«In prima di tutto un bacio che non te ne lasci desiderare un secondo, un bacio che ti renda fiacco e ti faccia dire accarezzando: basta, piccola, basta» (1848), scriveva Ottavia Arici ad Aleardo Aleardi. Sposata e abbandonata dal marito, con tre figli, affittava le camere agli studenti, a Padova, per sopravvivere. Lui era uno studente, poeta e patriota veronese di bell’aspetto, in fuga dalla sua città per sottrarsi a una relazione sconveniente. Tra loro era nato un amore che accompagnò Ottavia per tutto il resto della sua vita, benché Aleardo, avvezzo alle facili conquiste, le dedicò solo dell’ affetto. Tuttavia conservò sempre le sue lettere, portandole appresso nei suoi frequenti spostamenti per sfuggire alla polizia austriaca. Lettere che poi passarono di mano in mano, alla morte di lui, e vennero censurate alla loro prima pubblicazione, nel 1930, a cura di Ubaldo Mazzini, perché ritenute troppo appassionate ed esplicite per il gusto del tempo. Un carteggio per voce sola, si potrebbe dire, perché mancano le risposte di Aleardo, probabilmente distrutte da Ottavia al fine di cancellare le tracce di quella clandestina relazione amorosa. Ma anche una testimonianza rara, perché di una donna ottocentesca, che esprime l’amore, entrato tardivamente nella sua vita, senza filtri, declinato nella fisicità non meno che nel dispiegarsi degli eventi drammatici del Risorgimento.
Lettere venute finalmente alla luce grazie alla ricerca attenta e alla lettura rispettosa di Paola Azzolini per cui Ottavia è «la maga cui riesce bene, anche se soltanto nelle lettere, la magia che instaura la presenza» (pag. 14) poiché si avverte, attraverso le parole di lei, anche la voce e le azioni di lui. Sulla carta sottile, vergata da una grafia nervosa e da tracce di lacrime, con un linguaggio influenzato dal dialetto, Ottavia racconta la sua quotidianità difficile, stretta fra le richieste economiche del marito, i figli da crescere e la guerra intorno. Proprio la guerra, con le privazioni che comporta, la scomparsa degli amici e dei conoscenti, è la preoccupazione costante di Ottavia: «Qui si parla assai della vittoria degli ungheresi sui croati» (1848) e ancora: «Ieri sera mi fu detto fu arrestato un tale avvocato, scrittore, reduce… io lo saprò bene domani, e già mi pena il cuore per colui» (1849).
Aleardo scrive versi che inneggiano alla rivolta, si incontra con i patrioti che passeranno alla storia ma, in qualche modo, riesce a sfuggire agli arresti, cercando riparo a Roma, Firenze, persino a Parigi, con una missione diplomatica dalla Repubblica di Venezia. Le lettere di Ottavia lo accompagnano o precedono: «Come hai fatto bene a dirmi della tua vita, io ti penso così sempre, ti seguirò così costantemente che parmi mi dovresti fino vedere» (1848). E avvertono: «Oggi è passata molta truppa. I veneziani si hanno più a guardare dai traditori mandati dagli austriaci che dal fuoco nemico» (1848).
Vita grama, quella di Ottavia, che deve arginare i debiti assillanti del marito, far fronte all’educazione dei figli e, non ultimo dolore, elaborare il lutto per la figlia. Non stupisce che l’amore per Aleardo sia vissuto come un felice ancoraggio rispetto alla tristezza della sua condizione. La sua storia e la sua vita, come quelle di tante donne, sarebbero cadute nell’oblio senza la lodevole restituzione dovuta alla curatela di Paola Azzolini, che ha operato solo interventi minimi ai testi originali delle lettere, per farci cogliere la freschezza intatta del dialogo amoroso e il respiro della vita di quel tempo. Così il canto d’amore di Ottavia si alza sulla violenza della lotta e fa risuonare in noi, sebbene distanti un secolo e mezzo da quell’epoca, dei sentimenti noti e la sorprendente attualità delle osservazioni: «I
PASSAPAROLA:L’amore al tempo della guerra. Lettere di Ottavia Arici ad Aleardo Aleardi, a cura di Paola Azzolini, Il Poligrafo, 2015, € 23,00
Qui una bibliografia, a cura della Biblioteca Civica di Verona.
Da aggiungere il saggio La scabrosa libertà, contenuto nella ristampa de L’approdo invisibile, di Grazia Livi, per i tipi de L’Iguana Editrice, Verona 2015








Laura Bortolotti
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