Testimonianze al tempo del virus/13 Silenzi, vuoti, soste

Rosanna Valentino 2 giugno 2020

La piazza, 24 aprile 2020.
Una piazza ghermita di solitudine, colma di silenzio, senza sguardi, un vuoto sospeso tra cielo e terra, dove l’unico rumore familiare è la pioggia battente; l’aria è tagliata in due dalle parole affannate e coraggiose del Pontefice:
“Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sani in un mondo malato”, “è la vita dello spirito capace di mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli di giornali.”
L’immagine simbolica ci porta nella memoria verso altri universi paralleli in cui il tempo pare si sia fermato per lasciare spazio all’illusione irrealizzabile di un futuro, in cui sia possibile “trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, e di solidarietà.”
Spazi vuoti come le piazze vuote metafisiche, come le città ideali rinascimentali, ci fanno domandare: i vuoti sono ideali?

La letteratura
Molti lettori e lettrici si sono lasciati travolgere dal ritmo dell’attesa attraverso la lettura e le immagini e le storie del cinema.
L’assurda attesa, espressione della perdita di senso dell’esistenza, dopo il Deserto letterario di Dino Buzzati (1940), è stata poi messa in scena negli anni ’50 da Samuel
Becket. Buzzati ci racconta la vita dell’ufficiale Giovanni Drogo, in un’ Italia della prima metà del ‘900 che confina con un grande deserto, in fondo al quale vivono i Tartari, un deserto onirico, i cui confini si dilatano all’infinito.
Una decina di anni più avanti arriva l’opera teatrale di Becket, “Aspettando Godot”, che sottolinea la mancanza di prospettiva e di senso della vita attuale e futura, attraverso un’attesa inutile e assurda, appunto. La storia, ambientata in uno spazio surreale, ha come protagonisti Vladimiro ed Estragone, che parlano di svariati argomenti, annoiando con la loro futilità lo spettatore. I due aspettano Godot, attesa che si protrae per giorni e giorni e l’unica cosa che li accomuna è la certezza che il tempo non esiste.

Percorrendo un altro breve arco temporale, incontriamo ancora due testi letterari che riprendono lo stesso tema: ‘Autostrada del sud’ dell’argentino Julio Cortázar e ‘Lista d’attesa’ del cubano Arturo Arango. ‘La autopista del sur’ è un racconto tratto da “Tutti i fuochi il fuoco”, raccolta di otto racconti di Cortázar del 1966. I protagonisti rimangono bloccati in un ingorgo che dura giorni, settimane, mesi. In ‘Lista d’attesa’ (Lista de espera) di Arango, un racconto del 1995, dal quale nel 2000 è stato tratto unfilm diretto da Juan Carlos Tabìo, Arango racconta di una stazione di autobus di un piccolo paese dove ci sono troppe persone e pochi biglietti. Quando l’unico autobus in partenza si rompe, alcune persone decidono di aspettare nel cortile della stazione. L’attesa, che dura mesi, darà vita a una piccola comunità tanto che, con il passare dei giorni, nessuno vuole più andare via.
I due racconti si snodano intorno a un’attesa che copre un tempo senza un limite, capace di modificare le normali abitudini e le coordinate spazio-temporali dei personaggi. L’attesa è un fardello che priva dell’azione, senza risvolti utili e vuota di emozioni? Tutto qua?

Troviamo coloriture emotive molto diverse e un senso del tempo sospeso in alcune scrittrici che lo vivono come un profondo dolore. L’attesa di Marguerite Duras, che nel 1985 decise di rievocare il periodo di occupazione nazista in Francia, è l’attesa del ritorno del suo uomo, che tornerà distrutto dal campo di concentramento, nel corpo e nell’animo, tanto da perdere in seguito anche l’amore. La scrittrice francese, allora trentenne, reagì con energia alle sopraffazioni della storia, impegnandosi nella Resistenza. Ciò non le impedì di avvertire un senso di colpa, proprio in quanto restava attiva nelle pratiche quotidiane in quell’attesa piena di dolore, sentimento che diede il titolo al libro (“La Douleur”), trasposto anche in forma teatrale e cinematografica.

