«Non mi sento speciale e penso di aver emozioni, paure e desideri come tantissime persone… Si parte dai ricordi perché sono una porta di ingresso in qualcosa di più grande di cui facciamo parte: l’umanità». «Non vedo l’ora che finisca la nostra civiltà e che ne venga una un po’ più discreta, curiosa e allegra. Non vedo l’ora di finire in un museo». Nei film di Alice ci sono le persone e i luoghi come le si vedono nell’infanzia, un po’ magiche, un po’ ingigantite, ma sempre vere e schiette
Di Chiara Cremaschi e Micaela Veronesi
Cara Micaela,
a dicembre sono stata al Bar Luna, al Centre Pompidou. È un bar di paese degli anni ’80, uno di quei luoghi in cui le persone si trovano, condividono storie, e osservavano il movimento degli altri intorno.
Se sollevi la cornetta del telefono pubblico, la voce di Alice Rohrwacher ti pone una domanda. Una di quelle domande come sono i suoi film: semplice, essenziale, magica. A cavallo tra realtà e sogno.
Il Bar Luna è una soglia che invita i visitatori a varcare la frontiera dell’immaginario. Realizzato in collaborazione con la compagnia teatrale Muta Imago e con la partecipazione di Thierry Boutemy, è l’inizio del viaggio nell’universo di Alice Rohrwacher. Ci si muove tra luce e oscurità, frammenti di video, fotografie e paesaggi sonori.
È un viaggio a ritroso nei luoghi e nelle memorie dei suoi film, che permette di esplorare la narrativa di tutte le sue opere. Vi si ritrova Corpo Celeste (2011), selezionato alla Quinzaine des Réalisateurs, Le Meraviglie, che a Cannes ha vinto Il Grand Prix nel 2014, Lazzaro Felice, premio per la sceneggiatura a Cannes 2018, Le Pupille, nominato agli Oscar 2023, e tanto altro, come Una Canzone, Omelia Contadina, codiretto con l’artista JR e Futura, realizzato in collaborazione con Pietro Marcello e Francesco Munzi.
Questo viaggio nel suo mondo, mi ha incuriosita e affascinata. Soprattutto mi chiedo come nascono le sue storie e le sue forme di racconto, sempre così legate alla terra, ai corpi e ai sogni.
Cara Chiara,
ho visto La chimera di Alice Rohrwacher quando è stato presentato a Torino con la regista presente in sala. Con la stessa semplicità profonda di cui tu fai cenno, e che caratterizza anche tutti i suoi personaggi, Alice – parlando di come è nata l’idea del film – ha in certo senso risposto alla tua domanda: le sue opere nascono attraversando la linea che collega realtà e immaginazione. Nei suoi film c’è tutto il suo immaginario di bambina, comprese le persone, i luoghi e le atmosfere così come le si vedono con gli occhi dell’infanzia, un po’ magiche, un po’ ingigantite, un po’ misteriose ma sempre vere e schiette, non filtrate dai pregiudizi dell’età adulta. Ecco perché nelle sue opere possono convivere fascinazione e realismo, bello e brutto, poesia e prosa, alto e basso. Luce e oscurità, appunto, come dici tu.
Alice Rohrwacher è una di quelle persone rare e speciali che conservano la capacità – tipica dei bambini – di guardare dentro le cose e di stupirsi senza giudicare. Anche per questo i suoi film ci fanno riflettere sulle questioni importanti e ci sollecitano a un impegno deciso e spassionato nei confronti degli altri e del mondo; penso proprio agli ultimi corti come Le pupille, e Omelia contadina, ma mi riferisco anche al modo con cui la regista si esprime quando è in pubblico, alla sua capacità di parlarci della complessità in modo semplice, andando dritta al nucleo essenziale delle cose. Proprio come nei suoi film.
Chiara Cremaschi e Micaela Veronesi dialogano con Alice Rohrwacher
La nostra rubrica si intitola “Sulla creazione” ed è proprio sui diversi aspetti del tuo approccio creativo che vorremmo parlare. Come “inizia” un nuovo progetto Alice? Scrivi degli appunti, disegni, fa una selezione di immagini, ha in mente un’immagine particolare?
