Alessandra Saugo – scomparsa a 45 anni nel 2017 – è tornata in libreria nel 2023 con “Come una santa nuda”: un flusso di coscienza in cui dialoga con John, personaggio reale o immaginario non si sa, impreziosito da una lingua corrosiva e immaginifica che non risparmia nessuno. Né editori né il terapeuta né se stessa e le altre donne cui è legata da una sorellanza problematica
di Amanda Rosso
Partiamo da un presupposto necessario: Alessandra Saugo non si legge con la copertina patchwork della nonna e un gatto acciambellato sui piedi, non è una lettura di conforto. Si può leggere solo elettrizzate e nude, scorticate e disposte a farsi rimescolare gli organi dalla supernova di una voce assolutamente unica che il panorama letterario prima si è lasciata sfuggire e poi ha perduto prematuramente.
Di Alessandra Saugo, prima ancora della morte a causa di una malattia nel 2017, c’erano già poche tracce: nata a Valdagno nella provincia di Vicenza, dove viveva, aveva tre figlie con l’ex marito scultore Arcangelo Sassolino. Ha esordito nel 2010 con il romanzo Bella Pugnalata (nella collana Le stellefilanti di Effigie), ora praticamente introvabile. Il suo secondo romanzo, Metapsicologia rosa è uscito postumo per Feltrinelli nel 2017. Le uniche informazioni non strettamente biografiche su di lei si possono leggere nel bell’articolo di Antonio Moresco, amico e mentore, su Doppiozero, che la definisce con ammirata precisione «la voce femminile più contundente che mi fosse arrivata da una scrittrice italiana contemporanea». In quell’aggettivo, contundente, sopravvive e palpita la scrittura eccezionale di Alessandra Saugo.
L’anno scorso la casa editrice Wojtek – che da sempre mostra una sensibilità particolare nei confronti della letteratura affilata e per l’appunto contundente – ha riportato Saugo nelle librerie con il volume Come una santa nuda, un’opera che per sua natura smembra l’immaginario asfittico dell’idea di romanzo, memoir, o saggio, e si interroga su quale sia il senso di classificare un’opera e confinarla a un genere preciso.
«Dove sono i personaggi. Ci sei tu, John, poi c’è quello inserito nel mondo dei riflettori indefessi, c’è quella che recita Molly Bloom inutilmente e c’è il mio gigante, solo la punta di un capello, dato che è il deus ex machina e deve rimanere occulto. E c’è anche la punta lucida della scarpa elegante di uno psicologo dinamico milanese, e c’è la madunina tutta d’oro e picinina, e c’è la Madonna di Monteberico, provincialotta, ma che fa le grazie. E, John, tu sei il più allocuto di tutti e anche il più allitterato. Gli altri sono circonlocuti e un po’ antifrastici, ma si vedrà. Cosa fanno. Fanno da voci a un commentario, e fanno gli apparati di un testo erudito. Un testo erudito? Erudito, sì. I personaggi sono piuttosto campi del sapere».
Come una santa nuda è un libro allo stesso tempo claustrofobico e ipercinetico, il flusso di coscienza di una narratrice, una proiezione di sé della voce narrante o dell’autrice – i cui contorni sono slabbrati e ferini che mescola ricordi, osservazioni e microstorie in una conversazione con John, personaggio reale o immaginario – che le restituisce uno sguardo pacato laddove il suo possiede la scarica adrenalinica del tempo scaduto: «Ogni volta che tu vai in qualche posto. Io resto ferma qui. C’è differenza. Ma va detto. Sono quelle cose che se no passano inosservate. Anche fare sempre tutto. Tutto fino in fondo è impossibile. Allora viene fuori tutto un po’ male. Piuttosto che niente. Mosso.»
Saugo non risparmia nessuno, né gli ambienti editoriali, che vanno in solluchero per il caso letterario del dodicenne con il corpo tatuato con le fattezze di Maradona, né i mariti fedifraghi di attrici italiane, lo psicologo dinamico e i suoi maglioni, e le pazienti, che in un circo di minigonne e scollature si abbandonano al bailamme del transfert.
Quello con le altre donne e la propria femminilità è un rapporto cardine nella produzione di Saugo, che aveva già affrontato le nevrosi delle relazioni interpersonali fra i generi in Metapsicologia rosa. La narratrice è impietosa giudice e giuria, animata da una corrente sotterranea di sorellanza che non si limita a una onnicomprensiva, ipocrita “solidarietà femminile” da catalogo, ma sviscera la relazione problematica che le donne hanno le une con le altre, oltre che con loro stesse, in un contesto patriarcale. Quella con il proprio corpo e l’esistenza del femminile, è una relazione sporca, usurata, truculenta e nevrotica.
La scrittrice esamina la femminilità individuale e collettiva con l’intento di problematizzarne la pacificazione. In questo senso ogni suo scritto è attraversato da una corrente profondamente femminista, proprio perché disarma la trappola velata di una sorellanza non problematica e tormenta le ferite alla ricerca di brandelli di nuda onestà, gelosia, abbrutimento e indifferenza. Saugo è in conflitto con le aspettative imposte alla femminilità, e con le danze sociali imposte dagli ambienti editoriali. «No, lo psicologo dinamico era tetragono dentro al suo preconcetto. La femmina è il mistero dei misteri, è l’eteros, la femmina è eterogenea e incognita a se stessa, innanzitutto. L’incongruenza del femminino, la sua discrepanza, la sua oltranza. La sua infinitanza, la sua indicibilanza».
