Invitiamo le nostre lettrici a raccontare un sogno, accompagnato se volete da un’immagine, una foto, un disegno che possa “rappresentarlo”.
La proposta nasce dallo spaesamento che molte di noi avvertono, causato dalla difficoltà crescente a sentirsi parte di una comunità, come fossimo abitanti di una terra straniera. Esiliate in casa, ma soprattutto dal nostro mondo interiore.
Non più capaci di sognare.
Avvertite lo stesso disagio? Allora continuate a leggere.
Di Gisella Modica
Fermarsi a dialogare coi propri sogni, a contemplare le figure da essi scaturite, immagini-guida del nostro mondo interiore, aiuta a “vedere nel buio dalla sponda opposta”. A cambiare prospettiva.
Ci avvicina ad altre percezioni, altre dimensioni parallele al mondo che conosciamo. A condizione che sospendiamo o spostiamo dal centro il nostro ego e proviamo a svincolarci dal nostro tradizionale concetto di realtà per accedere ad uno spazio, seppure transitorio, tra interiorità ed esteriorità.
I sogni sono portatrici di un sapere e un’intelligenza interiore che ciascuno/a di noi possiede, ma abbiamo disimparato ad usare.
I sogni attivano l’immaginazione. Se li sappiamo ascoltare ci aiutano a riconnetterci col nostro mondo interiore.
Condividete questi pensieri?
Inviate allora il vostro sogno a gisellauno@gmail.com
Per entrare nell’atmosfera onirica vi riproponiamo l’intervista di Gisella Modica alla scrittrice Viola Di Grado, pubblicata a luglio sulle nostre pagine, che su Instagram racconta i suoi sogni ad un algoritmo.
Gisella: Cosa sono per te i sogni?
Viola: Sono un diario dei nostri stati psichici che non rispetta le gerarchie della veglia: simbolo e ricordo, desiderio e avvenimento passato non hanno pesi diversi, e dunque danno vita a una dimensione immensamente più rigogliosa e creativa della vita reale. Non a caso la trascrizione dei sogni è uno dei più antichi generi letterari. Nell’800 l’inglese Anna Kingsford, amante del linguaggio onirico e degli animali, scriveva la prima raccolta. Il primo incubo mai trascritto, però, risale già al terzo millennio A.C.: un incubo demoniaco nel poema sumero “La discesa di Inanna negli Inferi”. Ma si pensa che il primo esempio di sogno registrato sia visivo ovvero la caverna di Lascaux.
G: Qual è il tuo rapporto coi sogni?
V: Li annoto da sempre: sono la stazione di partenza della mia scrittura e una tappa obbligata del rapporto con me stessa. Sia come persona che come scrittrice (a volte c’è una differenza) ho un legame militaresco con il simbolo: presto ascolto all’invisibile (e dunque al sogno) con estrema disciplina e senza mai lasciarmi scappare qualcosa.
G: Che importanza hanno nella tua vita e nella tua scrittura?
Sono più importanti di certe aspetti della mia vita da sveglia. Susan Sontag diceva che l’eloquenza si sviluppa in solitudine, e viene corrotta dalla socialità; è così. E l’esperienza psichica in cui più trionfa la solitudine è il sogno: è l’unica attività della mente che non viene intralciata dal mondo esterno, anzi lo ingloba e lo frantuma.
G: I sogni guariscono?
V: Così pensavano gli antichi romani: infatti dedicavano dei templi a una vera e propria incubazione, in cui i malati (in molti sensi) dormivano e sognavano: il sogno era visto come la prescrizione del dio Asclepio, come un’ odierno foglietto da portare in farmacia. Non credo che i sogni possano guarire ma che noi possiamo guarirci in diversi modi che coinvolgono l’ascolto del sogno.
G: Ci parli del tuo esperimento, ovvero del diario onirico tramite l’AI e di cos’è la piattaforma midJourney?
V: Il mio esperimento è un diario onirico visivo prodotto tramite midjourney, intelligenza artificiale, e puntualmente condiviso su un account instagram che ho chiamato “The_dream_and_the_underworld”, come il libro omonimo di Hillman, grande studioso della vita onirica. Il senso di questo progetto per me è proprio quello di riflettere sul legame tra inconscio individuale e collettivo: esplorare il filo simil-mistico che lega l’inconscio individuale (in questo caso il mio) a una sorta di inconscio collettivo, nel senso di impersonale e auto-generativo (archetipico?). E’ uno studio, quindi, anche della soglia tra controllo dell’immagine (non solo contenuto ma anche luce, obbiettivo, diaframma, etc) e generazione automatica. Su Midjourney, sorta di navicella spaziale in cui esplorare il mio io attraverso la molteplicità del non-io artificiale, genero dei cosiddetti “prompt”, comandi molto dettagliati di creazione di un’immagine, a cui segue un processo di aggiustamenti. E’ affascinante assistere a questo big bang: nel buio di pixel, le figure emergono lentamente, come un inconscio che instancabile macina e produce: all’inizio sono macchie alla Rorschach, poi diventano volti realistici, quattro versioni possibili che si possono scomporre in altre quattro variazioni, e così via, in un caleidoscopio infinito che si ferma solo quando decidi che è abbastanza: che, in fondo, si tratta del tuo sogno, anche se appartiene a tutta l’umanità. In un certo senso, sento di raccogliere in questo piccolo progetto-instagram gli scarti della mia scrittura, gli avanzi, e di impastarli con ciò che mio non è: ogni immagine è per me un’appassionante fantasmagoria junghiana, il vetrino impazzito di un caleidoscopio di visioni che appartengono a tutti e dunque a nessuno.
Gisella Modica
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