SULLA CREAZIONE. Biassanot

Amanda Rosso e Loredana Magazzeni, 27 luglio 2023

Cara Loredana,
ho di recente letto un libro particolarissimo, su Bologna, e mi ha fatto pensare a te che lì vivi.
Mi sono chiesta e ti chiedo: che cos’è una città? I suoi palazzi, le sue piazze, le sue prospettive lavorative, i suoi monumenti? O sono i passi, i silenzi, i profumi e i colori, le chiacchiere e il riflesso di chi la abita? Biassanot. Racconti della notte, la raccolta di racconti curata da Stefano Bonsi e Camilla Fabbri, edita da Battaglia edizioni, esplora proprio l’anima cangiante e volatile di Bologna attraverso lo sguardo di chi la vive, chi ne comprende i meccanismi sottili, chi non riconosce la città in cui è nato e chi la scopre per la prima volta. Il Biassanot, il flâneur di beaudleriana memoria, è il filo conduttore che, assieme alla notte bolognese, unisce il lavoro di dieci autori e autrici. Biassanot si interroga sul linguaggio per descrivere la città e le sue trasformazioni, le idiosincrasie che permeano i portici di Bologna, la turistificazione e gentrificazione selvaggia che respinge i suoi abitanti più vulnerabili, ma anche la sua memoria storica, l’oralità, il suo vino e le sue chiacchiere a notte fonda. Senza lasciarsi tentare da una nostalgia amara o da una rassegnazione nichilista, la raccolta impiega ironia e amarezza, speranza e rabbia quanto basta, per restituire un ritratto di Bologna che accarezza le corde del familiare di chi la conosce, e titilla quelle della curiosità per chi non ha ancora passeggiato sotto i suoi portici.

