Difendersi dal dolore

Simona Raimondo, 6 giugno 2024

Quando possiamo dire, davvero, di conoscere una persona? È sufficiente condividere qualche notte d’amore, un bicchiere di vino o il DNA? “Crisalide” di Anna Metcalfe è la storia in tre parti e a tre voci di una personaggia indecifrabile ma tanto vicina a noi tutte

di Simona Raimondo

In quanti modi possiamo esistere nel mondo e qual è quello che più ci appartiene? E a cosa, una volta scoperta la reale forma della nostra esistenza, siamo disposte a rinunciare per assumerla definitivamente? Queste le domande che sembrano restare sospese nell’aria una volta ultimata la lettura di Crisalide, il nuovo romanzo di Anna Metcalfe pubblicato da NN Editore. L’opera va ad aggiungersi alle altre cinque Fuggitive della collana pensata dalla casa editrice milanese per raccontare di donne che, appunto, fuggono da vite e situazioni che non gli appartengono per ricercare la propria libertà.
Cosa che fa pure la Crisalide protagonista dell’omonimo romanzo della scrittrice britannica, una donna di cui non sapremo mai il nome e sentiremo poche volte la voce, scoprendola invece solo attraverso le tre voci narranti che corrispondono alle tre parti del libro: Elliot, amante e «suo primo follower»; Bella, la madre; e infine Susie, collega di lavoro e amica. Nella suddivisione in tre parti sta proprio la particolarità del romanzo di Metcalfe, che affronta ognuno dei temi riguardanti la sua Crisalide come fossero elementi separati di storie che soltanto nelle pagine finali arriveranno a ricongiungersi.
Nella prima parte la protagonista ci appare attraverso lo sguardo di Elliot che la incontra in palestra. A destare la curiosità del ragazzo non è tanto l’aspetto fisico di Crisalide, ma il modo in cui si prende gli spazi d’allenamento sin dal primo giorno, decidendo come e quanto muoversi e contravvenendo senza vergogna alle regole date da Simon, il bellissimo ma superficiale personal trainer che cerca senza successo di fare valere le proprie convinzioni. Alla protagonista non sembra importare cosa gli altri frequentatori della palestra pensino di lei, né se la trovino curiosa, ridicola, eccessiva. A lei interessa solamente mettere su muscoli, imparare nuove pose, nuove tecniche, assorbire da Simon il più possibile senza dare in cambio nemmeno un briciolo di riconoscenza. Il suo sprezzo delle più elementari regole della socializzazione spinge Elliot a volere fare parte a tutti i costi della vita di quella donna, riuscendoci, pure se per un breve periodo e attraverso un rapporto fatto più di non detti e incomprensioni che di sentimenti reali. È in questo contesto che si scopre un lato caratteriale della protagonista che verrà poi confermato dalle altre narratrici della storia: è una donna egoista, capricciosa e volubile che sembra pensare solo al proprio tornaconto.
In questa prima parte del romanzo, Metcalfe costruisce una personaggia sgradevole per la quale è difficile provare simpatia o comprensione. Una volta giunti alla lettura della seconda parte, dove a parlare è la madre di lei, Bella, viene da pensare che l’autrice abbia voluto enfatizzare il più possibile quel lato caratteriale della protagonista per condurre il lettore a riflettere sullo scollamento tra reale e fittizio: attraverso gli occhi di Bella, infatti, conosciamo una donna fragile che, prima ancora, è stata una bambina infelice e dal vissuto complesso, e sembrerà strano, se pure finalmente comprensibile per certi versi, che la Crisalide amata da Elliot sia la stessa bambina descritta da Bella.
La madre della protagonista ci mette a parte del difficile rapporto con la figlia che, pure avendola voluta fortemente contro tutti, non è mai stata in grado di capire davvero nei suoi tremori: sia quelli fisici, che nessun medico riuscirà davvero a fare scomparire, sia emotivi, causati da pensieri che, da bambina come da adulta, la protagonista rende inaccessibili a quella madre che non ritiene mai all’altezza di starle accanto e la quale, a sua volta, mai si sentirà in grado di farlo.
Lo sguardo di Bella, forse il più profondo e sincero tra i tre proposti, cerca di arrivare al nocciolo della palese infelicità che vede scaturire, di giorno in giorno, dai modi e dalle parole crudeli che la figlia ha per lei, per il suo lavoro da artista e per le sue scelte di vita: non venendo mai a capo di alcun reale motivo, se non quello di avere messo al mondo, suo malgrado, una creatura distaccata, egoista e incapace di esternare i propri sentimenti. Nonostante tali considerazioni, Bella non condanna mai la figlia, né rinuncia a cercare di starle vicino, soprattutto quando sarà chiaro il suo essere rimasta invischiata in una relazione tossica. Ed è sempre attraverso lo sguardo della madre che emerge l’interesse della protagonista per la meditazione già in età infantile, un interesse che per Crisalide è l’unico modo per uscire dai momenti di confusione fisica e mentale. È mediante il racconto di questi momenti terribili – violente scariche di nervi che le attraversavano le gambe e le braccia e che sembravano più volontari e studiati che fisici e inspiegabili – che Bella rivela l’unica chiave di lettura importante per decifrare la figlia: da bambina come nella prima parte della sua vita adulta, non aveva il controllo del proprio corpo e dei propri sentimenti, e questo aveva finito per renderla incapace di provarne, a sua volta.
Abbandonato lo sguardo malinconico ma rassegnato di Bella, nella terza parte seguiamo le vicende tramite Susie, amica della donna senza nome e, prima ancora, sua collega nello studio legale dove la protagonista aveva iniziato a lavorare finiti gli studi. È lei che annoda i fili dei due racconti precedenti insieme al proprio, rendendo finalmente chiaro il quadro vago fino a quel momento. Attraverso le parole di Susie, si scopre che la Crisalide è stata effettivamente vittima di una relazione tossica e che, una volta trovata la forza di uscirne, ha deciso di riprendere in mano la propria vita e si è licenziata dal lavoro. Susie racconta che la Crisalide ha avviato la propria metamorfosi partendo dal fisico, modellando i muscoli e abituando il corpo all’obbedienza e alla resistenza grazie a sessioni intensive di allenamenti e meditazioni. Scelta che, essendo ormai a conoscenza della sua infanzia burrascosa e della sua relazione con l’ex compagno, appare finalmente chiara.
In questa ultima parte del romanzo, anche Metcalfe prova a tirare le fila della storia e della vita della Crisalide, mostrandola nella sua forma definitiva: una donna che, incapace di combattere i colpi inferti dalla vita ha deciso di provare a migliorarla dedicandosi solo a migliorare la propria immagine e cercare dentro di sé le risposte senza mai entrare in dialogo col mondo circostante.
Ancora una volta si torna, dunque, al conflitto tra essenza e apparenza che ha aleggiato tra le pagine del libro per l’intera lettura: quando possiamo dire, davvero, di conoscere una persona? È sufficiente condividere qualche notte d’amore, un bicchiere di vino, il DNA? Basta questo a poter dire, come nel caso della Crisalide, sparita lentamente dalle vite dei suoi affetti per diventare quasi un’entità mistica e riapparire poi solo online nelle sembianze di una sorta di guru della meditazione e della vita eremitica, di sapere chi abbiamo di fronte?

