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Una sperimentazione poetica e letteraria tra una donna e un uomo, i poeti Paola d’Agnese e Fabrizio Falcone. Come ci si capisce tra diversi imprigionati nelle gabbie del genere? E poi: dove è il confine delle nostre differenze?

Floriana Coppola

Rima di frattura in termini tecnici indica la sede di una frattura (ossea), mostrandone la forma e la lunghezza. Un titolo perfetto per questa sperimentazione letteraria presente nell’opera dei due poeti Paola d’Agnese e Fabrizio Falconi. Frattura come dolore e separazione, come impossibilità di comunicare e di essere reali complici uno dell’altro. Un confronto ossessivo e travagliato in moto speculare tra il femminile e il maschile, recuperando varie unità di misura: la poesia e la prosa poetica, il monologo interiore, il flusso di coscienza.  Il gioco drammatico danza tra le due voci, inizia con un racconto autobiografico e poi si snoda con un vocabolario di parole concrete e astratte, che descrive a turno dieci termini e si conclude con venti liriche, scelte nella produzione storica dei due autori. Iniziando a leggere, già si sente la profondità della sutura e la forza della sua ambiguità.

Dalla storia di lei:

Giardini. Sono stata bambina. C’era il sole e sudavo, sudavo. Mio padre non aveva occhi, ma due vetri scuri fra lui e la vita. Era aprile. Ho avuto caldo, ho avuto sete. Non c’era vento. Mia madre, bianca serenità sulla panchina, è quasi ora di pranzo.  Sono stata bambina. La bicicletta aveva solo due ruote e cadevo, cadevo e correvo fino alla fontana, le braccia al cielo. Ho percorso chilometri di sorrisi, inseguendo una palla, chilometri di vetri scuri.  Correndo verso la stessa fontana, dello stesso giardino, di tutte le immense domeniche primaverili. Chilometri. Lasciatemi. Non voglio andare a casa. Lasciatemi fuori. La notte non esiste.

Questa narrazione poetica a due voci apre a una serie di interrogativi sulle differenze di genere. Esistono realmente, quando si scrive, la differenza tra il maschile e il femminile? Esiste una sfumatura emotiva maggiore in un genere e una maggiore razionalità nell’altro? Quanti pregiudizi e quanti stereotipi rendono la comprensione reciproca impossibile? In che modo si struttura il pensiero e l’emozione nella forma poetica femminile e in quella maschile? Sono rintracciabili ancora oggi, nella produzione lirica e narrativa, i segnali della secolare esclusione storica delle donne dalla politica e dalla letteratura ? Si rileva nella scrittura degli uomini l’abitudine al linguaggio del potere del patriarcato occidentale? Si può costruire un ponte che dia il via alla conversazione reale e autentica a partire dal linguaggio e dalla narrazione? Quanto è importante la storia personale di ognuno di noi, a prescindere dall’educazione massmediatica, familiare e culturale, in cui siamo stati immersi?

Dalla storia di lui: Ricordavo questo canto lontano, nella casa che adesso tace. Dove anche i morti sono silenziosi. Dove anche le finestre tengono la bocca chiusa.  Tutto quello che appassiona, divora. Tutto quello che si innalza, conserva. Tutto quello che viene, rinnova. È la cura dell’essere, queste nostre palpitazioni notturne che ritornano come onde accurate di un destino. Non è avverso, non è propizio. Bisogna aspettare, bisogna curare abbastanza. Dipende da noi. Dipende dall’essere con, non dallo star male senza. Uscire dai percorsi mentali, vivere e respirare, sorridere all’umile vita, rendersi conto e rendere conto che tutto è nato da un dono.

Dal confronto anche solo di questi due frammenti estrapolati dalle presentazioni autobiografiche dei due autori, possiamo già constatare la difficoltà di classificare in modo preciso il genere. Tutto rimanda a una complessità inimmaginabile. Cosa intendiamo quindi oggi per femminile e per maschile? E se fosse tutto ormai mescolato e confuso? E se le aggettivazioni del maschile e del femminile non fossero più così scontate? Eppure questa alternanza di voci nel testo individua una frattura, come dice il titolo, una frattura inguaribile e incomprensibile nella comunicazione tra le donne e gli uomini. L’essenza e la maschera tra i generi,  il divario tra la rappresentazione sociale e quella intrapsichica sono l’orizzonte in cui si gioca la relazione.