Cara Amanda,
raccontare Bologna non è facile. Bologna si deve vivere, scoprire, attraversare, perdersi. Una città sorridente e sorniona votata all’accoglienza, alle ciacchere (chiacchiere) notturne, all’allegrezza. Negli ultimi anni anche troppo ridanciana e godereccia, con un culto del cibo inestinguibile. Cibo a tutte le ore e di tutti i tipi, da strada, etnico, tradizionale o raffinato, ora che le rotte turistiche la attraversano, con gli orari un po’ sballati del turista, in cui puoi vedere taglieri di salumi consumati allegramente alle 10 del mattino e alle 16 del pomeriggio, da turisti di solito nordici inebriati delle sapidità mediterranee.
Una città viva di giorno e di notte, forse più di notte che di giorno, notte in cui vorresti trovare le strade deserte e non lo sono, ricavandone un senso di stordimento ma anche di familiarità e sicurezza fisica. Vivo in questa città da ormai quasi mezzo secolo e non l’ho mai barattata con nessun’altra. La amo ancora. Da quando mi accolse come studentessa fuori sede (essere fuori sede era una situazione speciale, che ti apriva le porte della vita underground). Gli studenti degli anni Settanta si dividevano in due categorie: i figli delle stelle e gli schiavi della lampada, ovvero chi viveva di notte e chi di notte studiava, chino sui libri dell’università.
In quegli anni incredibili per me, Bologna si mostrava nella sua essenza più generosa, che voleva dire soprattutto gruppi di giovani e osterie, dove trascorrere ore e ore in discussioni e sperdimenti dei sensi e dell’intelligenza, alle prese con una critica puntuale e feroce dell’attualità, i problemi giovanili, i collettivi da frequentare, i cortei da non perdere, i cineclub da affollare, i festival estivi di musica e teatro, le case del popolo dei quartieri di periferia dove andare a ballare.
Anni incredibili, musiche e amicizie rimaste per sempre o andate via inesorabilmente, mano a mano che le vite individuali prendevano un loro corso, seguivano destini diversi.
C’era chi andava all’estero (perché te ne vai? Ti perdi cosa succede qui), ma erano una minoranza assoluta. I più avevano trovato a Bologna il paradiso e lo percorrevano avanti e indietro soprattutto di notte, in nome di una sociabilità tutta fatta di studenti, giovani lavoratori delle poste, femministe, autonomi, musicisti in cerca di fortuna.
Eravamo senza saperlo dei biassanot, dei biascica notte, ruminanti delle ore notturne, cacciatori di sogni, tiranotte rassegnati alla sveglia per la lezione immancabile delle otto del mattino. Tutto sembrava bellissimo, nitido e armonioso come in un film di Fellini o Rohmer. Guardavamo Truffaut, seguivamo l’ultimo Cassavetes esaltato dai manuali di cinema underground che leggevamo ferocemente, salvo poi rimanerne delusi e annegare la noia della visione davanti a un buon bicchiere di vino.
Di questi anni magici Bologna non cancella il ricordo perché esso vive ancora nelle sue osterie, nelle sue trattorie fuori porta (certo un po’ meno numerose di una volta e in via di estinzione), nella sua vita serale (ora è invalsa la pratica dell’aperitivo o apericena) ma ancora e ancora nelle sue notti, al calore dei ristorantini d’inverno o nelle sere di cinema a grande schermo in Piazza Maggiore d’estate. Non pensavo di ritrovarlo, ma questo mondo notturno popolato di strambi personaggi ha dato vita alla bella antologia di racconti Biassanot. Racconti della notte, curata da Stefano Bonsi e Camilla Fabbri di Brisel Bologna, un progetto di Associazione culturale Tweet Charity. Oltre a una mappa delle dieci più famose osterie bolognesi, il libro offre il racconto di dieci giovani scrittori alle prese col personaggio del “biassanot”, come in una catena di storie che percorrono le strade della Bologna notturna, aprendosi all’incontro imprevedibile col biassanot di turno, sognante davanti a un bicchiere di vino e pronto a raccontare tutto (il vero e il falso) di sé.
Un piccolo Decamerone bolognese, all’insegna dell’immaginazione, dell’amicizia e del buon cibo, ingredienti indispensabili anche oggi a rendere creativa e migliore la vita dei giovani biassanot di oggi, o di chi biassanot non lo è mai stato, ma ha sempre sognato di esserlo.
Se Milano era ed è la città da bere, Bologna è la città da masticare, biassicare per lunghissime ore di confidenze, rievocazioni, sogni, forse progetti, anche progetti, ma sempre condivisi, non gerarchici, come questo, in una collisione di immaginari lievemente alcolica in cui non esistano gerarchie ma solo condivisioni.

Amanda Rosso dialoga con Camilla Fabbri

Biassanot. Racconti della notte nasce da un progetto ideato da te e Stefano Bonsi durante il lockdown, Brisel – briciole di Bologna: un modo per calpestare, sniffare e masticare la città in un momento in cui i suoi spazi erano ritagliati a forza dai contorni delle finestre. Parlaci del progetto e di come è nata poi la raccolta…

Il progetto è nato da una mancanza che abbiamo provato tutti, almeno una volta, negli anni passati: il contatto, la complicità quotidiana. Entrambi, Stefano a Granarolo dell’Emilia (provincia di Bologna), io a Londra, avevamo nostalgia di quel caos che è la città, le persone, gli scambi, i segreti e così abbiamo deciso di dare vita a un progetto che portasse online tutto questo. A marzo 2021 è nato quindi il Brisel, briciole di Bologna, che vive su Instagram e che vuole mappare le voci della città, di chi a Bologna ci vive, ma anche di chi ci passa, di chi la rifugge, di chi la sogna, di chi la odia. Avevamo mille idee in testa circa i suoi sviluppi futuri, in attesa di tornare a vivere fisicamente la città e gli spazi e a furia di pensare e di coinvolgere persone, è nata la narrazione collettiva che è il nucleo fondante del Biassanot.

I racconti sono dieci, scritti d autori e autrici, ambientati in dieci osterie storiche della città. Ma c’è un filo rosso a unirle, il viandante notturno, il flaneur, il biassanot, appunto… Spiegaci chi è il biassanot?

