Volevamo essere Jo

Laura Guglielmi, 19 settembre 2017

Chissà come sarebbe il mondo se Louise Alcott non avesse mai scritto Piccole Donne. Non ci si può credere, ma il romanzo che ha sedotto milioni di bambine è stato scritto nel 1868. Come in tante ricordano, è la storia delle quattro sorelle March, Jo, Meg, Beth ed Amy, povere e con i problemi tipici dell’adolescenza. In più papà March è in guerra e ha lasciato le figlie e la moglie da sole. Le ragazze crescono bene, diventano responsabili e capaci di affrontare la vita, grazie anche all’aiuto della madre e del ricco vicino di casa, Laurie.

La gran parte delle bambine che l’ha letto, nei decenni, si è identificata con Jo, la più intraprendente e ribelle, che vuole diventare scrittrice e non vuole sposarsi. Sembra che le bambine di oggi leggano meno Piccole donne, ma che ci sia in atto una mutazione antropologica tra i nativi digitali si sa ormai.

Emilia Marasco il 16 settembre è arrivata seconda al premio letterario Teresa Di Lascia con Volevamo essere Jo, vinto da Emilia Bersabea Cirillo con Non smetto di avere freddo. La storia di Marasco è ambientata nella sua città, Genova: le protagoniste sono quattro adolescenti amiche – Giovanna, Carla, Lara e Silvia – che negli anni Settanta vivono tutte nello stesso condominio e sono fan sfegatate di Piccole Donne. Mentre lavorano alla messa in scena di uno spettacolo tratto dal libro, tutte vogliono essere Jo, appunto. Se la prima parte del romanzo racconta la vita delle ragazze, che fanno entrare nel gruppo anche Edoardo, figlio della nuova portinaia, la seconda parte narra del loro incontro da adulte dopo tantissimo tempo. Sono vicine ai cinquant’anni e hanno una vita intera da raccontarsi. Torna a galla un po’ tutto, ci sono momenti intensi, ma anche di forte sofferenza, per le cose che non si sono mai dette, e che ora trovano il modo di dirsi.

Per trasparenza, dico che Emilia è una cara amica. Quindi l’analisi critica viene inficiata dal conoscere così bene tanti particolari della sua vita, che spesso inserisce nella narrazione.

Cosa ti ha più colpita di Piccole Donne, un brano, un comportamento, una descrizione? A che età lo hai letto e cosa ti ha lasciato?

Mi interessava la riflessione costante su se stesse e sul loro posto nel mondo. Le sorelle March erano convinte di poter plasmare la loro vita. L’ho letto per la prima volta a 8 anni e poi riletto molte volte fino a 12 anni. Mi ha trasmesso l’idea di poter desiderare qualsiasi cosa per il mio futuro purché fossi disposta a lavorare sodo per ottenerlo. Mi ha fatto capire che le passioni e le inclinazioni sono una grande opportunità, che il lavoro è fondamentale e mai e poi mai bisogna rinunciarci, anche se si hanno dei figli. Inoltre, che è importante conoscere se stesse e che a ogni età si può crescere. Insomma, osare, sognare, provare.

Che cosa ha ancora di attuale?

La consapevolezza che coltivare le proprie inclinazioni richiede fatica, di regalato non c’è nulla. Poi, che già da ragazzini ci si deve fare un’idea di che persona vuoi diventare. Piccole donne conserva una grande freschezza, già nell’Ottocento era un romanzo educativo per ragazze e mantiene intatto il suo valore.

Cosa è definitivamente sorpassato?

Il ruolo degli uomini che riflette la cultura ottocentesca, paternalistici un po’ tutti, hanno sempre qualcosa da insegnare alle “piccole donne”.

È però un romanzo avanzato per il suo tempo, anche se credo che le ragazzine di oggi lo leggano molto meno, alcune probabilmente non lo conoscono anche se le quattro sorelle March possono offrire ancora spunti interessanti per parlare delle donne ieri come oggi.

Piccole donne è sempre stato definito un libro per le bambine e le ragazze. Può essere interessante anche per i maschi?

I miei figli maschi lo hanno letto, non so quanto possano averlo trovato interessante. Si divertivano, i dialoghi sono vivaci e Jo è un po’ un maschio, mi ricordo che lo hanno notato. Comunque ritengo utile che i maschi siano sollecitati a leggere libri scritti da donne e con protagoniste femminili. Certo, I ragazzi della via Pal hanno avuto più successo!

Delle quattro donne protagoniste di questo tuo nuovo romanzo, quale senti più simile a te?

Mi riconosco in alcuni aspetti della personalità di Carla, però il gioco del giornalino a cui Lara tiene tanto era il mio gioco da bambina. Ammiravo molto mio padre giornalista. Qualche tormento di Giovanna è stato anche il mio. Silvia è quella che mi somiglia meno e che mi diverte molto.

Spesso per le trame, vai a pescare episodi della tua vita, soprattutto nel primo, dove narri la tua storia di una mamma adottiva. Per descrivere le quattro amiche ti sei ispirata a persone reali?

Nessuna delle mie protagoniste è una donna precisa, ma tutte hanno aspetti che appartengono a donne vere che conosco. Ho cercato di creare delle donne il più possibile credibili e diverse l’una dall’altra.

È stato facile entrare nella mente delle protagoniste quando sono bambine? Quali difficoltà hai trovato?

Per certi aspetti è stato facile, però parlano molto fra loro e rendere compatibili i discorsi e il linguaggio con la loro età a volte è stato complicato. Ho dovuto modificare delle parti, eliminare parole, sostituirle, insomma pormi il problema.

