Una giovane soprano cerca la propria strada all’ombra di un padre-mito aiutata da un’amica disabile. La Bologna di Elisabetta Carbone nel suo articolato romanzo d’esordio “La voce e le cicale”
di Loredana Magazzeni
È emozionante, per chi vive a Bologna, leggere e sprofondare in storie, racconti e romanzi ambientati per le antiche strade della città delle torri. Rosso è il colore del centro storico, del cotto e delle tende di tessuto che coprono le mille finestre degli antichi palazzi. Fra via Zamboni e via Oberdan, tra Università e Teatro Comunale è ambientata la storia costruita con misura da Elisabetta Carbone a partire proprio dalle case di via Centotrecento, via Oberdan, via Azzo Gardino, via Castegnoli, un perimetro in cui le vite familiari di alcuni personaggi si snodano fra pericolosi anfratti, mancanze, difficoltà fisiche e psichiche e, all’inverso, prodigiosi talenti.
Si tratta infatti di una storia che mette assieme la capacità di ciascuno di smarcarsi dagli ostacoli che la vita pone davanti per perseguire la propria felicità, la propria strada. La protagonista, Tamara, figlia di un importante musicista, impara a sue spese a riconoscere prima il proprio talento vocale (diventerà una soprano), poi a superare relazioni familiari distorte e disfunzionali, grazie all’appoggio incondizionato e sincero di un’amica di famiglia, colta, sensibile e gravemente disabile.
Sembra che alla scrittrice interessi verificare in che modo caso, volontà e necessità intervengano sulle vite, governandole a nostra insaputa, e quanto impegno costi a ciascuno tenere la rotta verso il raggiungimento della meta finale.
Sui figli e sulle figlie d’arte esistono pochi libri, magari alcuni film biografici (ad esempio, quello sulla figlia di Giuliano Gemma, Vera, di Tizza Crovi e Rainer Frimmel) che ne evidenziano l’estrema difficoltà ad emergere come persone, oltre che l’impossibilità di superare questi padri-miti, nella tabula rasa che attorno a sé spesso fanno gli artisti che hanno pagato il successo con relazioni familiari fallimentari.
Ma ogni sentimento troppo forte o negativo pare bilanciato dall’accudimento che Debora, la persona disabile, riversa su ciascuno dei personaggi nel passare degli anni, intrecciando vicende di ieri e di oggi secondo un gioco di incastri che fa dialogare presente e passato. I capitoli sono sottolineati dalla scansione degli anni, che ci riportano nel tempo a una Bologna universitaria e scapigliata.
La padronanza di una materia così complessa e articolata è garantita dal lungo apprendistato di scrittura che Elisabetta Carbone ha svolto presso il Laboratorio annuale de La Bottega di narrazione, e che le è stato riconosciuto con la qualifica di finalista e semifinalista al Premio Calvino con i racconti “L’uovo sodo” e “Pareidolia”.
Dunque buona vita a questo primo romanzo di Elisabetta Carbone, che ci insegna a coltivare le proprie voci interiori e a non dissiparle come frinire di cicale.
Elisabetta Carbone, La voce e le cicale, Novate Milanese, Prospero Editore, 2024
PASSAPAROLA: GRAZIE ♥Loredana Magazzeni
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