Storia di una vendetta

Manuela Altruda, 18 settembre 2023

Come se esistesse il perdono dell’argentina Mariana Travacio: uomini e donne alla mercé delle ingiustizie e delle diseguaglianze. Ma la natura consola e cura.

Di Manuela Altruda

 

«Soprattutto, non gli parve mai giustificato che la vita si servisse di tante casualità proibite alla letteratura perché si compisse senza ostacoli una morte tanto annunciata».

Gabriel García Márquez, Cronaca di una morte annunciata

Da bambina ho fatto indigestione di film western. Mio nonno ne era un grande appassionato e spesso, quando tornavo da scuola, la mia unica occupazione era quella di sedermi accanto a lui sull’imponente divano marrone di pelle e guardare le pellicole di Sergio Leone. Qualcuno potrebbe controbattere che forse quei film non erano così adatti a una bambina di cinque anni ma, in tutta onestà, non ho ricordi traumatici di quei pomeriggi, anzi. La mia mente curiosa e al tempo stesso un po’ malinconica ha registrato un dettaglio in particolare che ancora oggi, dopo anni, riesco a visualizzare con estrema precisione: i paesaggi.

Quando ho concluso la lettura di Come se esistesse il perdono di Mariana Travacio – autrice argentina portata in Italia dalla neonata e molto promettente Cencellada Edizioni, con la traduzione di Giulia Zavagna – ciò che è rimasto nella mia mente più a lungo, con insistenza e un po’ di prepotenza, è stata l’immagine di una landa desolata, il colore rossiccio della terra, l’azzurro invadente del cielo e il rumore di una pioggia incessante e improvvisa. La storia raccontata da Travacio non ha come sfondo il West americano, ma la Pampa argentina, eppure la suggestione che accompagna il lettore mentre scorre le pagine di Travacio si avvicina molto a quella suscitata dai film di Leone.

Come se esistesse il perdono è la «cronaca di una morte annunciata» narrata in prima persona da Manoel, vittima e artefice del rancore che muove i personaggi del romanzo. Dei genitori di Manoel, che porta il nome di suo nonno – «il portoghese», al quale somiglia molto – non si hanno più notizie da quando il bambino ha un anno: la coppia lavorava nei grandi campi d’acqua di proprietà dei Loprete, una famiglia di quasi soli uomini tutti dediti alla violenza e al sopruso. Manoel va a vivere con sua nonna e sarà con lei fino agli otto anni quando, dopo la sua scomparsa, il bambino verrà preso in casa dal Tano e lì, insieme ad Antonio, doña Luisa, il Juañco e gli altri, passerà le sue giornate tra un mate e l’altro prima, tra un gin e l’altro dopo.

La quiete e la monotonia viene spezzata un giorno ai tavoli del Tano, perché «salvo la siesta, tutto accade ai tavoli del Tano». Un uomo spaesato e affannato arriva chiedendo di una certa Pepa. Gli uomini del Tano non conoscono nessuno con quel nome fatta eccezione per la figlia di un caro amico che abita dall’altra parte del paese. La Pepa perduta da José – questo il nome del forestiero – non era la figlia del vecchio concittadino, ma una capra che si era allontanata troppo dal gregge finendo per perdersi. Oltre alla capra l’uomo, dopo cinque gin, perde anche il senno, tira fuori un coltello e tenta di sgozzare il Tano. È l’inizio di una storia di sangue: l’obiettivo non è mettere fine alla vita di José, ma quella del suo fratello gemello Luis che arriva ai tavoli del Tano per cercare quel suo fratello scomparso. I fratelli Loprete hanno denaro, terra e acqua e la loro storia – di nuovo – incrocia quella di Manoel, una storia di verità nascoste da anni di omissioni, di risentimenti ma soprattutto di vendetta.

In questa vicenda il rancore sembra essere il vero protagonista e si manifesta attraverso la terra selvaggia e incontrollabile della pampa. Da quando Tano e gli altri hanno seppellito il corpo di José Loprete la terra trasuda rancore e suggerisce vendetta:

«Quando smise di piovere e uscimmo in giardino, sentii per la prima volta l’odore della terra bagnata. Mi ricordai di Loprete e dei suoi campi d’acqua: la terra non vola via, resta aggrappata al suolo; non c’è vento che la sollevi. Non dimentico quell’odore di terra bagnata, come non dimentico le parole di Loprete prima che lo uccidessimo».