Alice Rohrwacher. Ogni progetto inizia in maniera diversa, non posso semplificare… Ma posso dire che tutti i progetti vengono da lontano, sono semi che passano molto tempo sottoterra prima di spuntare. Per fare un film sicuramente ci vuole una pianta forte, coraggiosa, perché è un lavoro di tanti anni e quindi deve appassionarci nel profondo. La parte che richiede più tempo sono i sopralluoghi, a volte stiamo via per settimane se non per mesi, per trovare i paesaggi di un film. Credo che i luoghi di un film siano una rete elastica su cui può saltare l’immaginazione, e quindi devono essere tesi e saldi, per permettere il volo. Mi piace cercare paesaggi parlanti, che raccontino non solo un luogo ma una relazione: tra uomo e natura, tra epoche diverse, tra culture diverse.
Come lavori in scrittura prima di arrivare alla sceneggiatura? Ti immagini personaggi e personagge avendo già attori e attrici in mente?
All’inizio non so chi siano gli attori. Mi piace gustarmi solo a fine sceneggiatura la scelta del casting, è davvero un momento emozionante quello di trovare un corpo alle parole… La sceneggiatura è piena di parole in esilio, senza casa, che vagano dentro la nostra testa e all’improvviso trovano un attore in cui abitare, diventano corpo. È quasi una magia.
Qual è la relazione con la tua biografia? Nel Bar luna ci sono anche immagini di famiglia, riferimenti autobiografici che nei film sono meno evidenti ma che denotano un legame forte.
Non mi interessa la mia autobiografia se non perché è un aggancio con l’umanità, nel senso che non mi sento speciale e penso di aver vissuto emozioni, paure e desideri che condivido con tantissime persone… Quindi spesso si parte dai ricordi non perché siano ricordi speciali, ma perché sono una porta di ingresso in qualcosa di più grande di cui facciamo parte: l’umanità. È quello il viaggio che mi interessa, più che il viaggio specifico della mia vita. C’è un fascino per l’altro, un fascino per la conoscenza che è come una calamita che muove la ricerca per un film.
Come trovi il ritmo del racconto, che è sempre così “fisico” nei tuoi film?
Se sapessi trovare una formula, forse cambierei lavoro. Ma quello che mi piace è proprio che non c’è formula, si tratta di andare avanti al buio, per tentativi, strade sbagliate, inciampi, discese e salite. E scoprire che non è un errore errare. L’importante è essere presenti. Essere sguardo.
La scelta musicale nasce già in scrittura? Ci pare strettamente legata a te, al tuo percorso ed esperienza, non solo alla storia che racconti.
La musica è così importante nella mia vita che l’ho sempre utilizzata con un certo pudore. Soprattutto all’inizio, non volevo approfittare della potenza della musica per orientare l’emozione di un film, e quindi ho usato solo musica diegetica. Ma poi ne ho sentito il bisogno e ho iniziato a inserirla già durante le riprese. In Lazzaro Felice ho deciso di darle un luogo fisico, un corpo: la musica è un personaggio, scappa dalla chiesa, corre per strada e segue Lazzaro per stargli vicino. Ora che posso vederla, sono più felice di invitarla a lavorare con me ad un film!
Nei tuoi film ci sono sempre, anche se in molti casi sottotraccia, dei messaggi di amore per la natura. Ci sono suggestioni per immaginare una vita più semplice e più equa, in cui esseri umani e non umani vivono una possibile armonia. Come immagini il futuro del pianeta e come, secondo te, si potrebbe fare per recuperare quell’armonia?
Non vedo l’ora che finisca la nostra civiltà e che ne venga una un po’ più discreta, curiosa e allegra. Non vedo l’ora di finire in un museo insieme a tutto questo frastuono, e di vedere le scolaresche che analizzano i nostri relitti e pensano: poverini questi abitanti dell’epoca capitalista! Come erano stupidi.
Ti è capitato di lavorare con le giovani generazioni? Ci siamo immaginate che potresti farlo con un progetto educativo in grado di stimolare la fantasia e l’amore per la semplicità.
Le giovani generazioni sono il seme del futuro, sono anche fragili perché il mercato cerca di accalappiarli sempre più precoci, ma ho molta fiducia in loro e nella loro possibilità unica di essere liberi dai condizionamenti dell’epoca. Il mio compito, come figlia del Novecento, è quello di testimoniare il lavoro manuale, che sarà sempre più raro. Fare dei film fatti a mano, pieni di impronte, per ricordargli la memoria di un lavoro prima che scompaia. Ma sono curiosa di vedere cosa succederà in futuro.
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