Lo stesso fantomatico «mistero del femminile», che l’autrice disgrega in un passaggio fulminante, è un rodato meccanismo di autoassoluzione che gli uomini praticano da secoli: «E anche lo psicologo dinamico ogni giorno più incaponito su questa teoria del mistero insondabile del femminino leggeva per sicurezza in continuazione libri scritti tassativamente da autori maschi, meglio se americani. Libri tradotti. E la lingua italiana delle vere poetesse italiane, quella l’aveva sempre evitata e continuava così. Maria Zambrano non l’avrebbe citata neanche sotto tortura, la sua voce, non l’avrebbe mai ascoltata».
Del femminile la scrittrice non vuole salvare l’intoccabile, ma far deflagrare l’indicibile.
Vetriolica e materna la sequenza sulla triste rovina della cantante Amy Whinehouse – che l’autrice spinge via come Altra da sé ma in cui finisce per specchiarsi -, un pezzo di arguta brutalità e furente incanto che smaschera la nostra dolorosa bulimia collettiva di eroine tragiche da bistrattare da vive e santificare post mortem: «Sai, John, te lo dico: il mio primo e unico editore era indifferente, aveva lì un pezzo di ragazza, una trentenne in piena polpa, con questa lingua messa giù, con questa forza soul. Lui, indifferente a tutto».
Chi narra è immersa in un liquido amniotico di isolamento e tabloid, donne esposte come tagli di carne e date in pasto a una folla furente e annoiata. Lei stessa attinge a piene mani dal maelstrom di invidie e maschere di botox, ma fa del pettegolezzo letteratura con una lingua da equilibrismo e catacombe, che viviseziona soubrette, reali, musicisti e virtuosi della viola da gamba con la stessa mirabolante inventiva.
Quella di Saugo è un’«etica furente» amministrata con determinazione ma anche una vulnerabilità totale e fosforescente. Nella critica all’impostura dell’intellettualismo confortante e cameratesco degli «inseriti», l’autrice mostra una sensibilità che la fa a brandelli, sintonizzata sulle frequenze dell’Assoluto, in costante modalità di sopravvivenza nella sua stessa vita, inetta e mancante, ma soprattutto nella scrittura, dove a momenti di baldanza si alternano precipitosi autosabotaggi, silenzi e ritrosie, in cui appare in tutta la sua mortificante banalità la distanza siderale fra la scrittura e il mestiere di scrivere: «Vittoriana e repressa, non sono morta giovane e non sono arsa viva dentro alla mia fiamma catatonica dall’eccitazione di esistere così. Ho evitato tanto di esistere tanto. E tanto schiacciato si insiera e imbolla.»
Si fa beffe di tutto, Saugo, ma sempre da dentro un corpo scosso e scarnificato, dalle interiora del sentire, mai da una posizione di privilegio0. L’ironia sprezzante e amara è sempre rivolta a un sistema di cui la scrittrice si sente di essere solo viscere esposte e vuoti.
Sia nel racconto di una scampata violenza da parte di un famoso scrittore, sia dell’impotenza aggressiva dell’ex marito, si riappropria dell’agency grazie alla condivisione di dettagli comici e grotteschi, e riconfigura la sua posizione di vulnerabilità attraverso la farsa, spingendo gli uomini a rivelarsi nudi e viscidi sul palcoscenico della memoria.
Il distacco dal trauma non è mai ironico, e l’ironia non è mai distacco, ma partecipazione rabbiosa che ha esaurito la sua carica violenta per tramutarsi in rassegnazione. In questo senso la funzione del libro è quella di un «pettine metafisico», un viaggio dove non si celano più i nomi e cognomi, ma ognuno ritrova il suo posto nell’elaborato vortice dantesco a loro assegnato.
Non ci è dato sapere se questa collezione di scritti sia stata pensata come postuma dall’autrice una volta scoperta la malattia, o se ci fosse l’intento di distribuire e rendere manifeste le colpe attraverso la letteratura. I nodi vengono al pettine, ma non come antipatie e sgarri personali, ma come una deflagrazione totale e irriverente di un sistema che Saugo sa esplorare a cuore aperto, viscere debordanti e sangue ovunque.
Con un linguaggio evocativo, capriole di senso, allitterazioni e onomatopee, parole inventate (fracassino, trillopanzerini, sfrucuglia) che rimbombano dalla cassa di risonanza di un cuore spezzato, Alessandra Saugo si fa cantora del grottesco celato nel quotidiano e del perturbante di ciò che è mondano.
Alessandra Saugo, Come una santa nuda. Wojtek Edizioni, 2023
PASSAPAROLA: GRAZIE ♥Amanda Rosso
Ultimi post di Amanda Rosso (vedi tutti)
- Non siamo il lavoro che facciamo - 16 Novembre 2024
- Fendere il silenzio - 22 Ottobre 2024
- Limare le parole - 2 Agosto 2024
- Quello che non ci siamo mai detti - 8 Luglio 2024
- Di gerani rossi e “falsomagro”: genealogia di una diaspora - 28 Maggio 2024