Il condominio che descrivi è il posto ideale in cui tutti vorremmo vivere, molto diverso da quelli che trovi in Italia, dove esiste poco lo spirito collettivo. Poi i discorsi sulle declinazioni al femminile delle professioni, i discorsi sulla parità di genere, e sull’omosessualità, le menti aperte di tanti personaggi del romanzo: tutto questo rappresenta un tuo mondo ideale?

Decisamente. Le mie piccole donne, pur con tutte le criticità proprie delle dinamiche interne alle famiglie, vivono una bella infanzia in un mondo protetto, ma non chiuso. Sono bambine che, nel 1976, non guardano la televisione perché hanno un cortile in cui giocare, parlano molto fra loro, interpretano il mondo in base a quello che osservano nei modelli femminili che hanno a disposizione. Sono libere di inventare giochi e fantasticare, di costruirsi la loro visione del mondo.

La famiglia di Carla che ha diversi bambini in affido e che ricalca un po’ i romanzi successivi a Piccole Donne, è il tuo ideale di famiglia allargata?

Penso che la famiglia allargata sia uno dei modelli del nostro tempo. La famiglia di Carla è qualcosa di diverso, una piccola comunità. Io conosco qualche famiglia così.

Quanto ti attira la figura di Lara, molto diretta, a volte un po’ egocentrica, per cui Jo soffre tanto?

Lara è un personaggio molto schietto, una donna libera, quella che in fondo è riuscita a realizzare il progetto dell’infanzia e che sorride sul costo che realizzarlo ha comportato, per esempio i figli che non ha avuto, la vita sentimentale un po’ incerta. Mi attira. Io penso che questo libro possa essere letto anche da una ragazzina che forse tra tutte le quattro personagge potrebbe essere attirata proprio da Lara.

Intorno a Edoardo circolano gran parte delle vicende, però ha una personalità meno interessante e sfaccettata delle ragazze. Perché?

Proprio come il giovane Laurie in Piccole donne, è un personaggio importante ma un po’ di complemento al quartetto femminile. Amico fraterno di tutte e di tutte un po’ innamorato. Nella seconda parte ricompare e recupera un ruolo.

 

Come ti è venuto in mente di parlare dell’alluvione di Genova?

Ho immaginato che la seconda parte del libro si svolgesse nel 2011, anno di una delle più terribili alluvioni. Genova è presente in molte cose che inserisco nel libro, una città che corre spesso questo pericolo, un rischio che ormai fa parte della nostra relazione con la città. Nel libro c’è un diluvio e, simbolicamente, dopo il diluvio molte cose cambiano.

Che pubblico ti aspetti che abbia il tuo libro?

Penso che sarà un pubblico femminile, mi sta bene.

Gli amori della adolescenza non si dimenticano mai?

No, perché rappresentano il nostro primo incontro con l’amore, con essi ci affacciamo al territorio sconosciuto dell’età adulta e i giovani con i quali ci siamo tenuti per mano e fatti coraggio restano per sempre dentro di noi.

Quanto sono simili Jo di Piccole donne e Jo del tuo Volevamo essere Jo?

La Jo di Piccole donne si ribella allo stereotipo del ruolo femminile, alla rigidità delle convenzioni sociali. Coltiva grandi passioni, è una giovane intellettuale, impulsiva e generosa. La Jo del mio romanzo è una bambina e poi una donna intelligente tuttavia meno estroversa, anche lei ama scrivere e soffre le imposizioni di modelli di comportamento ritenuti ‘adeguati’, ma crescendo perde la determinazione a seguire desideri e progetti. Lei lo sa e questo la tormenta.

Hai cambiato il tuo rapporto con la scrittura, dal primo al quinto romanzo?

Sì, perché via via sento che si affievolisce l’aspetto autobiografico e la mia capacità di costruire una storia acquisisce più sicurezza. Sono più consapevole del mio modo di raccontare.

Quali scrittrici italiane contemporanee apprezzi di più?

Mi sono piaciute Ferrante, Lidia Ravera e apprezzo sempre i libri di Valeria Parrella. Penso siano molto interessanti Ester Armanino e Elena Mearini. Ho amato molto e ancora amo la Ginzburg.

  • Direttora di mentelocale

 

Emilia Marasco, Volevamo essere Jo, Mondadori 2016, pag. 231, euro 19

Il premio nazionale Maria Teresa Di Lascia, intitolato alla scrittrice originaria di Rocchetta Sant’Antonio (Foggia), prematuramente scomparsa nel 1994, quest’anno alla sua undicesima edizione, ha decretato vincitrice Emilia Bersabea Cirillo, di Avellino con Non smetto di aver freddo (L’Iguana editrice). Secondo Volevamo essere Jo della genovese Emilia Marasco (Mondadori) e terzo Lettera a Dina della bolognese Grazia Verasani (Giunti). Il premio, che ha anche una sezione saggistica, viene dato coi i voti congiunti della giuria scientifica e di quella popolare.

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Laura Guglielmi

Laura Guglielmi, giornalista e critica letteraria, dirige il web magazine mentelocale.it. È nata a Sanremo, ma vive a Genova. Negli anni ha collaborato con Radiorai, “Il manifesto” “Repubblica delle donne” e “Tuttolibri” della “Stampa”. E il Secolo XIX. Ha curato la mostra “Dal Fondo dell’opaco io scrivo” sul paesaggio letterario di Italo Calvino, che è stata esposta negli Stati Uniti (New York University) e in altri Paesi. Ha pubblicato diversi libri sul rapporto tra letteratura e paesaggio. Suoi racconti sono usciti in alcune antologie.

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