Viene abbastanza naturale associare il personaggio di Manoel al poema epico argentino Martín Fierro di José Hernández: Fierro è un uomo devoto alla sua famiglia, che per amore di quest’ultima è costretto a lasciare la sua terra e andare a lavorare quella degli altri e, dopo un lungo periodo, al suo rientro, si rende conto di non avere più nulla tranne il sentimento di vendetta che domina ogni suo gesto e sentimento. Come Fierro Manoel vuole giustizia per la sua famiglia e non pensa ad altro da quando ha scoperto che i Loprete sono i responsabili della loro morte. Manoel è un gaucho e le caratteristiche che Travacio gli conferisce lo confermano: un uomo silenzioso, consapevole dei valori della famiglia e dell’amicizia, la cui esperienza è emblema di una critica molto più ampia al sistema tirannico su cui si basa il lavoro dei campi.

Sarebbe però sbagliato convincersi che in questa storia le donne abbiano un ruolo del tutto marginale. Sebbene non siano decisive nello svolgimento della trama – fatta eccezione per la madre di Manoel la cui morte, insieme a quella del marito, è il movente della vendetta del figlio – si avverte forte la loro presenza. C’è Ramona che ha perso il senno e sembra «smarrita, come se vivesse in un mondo che si era inventata per tenersi lontana» dopo la morte del Juancho e, per questo, vicina alla Julita di Juan Carlos Onetti in Raccattacadaveri. E poi Luisa, la sorella del Tano, che veglia sul protagonista e osserva i suoi disegni offrendogli del mate, e aspetta il suo ritorno a casa. «Finché non arriva Luisa, così trasparente, così limpida, con quegli occhi chiari, così semplice e vittoriosa, così forte Luisa, e mi abbraccia come se fossi un santo, e mi guarda come se esistesse il perdono».

Eppure non si tratta solo di questo. Travacio infatti non si inserisce bene solo nel panorama letterario latinoamericano passato, ma anche nella contemporaneità. Il legame innegabile tra ciò che accade agli uomini e il mutamento del paesaggio in cui gli stessi si muovono – e più in generale della natura tutta – permette di accostare Come se esistesse il perdono all’opera di un’altra autrice e poeta argentina: Selva Almada. Non è un fiume è stato il suo primo romanzo pubblicato in Italia (Rizzoli 2022, traduzione di Giulia Zavagna) e in esso la natura domina gli uomini e il loro sentimento di rivalsa per le ingiustizie subite dalle persone amate. Se per Almada il fiume non è solo un fiume, per Travacio la pampa non è solo la pampa: sono burattinai che controllano uomini mai fino in fondo padroni e consapevoli del proprio destino.

La vendetta è la ragione che muove anche il giovane protagonista e voce narrante di Questo mondo non ci appartiene (Sur 2022, traduzione di Lara Dalla Vecchia), romanzo d’esordio dell’ecuadoriana Natalia García Freire: il protagonista trova nella natura – e in particolare negli insetti – la sua consolazione e il suo luogo sicuro mentre prova a immaginare come vendicare sua madre Josefina internata senza che suo padre facesse qualcosa per impedirlo. E come Freire e Almada si potrebbero citare molte altre autrici che in questi anni stanno dominando la scena editoriale del Sudamerica – Mónica Ojeda, Mariana Enríquez, Samantha Schweblin – tra le quali Travacio sembra inserirsi di diritto. Come molte tra loro, Travacio indaga l’animo umano, le debolezze e le urgenze, e lo fa mescolando generi e temi con abilità senza mai risultare sbrigativa o fuori contesto. Ed esattamente come quando da adulta ho capito il senso di quei film western che guardavo da bambina insieme a mio nonno, dopo aver letto Come se esistesse il perdono ho avuto la sensazione di essermi imbattuta in qualcosa di crudele, forse brutale, ma intenso come se «tutta quella terra si fosse svuotata di colpo e ci avesse lasciati soli, a portare a spasso i nostri cavalli, come chi torna a casa dopo un lungo viaggio».

Mariana Travacio, “Come se esistesse il perdono”, Cencellada Edizioni 2023, traduzione di Giulia Zavagna

Selva Almada, “Non è un fiume”, Rizzoli 2022, traduzione di Giulia Zavagna

Natalia García Freire, “Questo mondo non ci appartiene”, Sur 2022, traduzione di Lara Dalla Vecchia

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Manuela Altruda

Manuela Altruda è nata a Napoli nel 1989. Si è laureata in Archeologia e Storia dell’arte all’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, e ha collaborato con la Fondazione Memofonte di Firenze curando l’edizione digitale di una guida della Napoli antica. Dopo la laurea ha lavorato in molti musei napoletani, ma quello di Capodimonte resta uno dei suoi luoghi del cuore. Ha frequentato il master “Il lavoro editoriale” della Scuola del libro di Roma e pubblicato diversi articoli per il blog della scuola stessa. Scrive per “Altri Animali” e studia figure femminili della storia dell’editoria italiana nella convinzione che vada loro restituita l’importanza che meritano. "Artemisia" di Anna Banti rappresenta perfettamente le sue più grandi passioni: l’arte e la letteratura.
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