È una “strategia di lettura”, invece di fare una semplice riflessione, si attua una diffrazione facendo “intra-agire” testi l’uno attraverso l’altro, mettendo in sequenza le intuizioni che ne scaturiscono, per una differente rappresentazione della realtà.
Insomma una lettura in cui testo e lettore/trice sono necessariamente implicati/e. Un laboratorio promosso dalla Sil, e coordinato da Donatella Saroli, Gisella Modica e Rossella Caleca, per condividere questi pensieri nei giorni 18 ottobre, 8 e 16 novembre dalle 18.30 alle 20.30. Per iscriversi: gisellauno@gmail.com
Di Gisella Modica
«Mentre la pandemia si affievolisce, la mia diffidenza verso la narrativa continua. Il problema, suppongo, è nell’ordine delle storie…la pretesa che un personaggio debba andare da A a B compiendo un arco esistenziale, vivendo una trasformazione. Capendoci qualcosa. Per il momento non ci credo. Il che mi lascia, oltre che disoccupato come romanziere, orfano come lettore. Finisce che afferro libri a casaccio…. Di solito ne leggo qualche decina di pagine prima di abbandonarli. Ormai va avanti da parecchio».
Lo scrive Paolo Giordano sul Corriere della Sera del giugno 2021. Gli capita dopo aver letto “Il Fungo alla fine del mondo La possibilità di vivere nelle rovine del capitalismo” di A. L. Tsing (Keller 2021).
Lo stesso è capitato anche a me, dopo aver letto anche “Performatività della Natura Quanto e queer” di Karen Barad (ETS 2017), “Chtulucene Sopravvivere in un pianeta infetto” (Nero, 2020) e “Le promesse dei mostri” (Derive e Approdi, 2021) di Donna Haraway.
«Il libro del fungo è stranissimo. Così strano che gli resto attaccato», scrive ancora Giordano.
413 pagine di scrittura rigorosamente scientifica per raccontare la capacità del fungo giapponese matsutake di risorgere dalle macerie di Hiroshima, da me lette d’un fiato come un romanzo d’avventura alla fine del quale mi ritrovo rivoltata come un guanto. A partire dall’uso dei 5 sensi, nel senso che sarà l’olfatto e non più la vista ad avere priorità nell’orientamento.
«Tsing racconta storie non rassicuranti che non sono un rimedio e neanche un lenitivo alla catastrofe ecologica. Non ci mettono al riparo dalla rovina ma puntano dritto lo sguardo su fantasmi e mostri«», si legge in una intervista a Tsing su ANTINOMIE del giugno 2021. «Quando le persone ti dicono che ci sono fantasmi o mostri, prendile sul seri – raccomanda Tsing, promuovendo – un approccio non solo secolare alle questioni ambientali».
Come si fa a non rimanere attaccate al libro? È un libro che spaesa, ti dà una vertigine, come se improvvisamente scoprissi che la terra è ferma e a girare è il sole. L’Uomo e l’umano, al centro e perno della nostra modernità, in questi libri vengono rimossi e posti a lato, a favore di “specie compagne” umane e non umane.
Scrive Giordano: «Si tratta di ripensare tutta la nostra esistenza…di rinunciare alle gerarchie a cui ci ha abituato il pensiero occidentale scientista…e all’idea stessa di progresso…In un mondo di rovine, di paradigmi rovesciati…di storie dove i personaggi non vanno da A a B compiendo un arco, sarò ancora in grado, io, di scrivere? È possibile raccontare un mondo che non si è più capaci di pensare?… Sembra davvero impossibile ricominciare, a meno di non essere dei funghi».
Non avrebbe potuto esprimere meglio questo concetto che a me è frullato in testa in modo disarticolato e confuso.
Nei testi citati Barad e Haraway parlano di “diffrazione”. Nata in campo scientifico e traslata in letteratura comparata da Birgit M. Keiser e Katrine Thiele, arriva in Italia tramite Liana Borghi e Isabella Pinto, configurandosi con quest’ultima come «un metodo di lettura condiviso e sperimentale in cui i testi interagiscono con le storie e i saperi dei lettori/trici per un sapere incarnato e cooperativo che rompe l’opposizione tra alto e basso».
Si tratta di una “strategia di lettura” che invece di riflettere il medesimo, come nella riflessione, attua una diffrazione facendo “intra-agire” testi l’uno attraverso l’altro al di là di un legame apparente, in modo “inappropriato”, mettendo in sequenza le intuizioni che ne scaturiscono anche a livello emotivo, per una differente rappresentazione della realtà.
Insomma una lettura in cui testo e lettore/trice sono necessariamente implicati/e.
Questa “implicazione” sento che mi piace.
Scartata l’ipotesi di diventare un fungo, come suggerisce Giordano (ma neanche un verme dentro la compostiera come suggerisce Haraway) mi chiedo a questo punto se la lettura diffrattiva possa essere usata come dispositivo per dare risposte a mie domande personali del tipo: perché non riesco più a leggere né a recensire? Perché mi indirizzo verso la lettura di saggi più che romanzi? Cosa cerco che nei romanzi non trovo? Sbaglio nella scelta, confusa da un’offerta non contenibile? Sono cambiata io o è cambiata la letteratura? Perché riprendo dallo scaffale testi degli anni settanta e li leggo come fosse la prima volta?
Mi chiedo anche se invece di pormi queste domande in solitudine, non sia in linea col tempo che viviamo, e con le raccomandazioni di Haraway, “creare una comunità”, in questo caso di lettrici, diversa dai tradizionali gruppi di lettura, dove sperimentare il “gioco della matassa”
“del dare e ricevere senza trattenere, senza pretendersi unici autori” (F. Fabbiani). Una comunità relazionale per “rendersi capaci a vicenda”. Non saprei al momento come renderla anche “multispecie” ma “simpoietica” sì, ovvero condivisa e non autosufficiente, alla cui base sta ‘fiducia e lealtà’. Sono parole della scienziata, la quale dice anche che la lettura diffrattiva è utile o forse addirittura necessaria per leggere fenomeni ed eventi, non solo testi.
Mi viene subito da pensare alla debacle delle sinistre, all’avanzata delle destre e a Meloni. Leggerle in modalità diffrattiva aprirebbe scenari impensati e impensabili. Ma come fare? Come cimentarsi in questo gioco definito dalla stessa Haraway di “incertezza creativa”?
PASSAPAROLA: GRAZIE ♥Gisella Modica
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