Del flâneur Baudelaire diceva: «La folla è il suo dominio (…) è possibile paragonarlo a uno specchio, così immenso, come questa folla, a un caleidoscopio di coscienza, che in ciascuno dei suoi movimenti rappresenta la molteplicità della vita e si muove attraverso tutti gli elementi della vita.» Il nostro protagonista, Marco, arriva a Bologna dall’Appennino sulle tracce di una lettera trovata per caso alle Poste dove lavora, affamato di storie. «Carissimo Carlo, spero che questo mio messaggio ti trovi bene. Osteria del Sole, solito tavolo, solita ora. Ti aspetto. Un abbraccio, Lucio» legge scritto.
Biassanot, in dialetto bolognese, è chi «mangia la notte», che tira tardi a furia di chiacchiere e bicchieri di vino. È lo specchio di una città che si anima dopo il tramonto e, in quel momento, si mostra per come è davvero.

Questa rubrica si chiama Sulla creazione perché indaga i meccanismi e le maree che alimentano la nascita di un’opera. Una volta scelta la direzione, come avete selezionato i racconti e scrittori e scrittrici? Ognuno di loro ha uno stile e una voce peculiari che però si amalgamano in un coro armonioso…

Il nostro desiderio era proprio quello di ricreare quell’intima bolla fatta di chiacchiericcio, incontri e scontri fortuiti, suoni dissonanti creati dagli alterchi e dai silenzi, bicchieri che si incontrano e stoviglie che vengono maneggiate nelle cucine. L’elemento della narrazione collettiva è nato man mano che l’antologia prendeva e mutava forma: il Biassanot, infatti, può essere letto come un’antologia di racconti, certo, ma anche come un romanzo corale, un insieme di voci concertate su carta da quello strambo personaggio alla ricerca del senso della sua esistenza che è il Biassanot.

Tu sei anche editor freelance, hai quindi uno sguardo ben preciso verso l’opera. Ti sei occupata anche di editing? La varietà di questa raccolta è davvero stupefacente. I generi, lo stile e addirittura i linguaggi utilizzati sono molteplici.

Magari, sarebbe stato un onore per me lavorare a servizio di queste dieci penne! Ci voleva un occhio esterno e super partes che vegliasse su questa narrazione intricata, e quell’occhio è stato proprio di Lorenzo Battaglia (il fondatore della nostra Casa Editrice), che si è occupato dell’editing dei racconti e del quadro narrativo che abbiamo scritto io e Stefano. L’unico a cui ho lavorato in un ruolo più da editor è stato quello di Francesca Mattei, che – segreto – è anche uno dei miei preferiti.
Il mio ruolo come curatrice, accanto a Stefano, è stato invece quello di scegliere e contattare gli autori, l’ambientazione, inventare il personaggio di Marco e le sue assurde domande, imbastire uno scheletro narrativo credibile e solido che permettesse la massima libertà di espressione e fantasia alle dieci penne scelte. Poi, una volta raccolti ed editati tutti i racconti, di amalgamarli facendoli parte di una narrazione uniforme che non li snaturasse, ma ne esaltasse le particolarità. È stato un processo narrativo molto coinvolgente, perché ci ha portato a vestire davvero i panni di un Biassanot, di un osservatore il cui compito è quello di trovare un ordine e fare da specchio alla randomica molteplicità della vita racchiusa all’interno di quei luoghi di tradizione e incontro che sono le nostre osterie.

Noi di Letterate Magazine abbiamo una certa passione per poete e scrittrici dimenticate. Non potevo che appassionarmi al racconto di Giulia Oglialoro Non sempre ricordano, con la protagonista che è alla ricerca di Patrizia Vicinelli. Chi è Vicinelli, e perché è così importante questo sguardo sull’ombra, sull’omissione, sulla scomparsa?

