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Lisa si sveglia ogni mattina alle sei per consegnare la posta. Ogni mattina l’aspettano un caffè, lettere, pacchi e il drago Lampo. In “Ultimo volo”, racconto ispirato alla trilogia de “La Dorsale”, Maria Gaia Belli esplora il tempo e lo spazio di un lavoro duro e disumano in un universo narrativo fantastico e straordinariamente attuale

Di Amanda Rosso

Ci sono racconti che sono scaglie di luce. Ultimo Volo di Maria Gaia Belli edita da Moscabianca Edizioni con le illustrazioni di Gaia Carlesso, è uno di questi. Sin dall’esergo si percepisce la vitalità rassegnata ma speranzosa di Belli: “Alle amiche e agli amici conosciuti lavorando: senza di voi sarebbe stata solo una perdita di tempo”.

Ultimo Volo è senza dubbio un racconto sul lavoro. Il lavoro contemporaneo, precario, incerto, in cui si cerca di sopravvivere nel capitalismo. Non il lavoro bestiale di Rosso Malpelo, ma una routine irrigidita dalla burocrazia e il precariato, che non concede alcuna libertà di movimento, pianificazione, respiro. Il lavoro, le sue quotidiane crudeltà, la fatica, la noia, la ripetitività, le ingiustizie, i pericoli.

Ambientato nell’universo narrativo della trilogia de “La Dorsale” (L’anno del ferro, L’anno dell’oro e L’anno del sale, tutti editi da effequ), Ultimo Volo ribalta il paradigma del romanzo di formazione per osservare dal basso il sistema in cui tutti i personaggi, con privilegi più o meno evidenti, si muovono.

La dorsale è una catena montuosa che separa il Nord da tutto il resto. Della gente del Nord si sa che è ricca e strana e parla una lingua incomprensibile. A sud, nella città di P., vivono Lisa – che lavora per Posta Aerea, consegna pacchi e lettere su tutto il territorio del sud in groppa un drago di nome Lampo – suo marito e suo figlio Tedi.

Nell’universo narrativo di Belli i draghi non sono le creature mitologiche di Tolkien, sepolti da montagne d’oro, non sputano fuoco e non sono gli esseri saggi e antropomorfi che guidano il protagonista nelle sue avventure, come in Dragonheart o Merlin. Non sono nemmeno il nemico da uccidere per raggiungere l’amata, come nelle fiabe.

I draghi della dorsale sono un investimento economico: vengono allevati o catturati, fatti accoppiare per perfezionarne le caratteristiche. Si inseriscono all’interno del sistema economico. Prima i territori attorno alla dorsale erano diversi, c’era il mare. Ma poi qualcosa è cambiato, il cambiamento climatico ha modificato il paesaggio, e con esso le strategie di sopravvivenza di chi lo abita. Fra i contrabbandieri e la tratta dei bambini e delle bambine, la crisi dei territori di confine e il monopolio dell’Accademia, i draghi diventano una fonte di reddito, di prestigio e semplicemente dei preziosi alleati. Fra Lisa e il drago Lampo, è proprio quest’ultimo a ricevere le cure più attente: lui ha un valore, è costoso, difficile da rimpiazzare. Lisa no.

Maria Gaia Belli incorpora senza sforzo l’elemento fantasy in una struttura dolorosamente realistica, dove ogni personaggio si districa amaramente fra la disuguaglianza e l’ingiustizia, la corruzione e la burocrazia di un sistema di sfruttamento dalle regole aleatorie. Il sistema di valori che contraddistingue l’universo narrativo è allo stesso tempo il risultato di eventi specifici che hanno modificato la geografia e la mitologia del territorio, e un riflesso abbacinante di conflitti e disuguaglianze ben noti.

Lisa – come Kam, Liuk, Kay e Leila, i protagonisti de La Dorsale – assiste a presagi di sventura, crolli, incidenti, notiziari catastrofici e squilibri diplomatici, ma al contrario degli allievi dell’Accademia, che per quanto intaccati da traumi profondi si muovono a proprio agio nell’istituzione totale, ha uno sguardo obliquo, quotidiano, dal margine: si sveglia alle sei, fa colazione e si lascia attraversare dalla nube oscura delle notizie, arriva a lavoro già stanca dopo più di un’ora nel traffico, già con le ore contate prima di dover tornare a prendere il figlio a scuola, in ritardo ancor prima di iniziare, in balìa delle condizioni atmosferiche, del caso e del temperamento di Lampo.

Il drago è l’unico elemento straniante in una narrazione altrimenti famigliare di contratti a zero ore e la tirannia dell’orologio. Lisa trascorre ogni minuto della sua stressante giornata lavorativa con il pensiero di ciò che si sta perdendo, di ciò che può solo immaginare: «A quest’ora, suo figlio ha la mano infilata in una ciotola piena di tempera blu, il grembiule abbottonato male, la pezzetta per il moccio infilata dalla maestra nella taschina sul fianco. Suo marito è tornato a dormire per altre due ore, poi si alzerà, pranzerà e avvierà la lavatrice, si metterà gli scarponi per tornare in cantiere».