La separazione autarchica di dimensioni e di mondi, in modo sostanziale rilevabili  nei vissuti storici di ognuno, potrebbe avere matrici comuni per dialogare: il pensiero e l’emozione, il sentimento dell’amore e dell’abbandono, la tenerezza della nascita e il dolore della morte, l’esperienza della maternità e della paternità, la precarietà del lavoro, lo smarrimento urbano. Eppure sembra che la scrittura dei due poeti suggerisca con estrema delicatezza e garbo che questa conversazione alla fine non avviene, non può avvenire e non solo per motivi culturali e politici ma per cause endemiche esistenziali più profonde: perché siamo divenuti monadi autarchiche, ognuno chiuso nel suo mondo, ognuno preso dalla geografia esasperante della propria sensibilità, dalla storia dei propri mutamenti esistenziali.  Si avverte nel testo il senso di minaccia che proviene dal futuro e il bisogno di rimanere nella trincea domestica per paura dell’altro, del diverso che diventa nemico. Il consumo frettoloso dell’incontro ricorda il supermercato, la logica del motel autostradale. Relazioni superficiali e discontinue, intermittenze senza spessore e senza responsabilità. Un vero dilemma che viene riproposto in questo doppio binario fino all’ultimo verso. Infatti, non si legge qui una demarcazione chiara tra il femminile e il maschile.

Nelle varie parti del testo, le due voci si confondono e si mescolano ma non si uniscono, non si parlano. Una diversità e una differenza non più reali ma vissute come parallele. Ai giorni nostri, le difficoltà di costruzione di una educazione sentimentale basata sull’ascolto e sull’empatia, sul rispetto reciproco e sulla capacità di amare e di aver cura dell’altro sono divenute tema centrale per la prevenzione alla violenza tra le persone. Questo saggio poetico a due voci apre un ventaglio di direzioni possibili da sperimentare, su cui soffermarsi a pensare e meditare, con cui anche giocare. E chissà,  forse,  immaginare un incontro.

Paola d’Agnese e Fabrizio Falconi, Rima di Frattura, Edizione Guida 2018

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Floriana Coppola

Floriana Coppola, (1961) scrittrice e poeta napoletana, docente di Lettere negli istituti statali superiori, specializzata in Analisi Transazionale e in Psicologia Esistenziale, perfezionata in Didattica e Cultura di genere e in Scrittura autobiografica. Collabora con varie riviste letterarie on line. I suoi testi, poesie e racconti, sono presenti in qualificate antologie nazionali e internazionali. Ha pubblicato: nel 2005 la silloge poetica “Il trono dei Mirti”, ed. Melagrana onlus editore; nel 2012 la silloge poetica “Sono nata donna”, Boopen LED/PHOTOCITY; nel 2012 il romanzo “Vico Ultimo della Sorgente” ed. Homo Scrivens, sempre nel 2012 la silloge poetica “Mancina nello sguardo” ed. La Vita Felice; nel 2014 il romanzo “Donna Creola e gli angeli del cortile”, ed. La Vita Felice; nel 2016 l’antologia di racconti, poesie e monologhi “Femminile singolare” Homo Scrivens; nel 2017 la silloge di poesie “Cambio di stagione e altre mutazioni poetiche”, ed. Oedipus.; nel 2019 la silloge “La faglia del fuoco”, con incisioni di Aniello Scotto, ed. Il Laboratorio; sempre nel 2019 il romanzo “Aula voliera”, ed. Oedipus; nel 2020 ha coordinato il workshop e curato gli Atti del convegno di studi su Beatrice Hastings, in cui è presente anche un suo contributo, ed. Le Cicale Operose; nel 2020 ha partecipato con un suo contributo al saggio su Claudia Ruggeri, a cura di Anna Maria Farabbi, ed. Terra di Ulivi; nel 2021 pubblica la silloge di prosa poetica “La vertigine del taglio”, ed. Terra di ulivi; nel 2022 pubblica il suo quarto romanzo “La bambina, il carro e la stella”, ed. Terra di ulivi. Nel 2023 ha ristampato una versione modificata e correttacon la casa editrice Terra di ulivi “Cambio di stagione”. Nel 2024 pubblica la silloge poetica “Ogni volto è un diamante” con la casa editrice La Valle del tempo.

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