Risponde a questa domanda Giulia, che mille volte più di me sa tratteggiare un ritratto di Patrizia Vicinelli

Giulia Oglialoro Negli ultimi anni è stato fatto un tentativo di recupero dei testi di Patrizia Vicinelli, soprattutto grazie all’impegno della professoressa Niva Lorenzini dell’Università di Bologna. Per quanto ammirevole, si tratta di un recupero parziale e insufficiente se rapportato alla grandezza di Vicinelli che a soli 23 anni entrò a far parte del Gruppo 63, e pubblicava poesie sulle riviste più importanti del tempo. Credo che questa difficoltà a essere ricordata sia già un indizio su che genere di autrice fosse: scriveva poesie immediate e bellissime, e scriveva poesie che sulla pagina risultano quasi illeggibili, perché sfociano nel disegno e nella partitura musicale. Solo lei era in grado di leggere i suoi testi con la giusta intonazione, e, stando alle testimonianze di chi l’ha conosciuta, erano letture seducenti e armoniose, a cui lavorava con assoluta dedizione. Ecco, senza giustificare la rimozione a cui è andata incontro – alla quale si può e si deve porre rimedio – mi affascinava molto questo aspetto, questa totale, irrimediabile identificazione della poesia con la voce di chi l’ha creata. Ho pensato che questa vitalità quasi inesprimibile racchiudesse, almeno in parte, l’anima di Bologna.

Il cibo e il vino occupano un ruolo cruciale nella raccolta. Dalle tigelle, alla tartare di manzo, alle brocche di Sangiovese e Lambrusco, un bisogno tattile di definire lo spazio microscopico delle relazioni. Il racconto e la forma breve in generale, proprio per la loro immediatezza, devono nutrirsi dei dettagli che scandiscono la quotidianità. Non si hanno centinaia di pagine per definire personaggi e relazioni, quindi gli oggetti, le reiterazioni, i tic, le idiosincrasie sono chicchi di sale grosso nell’impasto, rimandi e codici segreti.

Quanta verità in queste parole! Il mio dettaglio preferito della serie è forse la tartare che viene cotta, con grande disappunto dell’oste, per una cliente pretenziosa, nel racconto di Maria Silvia Avanzato. Quanto può raccontare, di due interlocutori, del loro carattere, della loro personalità un simile, minuscolo, dettaglio? L’antologia ne è cosparsa, le nostre ragazze e i nostri ragazzi hanno creato un accumulo senza pari di minuzie, tic e idiosincrasie esilaranti e dolceamare che è stato divertentissimo per noi mettere in fila in una narrativa coerente al viaggio che il Biassanot intraprende nel suo anno sabbatico bolognese.

L’umorismo è una corrente sotterranea che pervade i racconti. È un elemento difficile da bilanciare, specialmente quando sono coinvolte molteplici voci.

Bilanciare la varietà di sentimenti e voci individuali, alcune delle quali davvero esilaranti, era qualcosa che io e Stefano sapevamo di dover affrontare quando abbiamo deciso di lasciare piena libertà alle dieci penne di creare i loro racconti senza una struttura, né uno stile prestabiliti. È stato straordinario vedere, racconto dopo racconto, come le loro voci si sono amalgamate e bilanciate sotto ai nostri occhi, senza doverle forzare.

La mia ultima domanda non poteva che essere questa: Lambrusco o Sangiovese?

Lambrusco. Bello freddo, per favore.

A.A.V.V, Biassanot. Racconti della notte. A cura di Stefano Bonsi e Camilla Fabbri. Battaglia, 2023

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Redazione LM

Scritture, politiche, culture delle donne. E non solo. Alla ricerca di parole, linguaggi, narrazioni che interpretino e raccontino cambiamenti e spostamenti in corso. Nello scambio tra lettrici, autrici e autori – e personagge. REDAZIONE: Silvia Neonato (direttrice), Giulia Caminito, Laura Marzi, Loredana Magazzeni, Gisella Modica, Gabriella Musetti, Sarah Perruccio
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