«Spesso mi interrogo sui suoi follower, su quel che vogliono da lei. Forse desiderano possedere un corpo altrettanto immobile e forte; forse la vedono come una persona che ha imparato a non lasciarsi toccare dal resto del mondo. […] Ma i suoi follower non vogliono qualcosa di permanente di cui potersi fidare. La sua estetica è coerente e quindi la gente non si accorge che è capricciosa, che come una qualsiasi divinità o archetipo è tanto vostra quanto mia».

Nell’ultima pagina del romanzo, Metcalfe cerca di dare una risposta indagando il rapporto che passa tra l’essere davvero e il voler apparire, tra quello che di noi mostriamo realmente e quanto, attraverso l’immagine che di noi abbiamo costruito, scegliamo di lasciare fuori, di non dare in pasto agli occhi dell’altra gente. Se per egoismo e paura di essere ferite o per mero spirito di sopravvivenza, però, pare rimanga impossibile comprenderlo.

Anna Metcalfe, “Crisalide”, traduzione di Ada Arduini, NN Editore 2024

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Simona Raimondo

Simona Raimondo è nata a Catania nel 1988. Ha cominciato a scrivere per magazine online della sua città a vent’anni, occupandosi di cultura pop e società. Nel 2015 si è trasferita a Torino per studiare Reporting alla Scuola Holden, dove si è poi diplomata in Storytelling&Narrazione del reale nel 2017. Dopo avere conseguito il master in storytelling è tornata a Catania, dove ha lavorato come content editor e social media manager per diverse agenzie di comunicazione. Nel frattempo ha continuato a coltivare la sua più grande passione: scrivere. Ha infatti pubblicato alcuni racconti con riviste letterarie quali Formicaleone, Salmace Rivista e RISME Rivista. Nel 2022 ha esordito con il suo primo romanzo, Storia di Bianca (L’Erudita) e nel 2023 un suo racconto è stato scelto per essere inserito all’interno dell’antologia Oltre il buio (Giacovelli Editore).

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