutamente dimostrare l’appartenenza alla Città da almeno due generazioni per non rischiare la morte.
Ancora una donna protagonista di un tuo libro, ma per la prima volta ambientato nel futuro. Come mai?
«Situarsi nel futuro è come guardare dall’alto, puoi spaziare, vedi l’oggi proiettato nel tempo a venire. E del resto Ursula Le Guin diceva che la fantascienza in realtà ci parla del presente. L’idea di un libro a me comunque viene sempre immaginando una donna che non si arrende, che non vuole più vivere la vita che ha tra le mani e magari scappa. Era così, ad esempio, in” Adele né bella né brutta”, dove Adele lascia il marito e se ne va libera per il mondo. In questo nuovo romanzo intendevo scrivere una storia dove, senza una assunzione di responsabilità collettiva, non ci si salva. Così ho inventato la venditrice di storie, che vive in una città simile a quella di Blade Ranner: lì sono dei robot perfetti, i mutanti, che devono inventarsi un passato da umani per non essere rottamati. Qui no, “La notte dei bambini”, è una distopia, non un libro di fantascienza, non ci sono robot, astronavi, alieni. Alcuni dei Nuovi, esseri umani in carne e ossa, hanno l’esigenza di dimostrare che non sono Nuovi, ma eredi di vecchie famiglie della città, come Lena che fa le pulizie dentro le Torri e non vuole essere scovata. Zora costruisce per loro un finto passato, cerca tra le macerie libri e documenti a cui ispirarsi per scrivere storie credibili e sempre nuove. Poi per cercare la libertà deve allearsi con altre donne. E chiedere aiuto anche a un uomo, il Comandante Valoroso».
Lo scenario del tuo romanzo assomiglia alla Roma senz’acqua e invasa dalle blatte del film di Virzi, “Siccità”, appena uscito, altra storia ambientata nel futuro. Zora però vive spesso immersa nel passato, 20 anni prima sua madre è scomparsa.
«Zora spera di ritrovare, fuori dal recinto cittadino difeso dai droni e dall’esercito, sua madre, una biologa che è fuggita con alcuni bambini, su cui il potere aveva ordinato di condurre esperimenti per risolvere la sterilità che affligge i maschi che governano quel mondo inquinato. I Nuovi al contrario continuano a riprodursi e avere figli: per capire come è possibile, si sperimenta su di loro».
Né fantascienza né eroi solitari. Via via che la tua storia procede entrano in scena Lena, l’orfana Nurat, il Comandante Valoroso, i bambini Idris e Hatim. E poi Teo e Ella, il cane Mosè, che vivono nei boschi fuori della città, con scarse risorse, minacciati da altri umani e animali affamati.
«Niente eroi solitari, è vero, piuttosto l’idea che non ci si salva da soli. I miei personaggi si alleano per cercare una via di salvezza. Le mie personagge si coalizzano per portare se stesse e altri bambini in salvo fuori da Tauersiti. Questa è l’assunzione di responsabilità collettiva che desideravo narrare, non volevo l’eroe che sfida il Male e salva gli altri, muti, passivi, inconsapevoli. Mi ha, in questo senso, colpito molto anni fa il romanzo di Bruno Arpaia “Qualcosa là fuori”: in quel mondo sempre più caldo, milioni di umani si mettono in marcia a piedi verso la Scandinavia, dove il clima consente ancora la vita. Sono colonne di disgraziati e si salvano solo quelli che si aiutano».
È un romanzo di disperata denuncia “La notte del bambini”?
«Come fai a non pensare al peggio in questi nostri ultimi anni? Però direi che il mio libro è cupo, non disperato, perché credo di avere escogitato molte vie di salvezza. C’è la sterilità maschile, ma una storia di partenogenesi, una sorta di auspicio di futuro. Tutte le mie donne poi si ribellano, anche l’anziana Ella vuole mettere in salvo la piccola Nurat. Non sono eroine solitarie, piuttosto donne che non hanno paura di affrontare l’ignoto, la novità. A parer mio, nella distopia e nella fantascienza femministe non c’è disperazione senza via d’uscita. Anche nel nuovo romanzo distopico di Nicoletta Vallorani, “Noi siamo campo di battaglia”, c’è una città distrutta e desertificata dal caldo (in cui si riconosce Milano). Ma anche Vallorani indica una salvezza, un futuro nella banda dei ragazzi, cacciati dal potere, che coltivano un giardino con la complicità vigile di una loro prof».
Sei una sperimentatrice. Nel romanzo del 2003 “Una furtiva lacrima” hai toccato il tema della vecchiaia: la protagonista, Bianca, ha 83 anni e sta perdendo la memoria, ma ospita una giovane donna, nei guai, che la aiuterà a sua volta. Poi hai narrato di una prostituta albanese in fuga in “Raccontami tu”. E delle guerre balcaniche e di un amore in “Non ci salveranno i melograni”. Ora “La notte dei bambini”.
«Mi piace portare nella letteratura i temi del presente, anche se evito le previsioni sul futuro, non è il mio mestiere. Da tempo una bozza di questo romanzo era già nata, ma in Italia la fantascienza o la distopia firmata da una donna non convinceva gli editori. Intanto nel resto del pianeta molte scrittrici venivano lette e celebrate. E pensare che la fantastica Tartaruga di Laura Lepetit alcuni decenni fa aveva inventato la collana di fantascienza La tartaruga Blu, ma dopo 4 titoli, di cui uno di Lisa Morpurgo, chiuse. Ora ho finalmente pubblicato la mia distopia, senza rinunciare all’utopia, alla speranza che gli esseri umani imparino a vivere in armonia per salvare sé stessi e il pianeta».
Insomma quasi un lieto fine.
«Anni fa lessi delle riflessioni di Luisa Muraro sulle trappole del lieto fine: è vero che bisogna andarci caute, diceva, ma occorre anche non farsi intrappolare dalla negazione del lieto fine, perché può essere un modo per censurare il desiderio. Mi è difficile immaginare un finale senza luce, non è nelle mie corde. E dopo le parole di Muraro, mi sono sentita autorizzata. Non volevo un libro buonista, ma desideravo che le mie personagge potessero decidere sulla base delle proprie scelte».
Maristella Lippolis, “La notte dei bambini”, Vallecchi, 2022
Maristella Lippolis, “Adele né bella né brutta”, Piemme 2012
Bruno Arpaia, “Qualcosa là fuori”, Guanda 2016
Nicoletta Vallorani, “Noi siamo campo di battaglia”, Zona 42, 2022
PASSAPAROLA:








Silvia Neonato

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