Cosa significa essere madri? Quanti modi ci sono di esserlo? Una donna è sempre solo una madre? E se non può? E se non vuole? Come si mettono al mondo i bambini? Di chi sono figli? Se queste domande non hanno mai avuto risposte semplici, se non nella superficie retorica delle convenzioni sociali, oggi porle risulta addirittura inquietante. Lo testimonia lo stato incandescente della discussione pubblica intorno alle diverse tecnologie riproduttive e soprattutto intorno alla Gpa, la gestazione per altri. Non c’è da stupirsi. I problemi che si pongono all’attenzione entrano in profondità nello stesso fondamento dell’esistenza umana, mettono in gioco una pluralità di comportamenti e punti di vista. Quello che colpisce è la facilità con cui si arriva a invocare principi imprescindibili. A emettere giudizi. A pretendere schieramenti.
Sono ben consapevole che nel pronunciare queste parole, inevitabilmente ricado –agli occhi di molte e molti – nella categoria di chi è disposto ad accettare lo sfruttamento del corpo delle donne, che si faccia commercio della maternità.
Non pretendo di convincere nessuno del contrario, vorrei però guadagnare lo spazio dell’ascolto e del confronto. Lo spazio del ragionamento, non della condanna e del giudizio. Per questo parto dalle domande, come facemmo come Gruppo del mercoledì nell’incontro del novembre 2015, in cui tutte e tutti parlarono, dai più diversi punti di vista.
E nelle domande, vorrei mettere al primo posto la pratica del dubbio. Il dubbio che chi non firma la proposta di divieto universale della Gpa, non per questo sia sostenitrice dei più loschi traffici di corpi di donne, un’adepta/o del neoliberismo. Ma anche il dubbio che chi sottopone a critica le tecnologie riproduttive non sia la pura espressione di un pregiudizio ideologico, o di un’appartenenza religiosa.
Ci sono molte ragioni nella critica della scienza e dell’uso della medicina come strumento di potere sui corpi delle donne. Fin dalle origini le femministe hanno coltivato saperi e conoscenze sulla salute delle donne, che la scienza medica ufficiale ha messo al bando o perlomeno trascurato
La cronologia qui a fianco, che restituisce contorni e punti salienti della discussione in corso, parte dal 2004, dalle vicende della legge 40. Avrebbe potuto iniziare dal 1978, l’anno in cui nacque Louise Brown, frutto della prima fecondazione in vitro. O forse dal 1960, l’anno in cui fu messa in vendita la pillola contraccettiva, inizio della separazione tra sessualità e riproduzione, anche per le donne, come era sempre stato per gli uomini. Il controllo della capacità generativa del corpo femminile è da sempre l’obiettivo del potere patriarcale. L’autodeterminazione, la scelta, è la via alla libertà femminile. Nella sessualità, nella maternità.
Essere madri non è un destino, molte donne non vogliono esserlo, ci siamo battute per questo.
Qui il punto di rottura, questa la domanda chiave: la Gpa è uno strumento del potere patriarcale, un modo per ricondurre le donne sotto il controllo maschile, anzi, fino a farle sparire?
Le diverse voci che intervengono in questo volumetto, che abbiamo pensato come Gruppo del mercoledì, hanno diversi punti di vista e non hanno risposte una volta per tutte. L’eclisse della madre è davanti agli occhi, da tempo. Per alcune prima di altre. Riflettiamo su quanto succede. Preferiamo ascoltare le persone coinvolte. I problemi che hanno, le esperienze che vivono. Anche le voci che sembrano più difficili, come gli uomini che scelgono di essere padri insieme.
Come ho scritto in un saggio di un anno fa, “Sull’altare della madre” [1], vorrei concludere con due visioni di mondi altri. La prima è “Il racconto dell’ancella” la distopia di Margareth Atwood pubblicata nel 1985, in pieno backlash antifemminista. «In un mondo in cui fondamentalisti biblici hanno preso il potere e estromesso le donne, la scena della procreazione è spezzata, e divisa in più attori, immolati all’altare della norma e della repressione» scrivevo. È questa la paura? Che il potere degli uomini ricrei antichi schemi? E perfino li peggiori? L’altro libro, pura utopia, è “La mano sinistra delle tenebre”, di Ursula Le Guin, pubblicato nel 1969. In un pianeta gelido, dominato dai ghiacci, arriva un osservatore terrestre. Che si trova di fronte a una particolare evoluzione, umani che non hanno sesso, tranne che per un particolare periodo, detto kemmer che dura al massimo due giorni, in cui possono diventare indifferentemente maschi o femmine. A tutti quindi può succedere di essere incinti e partorire, e non lo sanno anticipatamente. È un testo fortemente immaginativo, sostiene un desiderio, permette di pensare alla possibilità che femminile e maschile non coincidono con un corpo e un sesso. Come si diceva in quegli anni, potere all’immaginazione. A vie impreviste.
[1] Bia Sarasini “Sull’altare della madre. A proposito di desideri, sfruttamento, pluralità”. Alternative per il socialismo n.41 marzo 2016
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Bia Sarasini

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