Una volta arrivata in azienda, Lisa viene sminuzzata da tutte le insidiose insensatezze del lavoro al tempo del capitalismo selvaggio: colleghi infortunati, per cui in altri momenti avrebbe provato empatia, diventano un carico di lavoro inaspettato, un temporale o un vento contrario si trasformano in ostacoli insormontabili. L’umore storto di un drago e una virata imprudente possono costare la vita.

Nel tratteggiare le giornate di una sempre più esausta Lisa, l’autrice le infligge le piccole meschinità della burocrazia dell’impiegata, ma si concentra soprattutto nel delineare il tempo impietoso della performatività. Come nella narrazione sincopata di Lola corre e della pellicola francese del 2021 À plein temps con Laure Calamy, lo spazio e il tempo sono essi stessi personaggi, elementi dell’esistenza tramutati in nemici giurati da una richiesta spietata di produttività. In questo universo fantastico la classe si rivela in tutta la sua fretta, spremuta da orari di lavoro insalubri e sospinta dalle correnti di un precariato endemico: «Lisa, come tutti i suoi colleghi, entra prima per uscire all’orario giusto di fine giornata. Regala mezz’ora buona all’azienda, ma è una mezz’ora che le tornerà comoda più tardi, per rientrare prima che faccia buio. Gli altri mettono una sveglia sul cellulare per quando è ora di timbrare, ma lei ha una sorta di bussola interna, la stessa che le dice quando i nuvoloni all’orizzonte non sono pericolosi. È in piedi davanti alla macchinetta alle otto e ventinove, attende l’ultimo minuto con la tesserina in mano».

Il tempo di lavoro e il tempo di vita si riducono a un ticchettio infernale in cui, pressata dalla necessità, Lisa si troverà a commettere un errore che le costerà molto caro. Il tema della scelta, e della sua impossibilità in un sistema di sfruttamento selvaggio, è centrale: schiacciata dal bisogno di portare a termine il lavoro in tempo per andare a prendere il figlio all’asilo, e trascinata nelle politiche paludose dell’Accademia, Lisa non può determinare per se stessa le priorità. Fare tutto, subito, e farlo bene, sono alternative impossibili. Nella sua vita la cura non è un processo ciclico di scambio, ma uno sforzo unidirezionale che ne frammenta l’identità e polverizza le energie.

Maria Gaia Belli conferma la sua fulminante capacità di incorporare senza sforzo elementi fantastici in un universo realistico, personaggi affascinanti e una marcata critica sociale. La coerenza interna è solida, la forza immaginifica si esprime in uno stile cinematografico e immediato – accompagnato dalle evanescenti e delicate illustrazioni di Gaia Carlesso – e un’attenzione partecipe alla psicologia dei personaggi.

In Ultimo Volo i cieli sopra la dorsale, così come i luoghi di lavoro, gli ospedali e le case, sono attraversati da inquietudini sottili, effluvi cancerogeni, sfruttamento e precarietà, con la stessa puntuale efficacia della migliore letteratura working class, da Works di Vitaliano Trevisan a Sono Fame di Natalia Guerrieri.

 

«Lisa sogna il lavoro.

Una cassa gialla in fondo a un corridoio vuoto.

Una città infinita, con vicoli stretti, stradoni afosi. A ogni incrocio il nome della via è cancellato.

La sveglia che non suona, lei che continua a dormire.

Lampo si contorce su un pavimento allagato, non vuole farsi mettere la sella. La pelle sottile delle ali è coperta di vermi.

La rete di metallo che circonda un campo vuoto. I pantaloni impermeabili dimenticati a casa.

Una donna scura indica qualcosa con il dito.

Sole forte.

Un semaforo con quattro luci, tutte gialle.

La strada finisce nel vuoto, lei vola.

Nel sogno non sa di saper volare.

Lisa cade. Il drago muore».

 

Maria Gaia Belli, Ultimo Volo, con le illustrazioni di Gaia Carlesso. Moscabianca Edizioni, 2023

Maria Gaia Belli, L’anno del ferro. effequ, 2021

Maria Gaia Belli, L’anno dell’oro. effequ, 2022

Maria Gaia Belli, L’anno del sale. effequ, 2023

Vitaliano Trevisan, Works. Edizione ampliata. Einaudi, 2022

Natalia Guerrieri, Sono Fame. Pidgin Edizioni, 2022

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Amanda Rosso

Amanda è nata e cresciuta nell’entroterra ligure. Si è laureata in Comunicazione all’Università di Pavia e ora vive e lavora a Londra, dove ha conseguito un Master of Arts in Modern Languages and Comparative Literatures alla Birkbeck University. I suoi racconti sono apparsi su “Narrandom”, “Quaerere”, “Malgrado le Mosche”, e in alcune antologie online e cartacee, fra cui “Musa e getta. I racconti delle lettrici e dei lettori” (Ponte alle Grazie, 2021) e “Il corpo c’è” (Vita Activa Nuova, 2023). Ha co-tradotto la raccolta di racconti “Donne d’America” (Bompiani, 2022) a cura di Giulia Caminito e Paola Moretti. Fa parte dell’attuale direttivo della Società Italiana delle Letterate.

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