Un’altra voce di donna nel cuore della città di Grosseto, messa a tacere dalle bombe, ma resa viva dalla lotta partigiana, ci racconta la forza delle donne, di cui Maria dà esempio nella lotta per la libertà. E’ “Pazze di libertà” (2019), di Silvia Meconcelli. La protagonista, rinchiusa tra le mura di un manicomio degli anni ’40, attende, soffre e spera che il suo amore e la nuova vita che porta in grembo, frutto di una relazione consumata di nascosto durante il fascismo, possano salvarla. L’attesa diventa speranza e bisogno di libertà; non è solo lotta silente, ma attesa che restituisce emancipazione, mentre mette a tacere i  pregiudizi dell’epoca fascista.

Altre scrittrici affrontano questo tema: ancora una francese, Gaëlle Josse (“L’attesa”), e ancora con un senso di colpa, con il romanzo di una madre che vive sperando nel ritorno di un figlio al quale non aveva saputo donare affetto; la tedesca Andrea Köhler (“L’arte dell’attesa”), in un saggio che indaga i pensieri di filosofi e romanzieri; l’italiana Elisabetta Brizzi (Le stagioni dell’attesa) esplora invece i diversi modi di vivere l’attesa in dieci racconti.

Ritroviamo una viva angoscia nell’ambito latino-americano, rivivendo esperienze vissute in prima persona. “Paula”, di Isabel Allende (1994) è l’autobiografia di un anno della sua vita, un tempo lento e pesante nell’attesa della morte della figlia. Quando nessuna azione poteva dare futuro alla ragazza, in quei lunghi giorni trascorsi – ma non invano – al capezzale di Paula, la madre scrittrice scriveva: “Un giorno in più di attesa, uno in meno di speranza. Un giorno in più di silenzio, uno in meno di vita”.

La stanza vuota/la sedia vuota
Altri temi meno tragici possono accompagnare l’attesa. Quanto può essere struggente un’attesa all’interno di una stanza? Una sedia rimane in un famoso dipinto di Van Gogh, con una pipa a testimoniare l’assenza. Allo stesso modo “The empty chair” non è solo il titolo di una canzone di Sting, in questi giorni dedicata a tutti gli italiani; è anche il racconto di una persona cara che non può tornare, è il vuoto intorno ad un tavolo che omaggia una amata presenza assente.

Ma cos’altro si nasconde dietro i vuoti interminabili che tutti viviamo? Come venir fuori da una condizione umana rannicchiata in un mondo chiuso in sé stesso?
Dietro l’attesa in uno spazio chiuso e con personaggi alienati può prendere forma una forza spirituale positiva. Un viaggio che conduce a nuovi orizzonti, a una nuova dimensione, dove ancora è possibile lasciare che le ore scorrano senza fretta, con la sola forza del coraggio, della sfida, dei valori ripescati nelle valigie delle memorie. L’attesa, quindi, si può trasformare in speranza di futuro, come ci suggerisce l’etimologia del termine spagnolo “espera”? Oppure il passato si riapproprierà del suo spazio?
La nostra attesa di questi mesi è la dimensione di chi si ferma, di chi ridiventa padrone del suo tempo, di chi è costretto a tornare a sé stesso, ai propri conflitti irrisolti, ai propri passi lenti, ad esser l’interlocutore del proprio inconscio. Una grande opportunità di riscrivere la propria esistenza, restituendo un senso al concetto di umanità, senza occultare il segreto della vita nascosto in un mondo dove, come nel finale di Autostrada del sud, “nessuno sapeva niente di nessuno, e dove tutti guardavano fisso in avanti, esclusivamente in avanti”.

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Rosanna Valentino

Rosanna Valentino Nata nel casertano nel 1977, ha studiato letteratura e cultura cubana, laureandosi con Nicola Bottiglieri. Vive a Grosseto, dove insegna lingua spagnola. Guarda il mondo e lo racconta attraverso un tocco di poesia e lo sguardo del mondo ispano americano.

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