Una ragazzina, poi donna, resta imprigionata per tutta la vita nei segreti del fratello cui ha promesso il silenzio. Le resta un buco nero in fondo al cuore. “La resa”, edito da Voland, un romanzo perturbante di Jelena Lengold
di Nadia Tarantini
Arrendersi a ciò che non si può cambiare, che ci fa troppo soffrire. E se non ci si riesce, convivere con un buco nero in mezzo al cuore, cui prima o poi dovremo destinare la nostra vita.
«Nulla vi prepara a quanto passi rapidamente la vita. Attraversate correndo i giorni, convinti per molto tempo che qualcosa di importantissimo stia per arrivare. E che il peso che portate con voi debba scomparire, a un certo punto lungo la via: si scioglierà, proprio come i cumuli fangosi di neve sul marciapiede, appena giunge il primo sole di marzo».
Una bambina viene obbligata dalla madre a seguire il fratello più grande, nella speranza che la sua presenza lo induca a comportamenti più ragionevoli – e, insieme, consenta alla madre di saperne di più sui comportamenti del figlio. Invece in quelle peregrinazioni, in quelle giornate fuori casa, tra il fratello e la sorella si stabilisce il giuramento dell’eterno silenzio, che vincola la più piccola all’omertà con qualsiasi azione egli possa compiere.
Risulta subito chiaro, già nelle prime pagine, il nodo su cui Jelena Lengold, scrittrice serba, fa scorrere la corda che incatenerà per sempre la sua protagonista: un patto che la bambina e poi la donna detesterà con tutte le sue forze, ma al quale non riuscirà a sottrarsi. La Resa (Voland edizioni), è un romanzo asciutto, che non fa spazio a sovrastrutture, che va dritto al crudo centro dell’esistenza. La scrittura non segue le emozioni, non le asseconda, ma è impastata da esse, una sintassi dell’anima.
Il fratello sogna e promette alla sorella fughe nella grande città, il padre gli cerca incessantemente lavori, e poi si arrende. La madre si ammala e muore. Il padre ha un segreto che loro scoprono e forse a quel segreto è legata l’infelicità della madre e, poi, la sua malattia.
La morte della madre, giorno dopo giorno, esaspera i rapporti fra padre e figlio – spinge la ormai giovanissima donna in una solitudine corazzata, in cui bada a se stessa e si sente impotente a cambiare la situazione domestica. «Perché mia madre sapeva sempre cosa fare con loro due». Finché non c’è più niente da fare – e quella notte chiude l’infanzia della nostra protagonista senza nome. E la prima parte de La Resa.
Suddiviso in tre quadri, il romanzo la segue poi nella giovinezza e nella maturità. Lei incontra finalmente la grande città, e una possibile libertà che la spaventa; trova nella sua giovinezza «un insopportabile mormorio, un coro di tremanti voci minacciose». Scopre di essere diventata una solitaria, e che il suo destino è lasciare luoghi e persone. E avvertiamo nella prosa scarna e densa di Jelena Legold il rimbombo della prima fuga, dopo che lei il fratello si erano ritrovati sul bordo di un pozzo e sotto la neve. E senza più il padre.
Poiché la nostra protagonista senza nome ha il cuore attraversato da abbandoni, è destinata ad abbandonare a sua volta, a scansare le occasioni della vita come se non le meritasse. Ed eccolo ricomparire, il fratello compagno di avventure e di disgrazie, sempre con l’incapacità di tenere la camicia nei pantaloni, un po’ dentro e un po’ fuori – come quando quel fatto faceva impazzire la madre. Eccolo di nuovo bisognoso di lei.
Rifiutare la dipendenza che tanto è costata alla bambina, comporta chiudere in uno spazio angusto, dentro di sé, le possibilità che offre la vita. Significa stare sul margine dei ricordi, fra rimozioni e improvvise rivelazioni. Significa anche fare incontri magici e misteriosi, che non riescono ad alimentare il suo bisogno di calore.
Komar, l’uomo con l’impermeabile grigio, il poeta ungherese, l’uomo al bar, sono figure che trascorrono dentro una realtà nebbiosa, la realtà più vivida è quella dei sogni, sogni che fanno paura e viaggi notturni in luoghi incantevoli.
E ora che anche il fratello muore, ora che la sua solitudine interiore si rispecchia in un fuori altrettanto vuoto, ora che l’indicibile non può più danneggiare nessuno – la costruzione di una vita normale (sposa e madre) continua a poggiare su radici fragili, incerte, su un’interezza mai raggiunta.
Quindi, arriverà per forza di cose l’ineluttabile. Quella decisione che era sempre lì, pronta ad uscire allo scoperto, una volta che la figlia Irena dai capelli rossi, sarà diventata grande e starà per sposarsi. Un giorno me ne andrò, dici all’uomo che è tuo marito da trent’anni. Vestita di verde, con una collana di giada quasi dello stesso colore, costeggerai il bosco e cercherai la pace dal sentimento che ti opprime. Quel «sentimento esigente, mutilato del passato che continua a circolare nelle nostre vene, mentre facciamo finta di essere adulti».
Jelena Lengold, La resa, traduzione di Elisa Copetti, a cura di Alice Parmeggiani, Voland 2022
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Nadia Tarantini

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